Il Quinto Ennio vive ancora
Quattordici ex ragazzoni rigorosamente “baby boomers” che il 13 settembre, a distanza di cinquant’anni dalla loro maturità, vi hanno fatto irruzione per ricordarla
Il Quinto Ennio, il giovane liceo classico nato a Taranto nel lontano 1968 per far spazio agli studenti che non potevano più trovar posto nel glorioso, ma angusto liceo classico Archita, vive ancora.
Sebbene incorporato, a partire dal 2013 e per discutibili ragioni di economia didattica, nel liceo Galileo Ferraris, un contenitore pluriforme con indirizzo scientifico, classico e linguistico, continua a vivere nella sede originaria di Via Abruzzo 13, al Rione Italia della nostra città.
Le mura e i pavimenti, i corridoi e le aule dell’edificio presentano ancora quell’aria sbarazzina che ne fu da subito la sua chiave di lettura, in contrapposizione all’austero, anche un po’ opprimente, liceo Archita.
Il Quinto Ennio è ancora vivo grazie all’impegno del suo personale, docente e non, nelle ampie progettualità del suo programma didattico, negli studenti che testardamente continuano a frequentarne i corsi a indirizzo umanistico.
Vive tutt’ora, soprattutto, nei ricordi di quattordici ragazzoni rigorosamente “baby boomers” che giorno tredici settembre, a distanza di cinquanta anni dalla loro maturità, vi hanno fatto irruzione per ricordare quei giorni di luglio 1973 quando, tra la traduzione dal greco di “Formazione di Demostene” di Plutarco e le varie tracce per il tema di italiano -io scelsi la seconda che prevedeva il commento e l’analisi dell’art 11 della Costituzione Italiana dove vien detto che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli- si consumò il rito degli esami di maturità.
Irruzione rumorosa ma pacifica, amabilmente agevolata dal dirigente scolastico dr Marco Dalbosco, dalla funzione vicaria nella figura del professor Mario Laudato, dalla complice partecipazione delle professoresse D’Elia, Laudadio, Fonseca e Liuzzi, tutte votate, come vestali della cultura classica, all’insegnamento di latino e greco.
Nell’afoso luglio del 1973, con l’azzurro Golfo di Taranto a far capolino sulle vetrate della scuola, la terza E, una sezione tutta al maschile, una vera anomalia in un panorama scolastico già all’epoca popolato di sole sezioni miste, contava ventitré alunni. Numero oggi assottigliato da un tempo che se ne è portato qualcuno via, mentre altri, distribuiti lungo lo stivale per ragioni di lavoro o per scelta di vita, non hanno potuto essere presenti.
All’accoglienza affettuosa del personale scolastico, ha fatto seguito una breve, ma emozionante visita dell’istituto, con sosta e inevitabile corredo fotografico nell’aula che ci ospitò nell’ultimo anno del liceo. Credo, ma non ce lo siamo detti, che in ognuno dei presenti siano rimbalzate le immagini di quegli anni, la tensione delle interrogazioni, la concentrazione e gli intrighi durante le prove scritte, le ombre degli Insegnanti che ora occupano altre cattedre. Senza dimenticare le pause liberatorie, la corsa al bar a metà mattinata, finalmente il momento di approcciarci all’altra metà del cielo, i bagni della scuola avvolti nel fumo delle prime sigarette consumate in condivisione.
Abbiamo colto l’attimo. Cosa non impensabile alla nostra età. E ne siamo strafelici. La vita tuttavia continua su altri sentieri, consolidati ma passibili di altre cose belle. La tracciatura, all’epoca per noi inconsapevole, avvenne nel luglio del 1973, l’epoca in cui De Gregori cantava Alice. Diversamente dalla canzone, prima di prendere il volo, noi guardavamo già avanti.
E continueremo a farlo anche adesso e in futuro, ma il tredici di settembre del 2023 era giusto piegarsi verso il passato e sorridere per come la vita ci ha sorriso. La nostalgia ha sempre il gusto di un placebo.