Papa Francesco all’angelus: “Il chiacchiericcio è una peste, non aiuta a crescere”
“Quando un fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo, correggilo: aiutare correggendo”. Lo ha detto papa Francesco, ieri, affacciandosi alla finestra dello studio nel Palazzo apostolico vaticano e introducendo l’angelus con i fedeli e i pellegrini riuniti in piazza San Pietro. Riferendosi al Vangelo del giorno che parla di correzione fraterna (cfr Mt 18,15-20), il pontefice l’ha definita “una delle espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative, perché non è facile correggere gli altri”. “Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto, fratelli e sorelle, questo non piace a Dio”, ha ammonito il papa, secondo cui “il chiacchiericcio è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, porta sofferenza, porta scandalo, e mai aiuta a migliorare, mai aiuta a crescere”.
Ricordando l’insegnamento del Vangelo, papa Francesco ha indicato il modo per la correzione fraterna: “Parlaci ‘a tu per tu’, parlaci lealmente, per aiutarlo a capire dove sbaglia. E questo fallo per il suo bene, vincendo la vergogna e trovando il coraggio vero, che non è quello di sparlare, ma di dire le cose in faccia con mitezza e gentilezza”. “Ma, possiamo chiederci, e se non basta? Se lui non capisce? Allora bisogna cercare aiuto. Attenzione però: non quello del gruppetto che chiacchiera! Gesù dice: ‘Prendi con te una o due persone’, intendendo persone che vogliano davvero dare una mano a quel fratello o a quella sorella che ha sbagliato. E se non capisce ancora? Allora, dice Gesù, coinvolgi la comunità. Ma anche qui precisiamo: non vuol dire mettere una persona alla gogna, svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare. Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto – ha concluso –, la comunità deve far sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono, la comprensione, e a ricominciare”.