Con il mignolo nel buco nella diga
“I nostri elettori devono sapere che ci occupiamo di sicurezza”. Pare questa la ratio del pacchetto sicurezza del governo ma il cuore della delibera spetta alla seconda parte del disegno di legge, dedicata alla sicurezza urbana. Il governo alza l’asticella della repressione penale, introducendo nuovi delitti o elevando le pene per i reati tipici degli emarginati. Una politica penale fatta con una tecnica legislativa del tipo “tappa con il mignolo il buco nella diga”, che accresce, aggrava, aumenta divieti e pene. Anche se le statistiche sulla criminalità non segnalano alcuna emergenza sicurezza, alcuni dei reati del disegno di legge sono abietti e infidi e non se ne può sottovalutare la gravità. Ma, a questo punto, non è più credibile una politica che si esaurisca negli annunci sugli aumenti di pena e nelle strategie repressive, che ormai valgono soltanto a distogliere l’attenzione da risposte meglio calibrate, fondate su misure sociali, interventi mirati verso le aree di devianza ed efficaci alternative al continuo inasprimento delle pene detentive. Considerare le questioni sociali e i conflitti, e anche i reati, come una diga, come questioni serie, da affrontare con interventi di politica sociale ed educativa, fa i conti, ormai da troppo tempo, con il continuo crescere di paure e senso di incertezza, con atteggiamenti segnati da distanze e da indifferenze. La risposta, quasi mai sociale e sempre più penale alle questioni di sicurezza, allarga le porte a delle interpretazioni banalizzate e semplificate dei comportamenti e dei problemi, produce aspettative irrealistiche e lascia diversi spazi alle ambivalenze. Eppure questa crisi la si vive mentre i reati sono in calo da un trentennio, in Italia più che in altri paesi europei. Continuare a creare nuovi reati e continuare a inasprire le pene di quelli esistenti rischia di produrre solamente una illusione di controllo e deterrenza. Anche la rotta che stanno prendendo i provvedimenti riguardanti le carceri aprono a vari interrogativi. Si puniscono persino le resistenze passive nel quadro dell’inasprimento di pena per le rivolte in carcere e nei CPR, cioè i centri di permanenza per i rimpatri, quei buchi neri in cui si consumano tante delle violazioni dei diritti fondamentali dei migranti: come non ricordare che il detonatore di queste proteste, a volte molto violente, sia stato in molti casi il permanere di condizioni di vita a volte indegne di un paese civile? E non soltanto a causa del sovraffollamento, ma anche per il sovraffollamento. La severità c’è e c’è tutta e fino in fondo, ma si capisce che non è sufficiente. La pena di morte, in vigore e tuttora applicata in molti stati degli Usa, ha mai fermato le stragi con armi da fuoco all’interno di istituti scolatici o di università? La severità potrebbe al massimo accontentare i cittadini, che devono assistere a tanti episodi di banale delinquenza. Ma certo non stroncherà queste pratiche, forse stimolate dal bisogno oppure da una astuzia a buon mercato. Gli stessi cittadini non si sentiranno, invece, liberati da altri reati che gravano pure quelli sulle loro spalle, reati che vanno sotto le più svariate denominazioni: evasione fiscale, frode fiscale, nero o sommerso, economia criminale. Venerdì scorso è stato presentato “Tutto da perdere”, il rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale nel nostro Paese, stilato dalla Caritas Italiana. Dati impressionanti. I poveri sono aumentati di 357mila unità, le famiglie povere sono salite di 165mila nuclei, gli stranieri, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione, costituiscono il 30% dei poveri, il lavoro non è più causa di benessere perché il 47% dei nuclei in povertà ha il capofamiglia occupato. Per la prima volta, il rapporto ha esaminato anche l’effetto della povertà energetica, ossia l’impossibilità di avere un livello minimo di consumo energetico, che indica conseguenze importanti soprattutto sulle fasce sociali più fragili, e che colpisce il 9,9% della popolazione, con una tendenza all’aumento negli ultimi 10 anni. Sono sufficienti queste cifre per pensare le questioni sociali come una diga, come questioni serie, da affrontare con interventi di politica sociale? Un cenno soltanto, infine, a un aspetto che non può non preoccupare: privare i neonati, i piccini, i bambini di un contesto per loro di libertà e di serenità, ricco di attenzioni, di cure e di stimoli significa segnare per sempre la loro crescita. I primi anni di vita sono quelli della prima età evolutiva, decisivi per bambine e bambini, che sono sempre innocenti, e hanno diritti loro, anche quando sono figli di persone che hanno commesso dei reati. Per loro, negli anni scorsi, esisteva il progetto delle case protette in cui potevano vivere con le loro madri in condizioni di assicurazione di elementi di controllo. Ma erano altri tempi, tempi passati. Adesso la prospettiva è in tutt’altra direzione, in direzione diametralmente contrapposta.