Il significato della Croce illustrato dall’arcivescovo nella santa messa d’apertura della festa del SS. Crocifisso
“Ringrazio innanzitutto il parroco don Andrea Mortato per l’invito particolare insieme a don Marco Morrone per la preparazione alla festa del Santissimo Crocifisso e a voi tutti per quello che fate in questa comunità parrocchiale”: così sabato sera l’arcivescovo mons. Ciro Miniero ha esordito nella santa messa d’apertura della festa del Santissimo Crocifisso, nell’omonimo santuario al Borgo, particolarmente affollato nonostante il gran caldo.
“Perché dobbiamo amare, anche quando non veniamo contraccambiati o almeno sembra? Chissà quante volte ce lo siamo detti! – ha continuato prendendo spunto dal Vangelo domenicale – In realtà non è così. Il profeta Geremia nella prima lettura racconta il suo rammarico mentre era in carcere per aver dato testimonianza al Signore: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!’. Ma poi si rende conto che Dio non può non ascoltare il grido di chi chiede giustizia e riconoscenza della propria dignità. Per questo poi aggiunge “Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente”. C’era qualcosa che lo incoraggiava, gli dava fiducia nel continuare la sua missione. Questa forza la sentiva così forte che non poteva contenerla: era la passione per l’amore di Dio che poi gli è costato la vita, come a tutti i profeti”.
Mons. Miniero ha spiegato che Gesù ci rivela il segreto di tutto questo per farlo nella vita di ogni giorno, prendendo spunto dal rimprovero a Pietro quando Egli gli profetizzò la propria morte, sottolineando che chi ama non si preoccupa del male che riceve, non perché piace soffrire ma perché vuole a tutti i costi diffondere l’amore di Dio, nonostante gli attacchi del demonio. Il Signore ci invita perciò a prendere la propria croce, cioè le difficoltà e le resistenze quando ci prodighiamo per il bene, raggiungendo il cuore di chi amiamo, dandogli sollievo, fiducia e speranza a chi amiamo. “Noi possiamo essere felici – ha continuato – solamente se comprendiamo che è nella logica di Dio dare se stessi senza riserve. Se invece ti chiudi in te stesso e stai a guardare non realizzerai mai i tuoi progetti, la tua esistenza. Questo vale nell’affetto, di lavoro, di impegno sociale. Allora noi troveremo la felicità solo se prendiamo le nostre croci, accogliendo la potenza di Dio che ci fa vivere ogni difficoltà”.
L’arcivescovo ha riferito che tutto ciò è possibile guardando il Crocifisso con la sua espressione di sofferenza ma anche di serenità, preludio di una gioia che non avrà mai più fine. “Quella sofferenza – ha proseguito – non è vana perché Egli prende su di sé la sofferenza dell’umanità trasformandola e facendola diventare il senso della vita, segno di un amore che non viene sconfitto dal male ma che risorgendo dà forza e vita. Questa potenza fa crescere in noi il desiderio di amare. Ecco perché per noi la croce non è un elemento decorativo, anche perché non avrebbe senso appendere sulle pareti uno strumento di morte per decorarle. In ogni vita donata sentiamo la potenza di quell’amore che ci spiega anche perché tanta gente ama fino al sacrificio di sé, come i martiri di tutti i tempi e dei nostri, come i giudici Borsellino e Levatino, fra i tanti. Di queste persone si continua a parlare e si riceve forza nella propria testimonianza”.
“La logica di Dio è: ama e basta – ha concluso – Ama e fai quel che vuoi, diceva Sant’Agostino. Senza sacrificio non realizzi, e non sentirai mai il cuore felice. L’adorazione della Croce ci aiuti tutti ad essere amati da un Dio che si è fatto povero e croce per la salvezza di ciascuno di noi. Questo strumento ci aiuti a essere amore, portatori di gioia nel nostro vivere quotidiano”.