Scrittori, profeti, gente comune: i campioni della pace
Molti libri confermano che anche il piccolo, povero singolo può iniziare una catena di pace e di resistenza all’odio
Che la guerra non fosse unicamente una rivendicazione idealistica e patriottica lo aveva visto bene uno che nella prima fase della sua produzione aveva esaltato l’assalto nel primo conflitto mondiale come ebrezza, sconvolgente, seducente, spaventosa. Il grande scrittore tedesco Ernst Jünger, che aveva entusiasticamente appoggiato l’ascesa del nazismo per poi prenderne le distanze, allontanamento narrato in “Sulle scogliere di marmo”, – un monumento narrativo al pacifico accordo tra uomo e natura contro le sirene della violenza irrazionale -, era però consapevole che dietro il coraggio e la lotta si nascondevano l’interesse economico e una modernità mercificata che lui stesso poi condannò in un altro romanzo, “Le api di vetro”.
In un volume miscellaneo edito qualche anno fa da Interlinea, “Guerra e pace nel Novecento e oltre” Alessandra Ruffino ricorda una sintomatica frase dello scrittore tedesco: “Alla peculiarità di questa grande catastrofe ci si può forse accostare affermando che in essa il genio della guerra si è congiunto con il genio del progresso”. E certamente il futurismo, entusiasta della “velocità” e dell’ebbrezza del combattimento novecentesco, era ben consapevole di questo imbarazzante connubio. Fu un artista e vignettista, Giuseppe Scalarini, ricordato nelle pagine qui citate, a disegnare genialmente, nel 1915, i solidi interessi economici alla base della guerra, con bocche di cannone dalle quali spuntano appuntite zanne, quelle dell’industria bellica, dei fornitori e di una parte della stampa che contava.
Un altro capace di individuare le radici economiche e scientifiche delle guerre -come non riandare alle immagini apocalittiche di Oppenheimer che si vede come creatore di morte, da scienziato che era, dopo l’esplosione dell’atomica nel New Mexico?- è il grande scrittore Italo Svevo, che, lo ricorda Simona Costa sempre in “Guerra e pace nel Novecento e oltre”, profetizzava, sbagliando, in una lettera alla moglie la sicura vittoria della Germania grazie al suo progresso scientifico: “Nessun dubbio possibile! (…) La scienza guida e si fa tutto ciò che è necessario trovando naturale il sacrificio”.
Un altro libro, anch’esso non recentissimo, mette in rilievo come l’informazione dovrebbe dare più spazio non solo alla violenza e alla guerra, ma anche ai costruttori di pace: Anna Bravo in “La conta dei salvati. Dalla grande guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato” (Laterza) mette bene in evidenza personaggi del calibro dell’allora presidente del Kosovo Ibrahim Rugova, scomparso nel 2006, che fece della non violenza la sua bandiera per l’indipendenza dalla ex Jugoslavia, lui sepolto con il rito sunnita ma animato da grande rispetto per il cattolicesimo. Il messaggio è che basterebbe parlarne un po’ di più: tutti i libri di cui stiamo trattando confermano che anche il piccolo, povero singolo può iniziare una catena di pace e di resistenza all’odio. I giovani, i genitori, i docenti con la loro educazione alla concordia e al confronto, i giornalisti, come scrive Piero Damosso in “Può la Chiesa fermare la guerra?” (San Paolo), non solo i potenti del mondo. Anzi, forse più di loro.
Il pacifismo non è appannaggio di una sola fede. Basterebbe andare ad uno dei maestri di Gandhi, Lev Tolstoj, che dovette fare i conti con l’ostilità della chiesa ortodossa, anche se aveva affermato che era il Discorso della Montagna il suo punto più alto di riferimento. In “Guerra e pace” tra l’altro lo scrittore russo aveva messo bene in evidenza la sua profonda conoscenza del fascino ambiguo dell’eroe, del condottiero, con la figura di Napoleone a campeggiare, ma soprattutto con gli umili, i veri operatori di pace a rappresentare gli autentici valori. Sono loro i protagonisti di quella che sarà la rinascita spirituale di Tolstoj. Senza dimenticare che il santo da cui il pontefice prende il nome usava salutare con “Il Signore ti dia pace”.
E d’altronde, per restare in tema, molti in questi tristi giorni di guerra hanno ricordato le parole di papa Francesco al corpo diplomatico a proposito di una terza guerra mondiale in corso, che non porta solo a violenza e esplosioni, ma anche fame e freddo tra la gente comune.
Questo è uno dei punti fondamentali del nuovo sguardo sul mondo: sono gli ultimi, gli inermi, i bambini a pagare, oggi in Palestina come ieri a Nagasaki e Hiroshima. Sapendo perfettamente che una guerra totale non avrebbe testimoni a raccontarla. Non più Tolstoj, e ancora prima Omero e Virgilio, Ariosto e Tasso, né Remarque, Carlo Levi, Cormac McCarthy. Non più letteratura, non più vita.