Sanità pubblica in tilt, Puglia al collasso. Mercoledì incontro Regione-Governo
La sanità pubblica rischia, giorno dopo giorno, di diventare una chimera. Il settore che aveva portato l’Italia, alla fine dello scorso millennio, al secondo posto in Europa, preceduta solo dalla Francia, sta compiendo enormi passi indietro e rischia di implodere. Forse, a pensarci bene, è questo il “sogno” di alcune parti del Paese, che vorrebbero una sanità all’americana, dove può essere curato solo chi ha soldi e può pagarsi un’onerosa assicurazione privata, ma è il rischio concreto che incombe su di noi.
In questi giorni si moltiplicano gli eventi che preconizzano scenari allarmanti. La chiusura di interi reparti negli ospedali pugliesi, come Oncologia di Galatina, il rischio di chiusura di vari reparti di senologia e dello svuotamento letterale dell’ospedale di Brindisi, dove la chirurgia è limitata alle emergenze. E poi le quotidiane dimissioni dei medici ospedalieri (uno al giorno negli ospedali di Puglia, secondo i dati ufficiali), le code lunghissime ai Cup, il sovraffollamento intollerabile dei pronto soccorso e l’impossibilità di avere accertamenti diagnostici che non siano a pagamento sono i dati più inquietanti. Senza considerare, per Taranto, la sospensione dei lavori all’ospedale San Cataldo.
In programma incontro Regione – Governo
Mercoledì è in programma un incontro Regione-Governo, mentre la mobilitazione di associazioni e organizzazioni sindacali cresce, assieme al malcontento degli assistiti. E a loro si uniscono, finalmente, anche rappresentanti politici e organizzazioni di categoria (fnomceo ha aderito alla manifestazione nazionale pro SSN)
Medici e infermieri sono pochi e sottopagati e per questo preferiscono passare alla sanità privata o altre regioni, spesso anche in altri paesi. E questo fenomeno non è solo allarmante ma anche moralmente inquietante. Se è vero, ad esempio, che un anestesista con molta anzianità può percepire nella sanità pubblica uno stipendio medio di 4.000 euro, mentre nella sanità privata può arrivare a 10.000, c’è da chiedersi: come mai i privati pagano tanto, considerando che in genere sono convenzionati con il servizio pubblico e che, cioè, paga comunque lo Stato. Ma molti altri sono gli interrogativi da porsi. Ad esempio: chi si addossa la responsabilità di aver inasprito egoisticamente il numero chiuso nelle facoltà di medicina, salvo a dover prendere atto che si formano troppi pochi medici? E che l’andazzo, pur con qualche correzione, non cambia.
Eppure l’Italia spende poco
Eppure l’Italia spende meno di tutti gli altri paesi: solo il 6 % del proprio bilancio contro l’11 della media. Si dirà che l’eterno problema italiano è il debito pubblico, ma nessuno ammette che quasi metà degli italiani. A partire proprio dai medici specialistici, dai professionisti, da autonomi e artigiani, tassisti e commercianti non pagano le tasse! E nessuno se ne occupa, a destra e a sinistra perché elettoralmente non paga. Proprio la lotta contro le tasse è un cavallo di battaglia del governo attuale il cui presidente del Consiglio ha definito le tasse “pizzo di Stato”. Ma vorremmo chiederle perché quello dei commercianti è pizzo di Stato e quello dei dipendenti, che reggono il sistema non lo è.
Saremo costretti tutti a pagare le prestazioni mediche? Allora provocatoriamente ci si potrebbe chiedere, perché non allargare anche ai dipendenti la facoltà di evadere. In questo modo dovremmo sì pagare le prestazioni sanitarie, ma finalmente le pagherebbero anche gli evasori fiscali che, invece, godono delle tasse dei soliti tartassati e forse il bilancio dello Stato comincerebbe a guarire. È un paradosso, lo so bene, ma anche la situazione del Paese lo è. Un’ingiustizia sociale che fa dell’Italia un unicum in Europa, e in buona parte del “globo terraqueo”.