Il ritorno dal Guatemala di don Mimino Damasi
Dopo quattro anni di missione come sacerdote “fidei donum”
Dopo quattro anni (tolto il periodo della pandemia) è terminata la missione di don Mimino Damasi in Guatemala. Il rientro a Taranto è avvenuto a fine agosto, dopo ben quattro giorni di viaggio e un groppo alla gola per la commozione che ancora tarda a sciogliersi. “Ho dovuto abbandonare l’esperienza, ma l’ho fatto a malincuore in quanto mi ha arricchito molto come uomo e come sacerdote – racconta –. Negli ultimi giorni di permanenza la gente piangeva nel salutarmi, riempiendomi di doni, implorandomi di non partire. Ma non ho potuto fare altrimenti e ora sono pronto per il nuovo incarico affidatomi dall’arcivescovo, cioè quello di parroco al Rosario di Grottaglie”.
La missione guatemalteca di don Mimino, come sacerdote “fidei donum”, ha avuto inizio nel 2019, dopo brevi soggiorni in cui si è alternato con don Luigi Pellegrino (allora suo vice parroco alla Regina Pacis di Lama) e con don Ezio Succa, già missionario saveriano e ora sacerdote diocesano, parroco a San Crispieri. Sua destinazione, la città di Jocotan, in aiuto al parroco padre Edwin Portillo e a due confratelli, fra i quali l’83nne padre Rogerio, nella nazione centroamericana da quasi cinquant’anni.
Sin dal principio il sacerdote tarantino è stato colpito dalla particolarità della sua terra di missione, tra emozionanti paesaggi di montagna, panorami mozzafiato e inimmaginabili bellezze naturalistiche. C’è tanta povertà ma altrettanta laboriosità e voglia di vivere, con serenità e nella gratitudine a Dio di ciò che quotidianamente dona, confidando in Lui senza riserve.
Il territorio in cui servire Dio attraverso gli uomini (d’etnia Chorti, discendenti dagli antichi Maya) è vasto: attorno al capoluogo (25mila i residenti), sono sparse ben 110 comunità rurali da visitare, per complessivi 75mila abitanti. Talvolta i villaggi sono raggiungibili solo attraverso sentieri scoscesi difficilmente percorribili se non con mezzi idonei e, con le piogge, spesso costretti all’isolamento.
In quell’angolo di Guatemala, don Mimino ha riscontrato l’accoglienza calorosa e la generosità degli abitanti che, nelle avversità, non si fanno cogliere dal vittimismo e sono subito pronti a rimboccarsi le maniche. Gli è stato familiare anche il modo di vivere la religiosità popolare, fra feste patronali colorate e rumorose (per via dei botti), le processioni e i riti della Settimana santa, caratterizzati, come da noi, dalle “troccole”, dalle marce funebri eseguite dalla banda, dagli abiti pittoreschi delle confraternite e dai maestosi altari della reposizione, ricchi di fiori e di drappeggi.
“Fra le emergenze maggiori che emergono, c’è quella abitativa, dove spesso le famiglie trovano riparo in povere capanne i cui tetti devono fare i conti con i tornado che distruggono tutto ciò che incontrano – spiega il sacerdote – Ma ancor più grave è la situazione sanitaria, con le cure tutte a pagamento, dove a patirne di più sono soprattutto i bambini e le donne in procinto di partorire, la cui mortalità è alquanto elevata. Ecco perché, con l’aiuto di miei amici benefattori, ho avviato l’esperienza de ‘La cuna de Sant’Anna’, cioè “La culla di Sant’Anna’, una sorta di ambulatorio itinerante per i villaggi, il cui funzionamento è affidato a un medico e a un infermiere”.
Dal punto di vista ecclesiale, don Mimino Damasi evidenzia il ruolo preponderante del laicato che sopperisce, fin dove è possibile e nelle rigorosa distribuzione dei compiti, alla mancanza di sacerdoti: in ogni villaggio, infatti sono presenti i delegati della Parola (che guidano le celebrazioni, domenicali e non), i ministri della comunione (che visitano anche gli ammalati) e i catechisti, cui è affidata la formazione della comunità. “A tutto questo – evidenzia don Mimino – corrispondono comunità vivaci,disciplinate, stimolati alla solidarietà, piene di giovani e che ben rispondono alle provocazioni del Vangelo. Questo potrà essere il modello futuro della nostra Chiesa, quando i sacerdoti (ma ancora non è il caso del nostro meridione) cominceranno a essere sempre di meno”.
La situazione di povertà, attutita in parte dalle rimesse degli emigranti, invece, provoca nelle città più grandi il fenomeno della microcriminalità, che prospera grazie al sottobosco di corruzione e di attività del narcotraffico, in cui il Guatemala è solo territorio di transito con destinazione gli Usa.
“Cosa mi porterò da questa esperienza? Sicuramente questo modello di Chiesa non di massa ma che va verso le persone, desiderose di arricchirsi della Parola di Dio – risponde don Mimino Damasi –. Dall’altro lato, c’è il rimpianto che nessun confratello, in rappresentanza della diocesi tarantina, abbia voluto proseguire la missione, che, ribadisco, per me è stata una vera grazia”.