Dopo la ricorrenza di Santa Cecilia, festeggiata con innumerevoli iniziative in città, in un forte desiderio di rinascita, si entra nel pieno delle tradizioni natalizie con la novena dell’Immacolata, patrona principale di Taranto assieme a San Cataldo. Purtroppo neppure quest’anno sarà riaperta la chiesa di San Michele – dov’era storicamente custodita la statua -, all’inizio di via Duomo, i cui lavori di manutenzione, a cura dei Cavalieri dell’Ordine di Malta (a loro è affidato il luogo di culto) sono ancora in attesa delle previste autorizzazioni. Per questo motivo il simulacro della Beata Vergine da anni si trova in cattedrale.
Mercoledì 29, per l’inizio della novena, alle ore 17.30, la statua di Maria SS. Immacolata sarà portato dalla basilica cattedrale al santuario della Madonna della Salute percorrendo piazza Duomo, vico De Notaristefano, corso Vittorio Emanuele, via Paisiello, piazzetta Monteoliveto; alle ore 18.30 inizio della Novena. L’immagine sarà portata a spalla dalla confraternita intitolata alla Beata Vergine, alla quale faranno scorta d’onore i Cavalieri dell’Ordine di Malta.
L’esecuzione delle tradizionali pastorali tarantine sarà a cura della Grande Orchestra di fiati “Santa Cecilia-Città di Taranto” diretta dal maestro Giuseppe Gregucci.
Dal 30 novembre al 7 dicembre, sempre al santuario della Madonna della Salute, la novena avrà il seguente svolgimento: ore 18, recita del santo Rosario; ore 18.30, santa messa.
Sabato 2 dicembre alle ore 18.30, durante la santa messa presieduta dal padre spirituale della confraternita dell’Immacolata, mons. Emanuele Ferro, cerimonia di professione dei nuovi confratelli e delle nuove consorelle, con la consacrazione dei bambini all’Immacolata.
Domenica 3 dicembre, alle ore 19.30, sempre al santuario, concerto di pastorali natalizie tarantine eseguito dalla banda “Città di Crispiano” diretta dal maestro Francesco Bolognino e dal coro “Alleluja” della chiesa di San Domenico Maggiore.
I festeggiamenti si concluderanno la sera di venerdì 8 dicembre con il Pontificale presieduto alle ore 17 dall’arcivescovo e con la successiva processione per le principali vie della Città vecchia.
La Mediterraneo sport a Riccione per iniziare con dei successi la nuova stagione del nuoto
27 Nov 2023
Due atleti in gara ai campionati italiani Assoluti di Riccione, due titoli regionali da difendere nella pallanuoto Under 14 e Under 16, Nuoto master e Nuoto artistico in forte crescita. La stagione agonistica della Mediterraneo Sport Taranto si annuncia carica di impegni ed è animata da un rinnovato entusiasmo.
Lo ha sottolineato Massimo Donadei, direttore sportivo della società rossoblu, presentando la nuova stagione agonistica insieme ai responsabili tecnici Domenico Tagliente (nuoto), Renato Semeraro (pallanuoto), Mariapina Massa (nuoto artistico), Andrea Misceo (nuoto master).
Da lunedì inizia l’avventura di Samuele Congia e Adriana Comperchio agli Assoluti. Samuele è un velocista puro: con i suoi tempi è tra i 10 nuotatori più veloci d’Italia nei 50 stile libero. A Riccione disputerà 50 e 100 stile libero, 50 delfino. Adriana è una ranista e predilige le distanze più lunghe. Sarà in gara nei 100 rana e nei 200 misti.
“La cosa che ci fa piacere – sottolinea Donadei – è che dietro questi atleti di punta ci sono tanti ragazzi di cui sentiremo parlare nei prossimi mesi”. “L’appuntamento di Riccione – aggiunge coach Tagliente – è solo una prima tappa di preparazione agli Assoluti di marzo, che a noi interessano di più. La stagione, comunque, è già iniziata con i meeting di Potenza, Campobasso, Genova e le qualifiche regionali che hanno visto i nostri ragazzi ottenere i loro personal best. Il nostro obiettivo è aumentare la rosa degli atleti da portare agli Assoluti e in questo senso stiamo lavorando con il numeroso vivaio della Mediterraneo Sport Taranto”. Con Domenico Tagliente nello staff tecnico del settore nuoto ci sono anche Claudia Corrente (assoluti, esordienti e propaganda), Daniel Maiorano (esordienti e salvamento), Michele Fumarola (mental coach), Nicola Deliso (nutrizionista).
Anche il settore Master è ai nastri di partenza. Domenica 3 dicembre gli atleti della Mediterraneo saranno impegnati in una prova sulle distanze speciali (1500 stile libero) in programma a Canosa. “Alla Mediterraneo ho ritrovato nuovi stimoli professionali – confessa coach Misceo – con mia grande soddisfazione andremo a Canosa con 23 atleti, foprse saremo la squadra più numerosa della Puglia. Un risultato di cui essere fieri e di cui ringrazio la società ed i miei atleti sempre pronti a grandi sacrifici in allenamento, senza perdere mai lo spirito di squadra e il buon umore”. Oltre a Misceo, nel team tecnico del settore Master c’è anche il preparatore atletico Fabio Conte.
La pallanuoto a Taranto è strettamente e storicamente legata alla Mediterraneo. Quest’anno si alza l’asticella dei risultati dopo i campionati regionali vinti nel 2023 con le squadre Under 12 e Under 14. “Vogliamo sicuramente continuare lungo questa strada – conferma coach Semeraro – puntando ancora sul settore giovanile. Cercheremo di essere protagonisti confermando i successi dello scorso anno, ma guardiamo con attenzione all’Under 16. Il nostro obiettivo è chiudere il campionato tra le prime due per disputare la fase nazionale”. Il team tecnico del settore pallanuoto guidato da Semeraro è composto da Sandro Sabato (under 16/18 e prima squadra), Fabrizio Longo (under 12 e propoaganda Over), Fabio Conte (preparatore atletico).
“Nel Nuoto artistico – sottolinea la responsabile tecnica Massa – siamo in piena fase di ricostruzione. Il covid, purtroppo, ha allontanato molte atlete, ma assistiamo ad una fase di rinnovato entusiasmo che ci fa ben sperare”.
Infine una bella notizia che riguarda il nuotatore paralimpico Marco D’Aniello. “Abbiamo ricevuto una lettera dalla Federazione Italiana sport paralimpici degli intellettivo relazionali – rivela Donadei – che incorona Marco come atleta di alto livello inserendolo nel contesto della Nazionale. Marco in questi giorni è in gara agli Assoluti Finp, se dovesse confermare i suoi tempi e le sue prestazioni potrebbe indossare la maglia della nazionale. Bravo Marco, in bocca al lupo e grazie per la tua energia”.
Qual è la differenza tra un Campione e un buon o ottimo giocatore? In questa immagine la si potrebbe racchiudere: il tennista sotto 0-40 annulla 3 match point all’avversario, che sono anche final point, vince il game e brekka nel successivo, per poi aggiudicarsi l’incontro. Il tennista in questione risponde al nome di Jannik Sinner. Tutti parlano di lui, ora. Di un talento formidabile che, considerato Fenomeno sin da quando era ragazzino, negli ultimi mesi è letteralmente esploso. Il ragazzo dai capelli rossi indica la direzione. Con quel 6-0 inflitto ad Alex De Minaur nel secondo set, si rivolge ai praticanti di tutti gli sport, per dire che in campo non si va per vincere, ma per stravincere. Ovvero per dare il meglio senza risparmiarsi un poco. In verità, bene avrebbe fatto Jannik a risparmiarsi contro Holger Rune nel girone delle Atp Finals, anziché rimettere in gioco Novak Djokovic, che in finale gli ha negato la grande gioia; ma il Campione altoatesino conosce solamente il linguaggio della vittoria. E quando cerchi la vittoria a tutti i costi, giocando pulito, rispettando te stesso e l’avversario che incontri, puoi accettare anche la sconfitta più dolorosa. Che arriva prima o poi.
L’Italia di Sinner ha scritto una pagina di storia
Il Belpaese celebra la riconquista della Coppa Davis dopo un’attesa lunga quasi mezzo secolo. E ringrazia i suoi eroi: Lorenzo Musetti, Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi, Simone Bolelli. Ognuno di loro ha dato un contributo diverso e prezioso. Ma naturalmente quel traguardo meraviglioso non si sarebbe potuto raggiungere senza Sinner, il trascinatore, l’unico capace di battere Djokovic, per tre volte in dodici giorni. La tempra del predestinato che potrebbe diventare prossimamente il numero uno del mondo completa il talento che è innato nella persona. Che pure va coltivato. Perché di talenti inespressi, vinti dalla pigrizia e dalle distrazioni, è pieno il mondo dello sport. La grandezza di Sinner sta in primo luogo nella testa che usa fuori e dentro il campo di gioco.
Oggi, lunedì 27 novembre, nel Palazzo di Giustizia, in occasione della celebrazione della Giornata europea della Giustizia civile 2023, si è tenuto un incontro dal titolo “Le crisi familiari tra gli strumenti alternativi di risoluzione, l’intervento del giudice ed il ruolo del pubblico ministero”.
L’iniziativa – organizzata dal Tribunale e dalla Procura di Taranto, con il patrocinio della locale sottosezione della Anm – persegue l’obiettivo di informare adeguatamente i cittadini sui loro diritti e sulle modalità di funzionamento della giustizia civile, così contribuendo ad avvicinarli alla giustizia e quindi a migliorare l’accesso al servizio giudiziario.
In concomitanza, e sino al 1° dicembre, nell’ambito delle iniziative di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno della violenza di genere ed in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” sarà allestita una mostra dal titolo “Com’eri vestita”, organizzata dall’associazione di promozione sociale Sud Est donne e dalla sottosezione dell’Anm di Taranto.
Mercoledì 29 novembre alle 10.30 a Crispiano, nella sala ristorante dell’istituto professionale ‘Elsa Morante’, alla presenza dell’autore Carmine La Fratta, del dirigente scolastico, prof.ssa Concetta Patianna, degli studenti e del corpo docenti, si svolgerà la cerimonia di donazione delle fotografie su tela che ritraggono le masserie crispianesi. Subito dopo, si terrà un “coffee break” organizzato dagli alunni e dai docenti dell’istituto.
Crispiano, il territorio delle cento masserie. Il fascino dei colori della terra e del cielo che si uniscono tra loro in un effluvio di pace e di serenità, in cui l’aria profuma di ulivo. Luoghi ideali per trascorrere ore di quiete, passeggiando a cavallo tra i colli della Bassa Murgia tarantina ed il mare, all’ombra di un boschetto di querce ed ulivi secolari.
Tutto questo rivive nelle fotografie di Carmine La Fratta, fotografo professionista di Lama (Taranto), con esperienze nel mondo cinematografico in qualità di fotografo di scena per i film “Il Miracolo” di Edoardo Winspeare, “Mar Piccolo” di Alessandro di Robilant e “Scilla non deve sapere” del regista Bruno Oliviero.
Le Cento masserie fotografate su tela da Carmine La Fratta, un mondo magico ritratto con abile cura con un occhio rivolto ai particolari, quelli che fanno sempre la differenza, sono state di recente le protagoniste di una mostra tenuta proprio a Crispiano dal fotografo. Una mostra che ha affascinato quanti l’hanno visitata. Da qui è nata l’idea di donare al Comune di Crispiano, in particolare all’istituto professionale “Elsa Morante” le fotografie esposte su tela perché le stesse trovino uno spazio espositivo permanente.
Un’idea che ha trovato subito piena accoglienza nel dirigente scolastico dell’istituto, che ha accettato la proposta di ospitare in maniera permanente fotografie che raccontano il territorio con tutte le sue peculiarità e bellezze, oggi riconosciuto da Programma Sviluppo, cui si deve massima collaborazione, e dalla stessa Regione Puglia di cui le masserie sono la massima espressione.
Nel mondo del calcio a 5 c’è una bella realtà. Che in uno sport dove conta la rapidità, mentale e fisica, naturalmente la preparazione atletica, continua a fare incetta di risultati utili rappresentando il capoluogo ionico in serie A2: la New Taranto. L’ultimo successo è stato firmato sabato scorso al PalaMazzola. Ai danni del Dream Team Palo del Colle, sconfitto per 4-2 nella settima giornata. La vittoria, frutto di una prestazione straordinaria, consente alla formazione allenata da Angelo Bommino di consolidare il primo posto. Ovvero mantenere l’imbattibilità nel girone D in cui trova collocazione.
Il match New Taranto-Dream Team Palo del Colle
Partenza sprint dei padroni di casa che sbloccano il risultato con Rodrigo dopo soli 98 secondi. Lo stesso giocatore, servito dal centrale italo-brasiliano Murilo Miani, offre a De Risi la possibilità di mandare a rete il capitano Bottiglione. Taranto cerca il terzo goal in più occasioni, ma Palo del Colle si salva grazie al portiere. La rete si gonfia nella ripresa per merito di Alemao. Gli ospiti accorciano le distanze con Lorusso, bravo a sfruttare una disattenzione della difesa ionica. Murilo firma il 4-1, quando il Dream Team è costretto ad inserire il portiere di movimento; Marolla, nel finale, trova il goal, ma i suoi compagni non possono pervenire al pareggio.
Il campionato
Grazie a questa vittoria la New Taranto guarda tutte le squadre avversarie dall’alto della classifica a quota 19. E si proietta alla prossima sfida, ottavo turno, in programma sabato 2 dicembre (ore 16) sul campo dell’Audace Monopoli, che è terzultimo nel girone: l’obiettivo per gli ionici non può che essere proseguire la marcia trionfale, ritrovare la vittoria, per tenere a distanze le dirette inseguitrici Mascalucia e Atletico Canicattì. Da segnalare le prestazioni non brillanti delle altre pugliesi nella settima giornata. Hanno perso, infatti, la stessa Monopoli, e Sammichele; non sono andati oltre il pareggio Aquile Molfetta e Futsal Bitonto.
L’ultimo match al PalaMazzola nella fotogallery di Giuseppe Leva
Giovedì 30, al Fusco ‘Mi chiamo Maria’ con Mariapia Intini e la regia di Alfredo Traversa
La serata è a scopo benefico per finanziare l’attività di musicoterapia dell’associazione ‘La Perla – Lory Intini’ aps di Taranto, a favore di bambini e adolescenti con disagio psico-fisico e sociale
27 Nov 2023
Liberamente ispirato alla figura di Maria Maddalena e tratto da ‘Fuochi’ di Marguerite Yourcenar, ‘Mi chiamo Maria’ è lo spettacolo che andrà in scena alle ore 21 di giovedì 30 novembre, al teatro comunale Fusco di Taranto.
Protagonista dello spettacolo è Mariapia Intini guidata alla regia da Alfredo Traversa.
La serata è a scopo benefico per finanziare l’attività di musicoterapia dell’associazione ‘La Perla – Lory Intini’ aps di Taranto, a favore di bambini e adolescenti con disagio psico-fisico e sociale.
Perché mettere in scena lo scritto di Marguerite Yourcenar?
“Ho pensato e cercato di vedere questa donna, Maria Maddalena, come espressione massima della vita in tutte le sue declinazioni – ha confidato il regista Alfredo Traversa – in un percorso di vita che si manifesta più come un labirinto.
Trasmettere segni, comunicare inciampi, condividere gioie, vedersi le piaghe ed accettarle, annullarsi negli altri per riuscire a trovarsi definitivamente senza più incertezze e titubanze. Essere!
In fondo è lo sforzo che ciascuno deve fare nel cammino della propria vita – ha concluso Traversa, presentando l’evento di giovedì 30 – per arrivare a guardarsi allo specchio in piena consapevolezza. Arrivare a chiamarsi a pronunciare il proprio nome trovando in esso il nucleo della propria esistenza.
La nostra Maria Maddalena ci aiuta, ci porta per mano nel labirinto della vita in uno spazio che è il luogo della nostra mente e del nostro cuore, uno spazio che amplifica i nostri sensi perché sono loro, i sensi, che soli possono donarci la conoscenza”.
I biglietti per la serata di beneficenza sono disponibili su Eventbrite.
È prevista una prevendita, nella città di Taranto, in tre diversi punti:
Le donne, negli ultimi anni, hanno usato verso gli uomini le stesse parole di Nanni Moretti: “Reagisci, rispondi, dì qualcosa, dai, dì una cosa di civiltà, dì una cosa!”. Si è dovuto giungere al femminicidio numero 106 del 2023 perché la questione assumesse i contorni di un dramma collettivo: sono le donne uccise da uomini incapaci di accettare le regole basilari del rispetto dell’altro. È un argomento molto vecchio ma che una società democratica e progredita ha il dovere di risolvere alla radice perché effetto di un deficit culturale. Perché la tragedia di Giulia ha interessato il Paese, rimuovendo il dramma di Gaza dalle prime pagine dei giornali e dei tg? Perché non ci sono stati altri minuti di silenzio o di frastuono nelle scuole prima di oggi? Il prossimo femminicidio passerà in secondo piano come tanti altri? Ma, allora, perché la vicenda di Giulia e Filippo ha innescato un tale clamore mediatico? Ci sono degli elementi che ne fanno una horror story perfetta: due ragazzi molto giovani, due famiglie “per bene”, la sparizione di tutti e due con l’aspetto di un giallo di cui si temeva di conoscere la fine ma che autorizzava alla speranza. E ancora: la laurea imminente, l’appello dei genitori con i microfoni televisivi, l’avvicinarsi della giornata contro la violenza sulle donne, le polemiche di cui la politica è capace anche in simili frangenti. Eppure non basta. Ci deve essere qualcos’altro. Ma non balza agli occhi proprio perché non è evidente: è la sua cornice di normalità. La mentalità che cerca sempre un alibi dietro a queste tragedie per voltarsi dall’altra parte e, nei casi peggiori, maschera una cultura che è proprio all’origine di molti femminicidi, la frase “se l’è cercata”, questa volta non trova il benché minimo appiglio. Giulia non era una ragazza vistosa, dai social non sono affiorati dei selfie ammiccanti, né il gossip ha potuto cibarsi di ingredienti non trasparenti. C’è una situazione sociale non degradata, ci sono due ragazzi normali, le scuole superiori e l’università. Non c’è malattia, né problemi psichiatrici a spiegare la violenza. Nessun “pretesto” giustifica la violenza, ma, in questo fatto, non c’è nemmeno l’alibi che troppi cercano. Stavolta tutti, proprio tutti, hanno dovuto fare i conti con l’orrore di un femminicidio. È meglio non illudersi che l’enfasi seguita alla morte di Giulia indichi un cambio di rotta: già in passato sono comparsi picchi di attenzione clamorosi salvo poi tornare nei binari dell’indifferenza. Però adesso tutto è molto più chiaro. È chiaro che ha ragione il professor Paolo Crepet quando dice che il rapporto fra Giulia e il suo assassino era solo “tossico” e con l’amore non c’entrava nulla. È altrettanto chiaro che il profilo psicologico di Filippo combacia con quello dei “narcisisti maligni”, soggetti per i quali gli altri sono solo uno strumento adeguato a sostenere una immagine di sé potente, ma, alla fine, molto fragile e che, di fronte alla perdita del partner, sprofondano nel rancore e nella solitudine. Condizione che può sfociare in condotte criminali e che coincide con la ordinanza di custodia cautelare dello stesso Filippo, la cui pericolosità è indicata dalla “inaudita gravità e dalla manifesta disumanità del delitto commesso ai danni della donna con cui aveva vissuto una relazione sentimentale”. È evidente che questi individui, in una società come la nostra, si trovano a proprio agio. Il che dovrebbe far riflettere: e come mai la stessa alta marea di dolore e rabbia, seguita al ritrovamento del corpo di Giulia, non è scattata per Saman Abbas e per tutte le altre come lei vittime di una cultura patriarcale e nemica della donna? Altrimenti, Saman e le sue connazionali Hina e Sana, anche loro uccise dalle famiglie per lo stesso motivo, non avrebbero deciso di vivere come le loro coetanee italiane. La domanda “clou” è: si vuole fare la rivoluzione invocata da più parti dopo la morte di Giulia? Da poco è entrato in vigore il blocco automatico delle SIM intestate ai minori, disposto dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Fra le categorie di siti inappropriati per gli under 18, ve ne sono due che meritano una attenzione particolare. Una riguarda i siti che “presentano o promuovono violenza o lesioni personali … o che mostrano scene di violenza”. L’altra, i siti che “promuovono o supportano l’odio o l’intolleranza verso qualsiasi individuo o gruppo”. Altra domanda: vista la loro pericolosità sociale, questi siti non andrebbero vietati a tutti e senza eccezione di età? Sono soltanto esempi del clima di violenza e di degrado che spinge molti giovani a vivere in uno stato di dissociazione dalla realtà, fino a farli incapaci di percepire la gravità e il disvalore delle proprie azioni. Non a caso, l’identikit dei minori autori di stupri, omicidi, rapine e aggressioni tratteggia soggetti privi di empatia e per i quali l’altro è un oggetto da usare a proprio piacimento e vantaggio. Giusto, allora, ribellarsi e urlare “mai più!”, a condizione che sia un grido radicale, senza amnesie o scorciatoie fuorvianti. Ed è ciò che ci chiederebbe anche Giulia e, con lei, le altre, tutte le altre.
Angelus dalla cappella di Casa Santa Marta per papa Francesco a causa dello stato influenzale di cui soffre da sabato, quando ha dovuto sospendere le udienze e si è recato al Gemelli per una tac. È monsignor Paolo Braida a leggere la riflessione dell’angelus.
Domenica in cui si celebra Cristo re dell’universo, e leggiamo l’ultimo grande discorso di Gesù, prima del racconto della passione, morte e resurrezione. Siamo al termine dell’anno liturgico, domenica prossima entreremo nel tempo di Avvento, e le letture ci invitano a guardare agli eventi ultimi. Nel testo di Matteo troviamo quasi una sorta di sintesi del cammino dell’umanità, e non solo del credente, un invito a fare – o non fare – in questo nostro tempo. Ripercorriamo la pagina di Matteo: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Sono gesti, azioni che si riferiscono a un servizio concreto, quanto mai attuali anche oggi, che non hanno nulla a che fare con un atto di culto o una conoscenza di Dio. Si tratta, per usare le parole di Benedetto XVI, di scegliere se allearsi “con Cristo e con i suoi angeli, oppure con il diavolo e i suoi adepti […] se praticare la giustizia o l’iniquità, se abbracciare l’amore e il perdono, o la vendetta e l’odio omicida”.
Francesco ricorda che secondo i criteri del mondo “gli amici del re dovrebbero essere quelli che gli hanno dato ricchezze e potere, lo hanno aiutato a conquistare territori”, magari anche a comparire “sulle prime pagine dei giornali o sui social”. Gesù, invece, è un re diverso, per lui amici “sono coloro che lo hanno servito nelle persone più deboli”; non a caso “chiama i poveri fratelli”; è un re che si identifica “con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati”. Realtà “sempre molto attuali” per il vescovo di Roma, perché “affamati, persone senza tetto, spesso vestite come possono, affollano le nostre strade: le incontriamo ogni giorno. E anche per ciò che riguarda infermità e carcere, tutti sappiamo cosa voglia dire essere malati, commettere errori e pagarne le conseguenze”.
Per il Vangelo si è benedetti “se si risponde a queste povertà con amore, col servizio: non voltandosi dall’altra parte, ma dando da mangiare e da bere, vestendo, ospitando, visitando, in una parola facendosi vicini a chi è nel bisogno”; la sua “sala regale è allestita dove c’è chi soffre e ha bisogno di aiuto”; sorelle e fratelli “prediletti” sono le donne e gli uomini “più fragili”. Amici sono coloro che hanno lo stesso stile di Gesù: “la compassione, la misericordia, la tenerezza”.
Un programma impegnativo, un Vangelo che interroga tutti e che chiede se abbiamo davvero messo in primo piano il bene comune, l’attenzione all’altro; se siamo chiusi nel nostro piccolo mondo o se abbiamo teso la mano e accompagnato chi ha chiesto solidarietà. La differenza tra essere “pecore” e non “capre”, come leggiamo in Matteo, è tutta qui: fare o non fare, azione o omissione.
Nelle parole preparate per questa domenica, non mancano i riferimenti all’attualità. In primo luogo, il conflitto tra Israele e Palestina: “c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti: pensiamo alle loro famiglie”.
Nello stesso tempo si chiede che “entrino a Gaza più aiuti umanitari, e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace”. Quindi l’Ucraina che ha commemorato l’Holodomor, il genocidio perpetrato 90 anni fa dal regime sovietico, che causò la morte per fame di milioni di persone: “lacerante ferita” resa ancora più dolorosa dalle atrocità della guerra in atto. La preghiera – “per tutti i popoli dilaniati dai conflitti” – è “la forza della pace che infrange la spirale dell’odio, spezza il circolo della vendetta e apre vie insperate di riconciliazione”.
Conferma, infine il papa, che sabato 2 dicembre sarà a Dubai alla Cop 28, perché il nostro mondo è minacciato “da un altro grande pericolo, quello climatico, che mette a rischio la vita sulla terra, specialmente le future generazioni. E questo è contrario al progetto di Dio”.
Si è svolta giovedì pomeriggio, 23 novembre, in concattedrale l’assemblea diocesana, momento di confronto costruttivo sul cammino sinodale in corso. I lavori sono stati introdotti da un momento di accoglienza da parte del vicario per la pastorale mons. Luigi Romanazzi e dalla preghiera iniziale con l’invocazione allo Spirito Santo guidata dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero.
La sintesi e le tappe del cammino sinodale diocesano compiuto in questi anni sono state trattate nella relazione dell’avv. Piero Paesanti mentre la presentazione del brano biblico dei discepoli di Emmaus (fase sapienziale del Sinodo) è stata a cura dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero. Ha fatto seguito un confronto comunitario fra piccoli gruppi sui quesiti attinenti alcuni aspetti presentati nell’assemblea.
Al termine, le conclusioni dell’arcivescovo.
Pubblichiamo gli interventi e le conclusioni dell’arcivescovo (assieme alla relazione dell’avv. Pietro Paesanti), rese disponibili grazie al paziente lavoro di sbobinatura effettuato da Elena Falcone, consacrata dell’Ordo Virginum, che ringraziamo sentitamente.
Introduzione dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero: Riconoscere negli altri gli amici per il cammino comune verso il Bene
foto G. Leva
La testimonianza che ci viene data in tutto il libro degli Atti ci parla di un ideale: erano un cuor solo e un’anima sola. Certamente questo è l’ideale verso cui dobbiamo camminare, è l’ideale per la nostra esperienza di vita quotidiana e di vita di comunione. Ma dobbiamo fare i conti con le nostre resistenze, con il nostro modo di pensare. Allora lo sforzo che ci chiede questo libro degli Atti degli Apostoli è quello di non perdere mai di vista l’ideale per poter trainare la nostra storia, alla luce della meta e dell’inizio nuovo, che è sempre oltre, perché non possiamo mai sentirci appagati. Il nostro obiettivo è quello di Gesù, dobbiamo orientare la nostra vita al suo cuore: è quello che si viene chiesto. Per farlo abbiamo bisogno di lavorare insieme su tutte le nostre resistenze per vincerle. Quelle però non devono spaventarci. Dobbiamo permettere allo Spirito che agisce nella vita della Chiesa di protendere la nostra vita e quella delle nostre comunità verso il Bene Assoluto. Questo lo raggiungeremo quando la nostra vita sarà presa tutta quanta dal Figlio e consegnata al Padre. Quindi c’è molto da lavorare. Il primo cambiamento è nel nostro cuore per riuscire a riconoscere negli altri gli amici cari del cammino comune per poter vivere secondo il Vangelo, attraverso la propria esperienza e quella delle nostre comunità. Ci aiuti allora davvero il Signore! Questa assemblea ci dia proprio un bel messaggio per rinnovare le nostre menti e il nostro cuore per camminare non solo noi comunità tarantina ma insieme a tutta la Chiesa, accogliendo l’invito del Santo Padre per una esperienza sempre più coinvolgente ed inclusiva, termine quest’ultimo che lui spesso utilizza. Lasciamo spazio allora perché lo Spirito possa agire.
Presentazione del brano biblico dei discepoli di Emmaus, l’icona dell’esperienza sinodale
foto G. Leva
Vi state rendendo conto che il mondo va da un’altra parte e che la Chiesa si sta invecchiando e non accogliamo nessuno? Ci lasciamo spingere dove il mondo ci vuole senza portare il Vangelo del Signore, dare luce ad essere luce. Questa è la preoccupazione del papa, ch ci invita a reagire. Lui fa bene a farlo con toni molto forti, per caricarci e metterci sempre in cammino.
Il testo del vangelo di San Luca ci aiuta proprio in questo perché è un brano sintesi della Chiesa, è una sintesi anche della vita terrena di Gesù, dell’incontro tra Gesù e i discepoli, dell’amore incarnato, in un messaggio che prende tutta la vita, fino al dono di sé. Proprio in quel dono si manifesta la potenza del Dio della vita: sarebbe già tanto che il Dio si sia fatto uomo, ma il Figlio di Dio ha tolto anche le barriere del limite umano. Ora leggiamo il testo tratto dal Vangelo di Luca.
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Questo è un testo che ci fa rivivere la nostra esperienza in maniera immediata perché ci mette in un fiume di grazia, di attesa, di accoglienza, ponendoci davanti a un futuro da costruire insieme, segnato dall’annuncio dei discepoli. Questo testo non ci dà solo un insegnamento o, attraverso un segno, un fatto mirabile che ci manifesta qualcosa della vita del Signore e ce lo rivela sempre di più. No, questa è una sintesi tale che ci possiamo ritrovare tutti nelle diverse situazioni e mette ordine nella nostra vita cristiana. Questo testo ci fa capire chi siamo. Tante volte non sappiamo chi siamo come cristiani. Tante volte pensiamo di esserlo nella mentalità del nostro agire personale e individuale, tanto da tenere lontani gli altri: per esempio, quando vado a fare le mie devozioni e mi sento meglio o quando sono solo davanti al Santissimo Sacramento e pretendo che gli altri non mi diano fastidio, oppure quando sto bene nel mio gruppo perché leggiamo insieme la parola di Dio e cresciamo tanto nella fede ma gli altri stiano alla larga: se sono come noi è possono farlo, altrimenti non capiscono. Potrei declinare ancora altri esempi. Questa parola invece ci spiazza. Due discepoli fanno un’esperienza forte di Gesù e la compiono quando entrano in sintonia con Lui. Si aprirono i loro occhi, cioè gli hanno dato ascolto, hanno fatto discernimento (questa espressione prima era solo per gli addetti ai lavori). Si conosce veramente Gesù quando si è disposti a condividere La sua missione di salvezza. Ecco la sintesi. Non è semplicemente un sentirsi sollevati dopo una cura energica di rivitalizzante evangelico. No, perchè così stai affrontando i tuoi problemi, le tue fissazioni. Ma è veramente quello il progetto d’amore di Gesù?
Si aprirono gli occhi: Ma prima erano ciechi? Sono entrati in sintonia con Gesù solo allora riescono a comprendere tutto ciò che è accaduto nella storia del Nazareno. Se non entro in sintonia con Lui non capisco per esempio il miracolo dei pani e dei pesci, non capisco perché ha resuscitato la figlia di Giairo, non capisco quel porgere l’altra guancia. Diventa tutto incomprensibile. Devo entrare in sintonia con lui e allora sì che capisco. Quella storia di noi due che diventa la storia di Gesù, lo sconosciuto. È la storia di Gesù che diventa la storia dei discepoli. Tuttavia bisogna essere disposti a camminare con Lui, lasciandoci incontrare da Lui. Scusate se sembra che banalizzo ma non è così. Molte volte un cristiano che entra in Chiesa e la vede come un circolo privato: non capirà mai perché ci vogliamo bene se non si sente accolto nella nostra comunità. Se questo succede vuol dire che non abbiamo capito abbastanza. Allora l’essere disposti a camminare con Gesù significa cogliere il suo passo come Lui segue il nostro. E’ quel camminare che rende possibile l’ascolto e rende possibile l’incontro. Di questo abbiamo esperienza nei pellegrinaggi. Fare un pellegrinaggio significa accorgersi di camminare a fianco a persone che non conosci che poi si riconoscono fratelli e sorelle. Camminare insieme indica una reciprocità, cioè mettersi in parte nelle mani dell’altro, aspettando il passo dell’altro. Bisogna riconoscersi perché ognuno possa dire qualcosa. I due parlano con lo sconosciuto, quindi si aprono con il cuore avendo fiducia nell’altro. Il dialogare significa riconoscere che quell’altro è qualcuno per me e ho fiducia in lui.
Lungo la strada ci si racconta parte della propria storia, che è una storia di fede, di speranza. Ad un certo punto però i due discepoli si rendono conto che qualcosa non ha funzionato perché non avevano ancora capito. Ma se non si cammina con lui e in lui non si capirà mai. Perché non dobbiamo fare la Carità? Perché dobbiamo aprire gli empori della solidarietà, come avvenuto di recente in concattedrale? Perché dobbiamo tenere le case di accoglienza per i bambini meno fortunati? Questo solo se apriamo il capitolo della Carità, ma poi ci sono gli altri capitoli. Perché dobbiamo tenere il regolo a tutti i registri parrocchiali? Perché si cammina anche qui, per il cammino con Lui. Quando riesci a capire che Lui rispetta tutti noi e ci aspetta, ecco che si rivela a noi. Con i discepoli di Emmaus fece come se dovesse andare più lontano. Ma non lo devi lasciare andare via perché nel momento in cui lo hai trovato lo devi stringere a te e ti devi lasciar stringere da Lui. Questa è l’esperienza che tu fai con il Signore dove trovi la sua persona, troviamo le nostre persone e capiamo la dignità di ciascuno. Tutto questo accade solo se entriamo in questo mistero.
Ed essi narravano ciò che era accaduto: quanto è faticoso! Ecco l’immagine bella della pagina di Emmaus che illumina il nostro cammino, quello delle comunità, della Chiesa: cresciamo sempre di più come Chiesa se ci accogliamo e facciamo il Cammino tutti insieme, anche con i nostri limiti e delusioni, le nostre miserie. Il Signore ha il senso della nostra vita.
Lasciamoci sempre illuminare da questa pagina straordinaria che ci fa entrare nella dimensione nella vita in Dio, della vita cristiana, della vita della comunità, della missione del nostro essere e agire cristiano. Il Signore ci illumini sempre e ci orienti in questa dimensione dettata da questo stralcio del Vangelo di Luca.
Sintesi e tappe del cammino sinodale diocesano: relazione dell’avv. Piero Paesanti
Accorgersi di Colui che ci mette insieme e che già ci cammina accanto
foto G. Leva
Il processo avviato in diocesi, in piena adesione alla chiamata per la Chiesa universale, non è immune dal rischio di ridurne la portata trascurando il vero Protagonista. Il monito postumo di Benedetto XVI sulle insidie di una Chiesa intesa in chiave politica è del resto di grande attualità; per cui occorre sempre ripartire con umiltà dalle ragioni ultime del servizio: “l’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente”[1].
È invece in gioco, più radicalmente, la riscoperta della vocazione battesimale e, quindi, della responsabilità di ciascuno nell’accogliere e vivere l’Unità della Chiesa “perché il mondo creda”. Il Santo padre, durante la veglia ecumenica vissuta il 30 settembre u.s. in occasione della apertura della Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, ci ha richiamato molto fermamente proprio alla responsabilità di seminare i doni elargiti dallo Spirito Santo, nella certezza che Dio solo dona la crescita (Cfr 1 Cor 3,6) e di accogliere il dono dell’unità come Cristo la vuole, con i mezzi che Lui vuole, non come frutto autonomo dei nostri sforzi e secondo criteri puramente umani.
L’esperienza del Sinodo, allora, portandoci a seguire i passi che lo Spirito ci invita a compiere, non ci chiede di interrogarci su «che cosa il mondo deve cambiare per avvicinarsi alla Chiesa», ma su «che cosa la Chiesa deve cambiare per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo» (Linee guida CEI, 12).
La via è la “conversazione nello Spirito”, riconosciuta dall’Instrumentum laboris del Sinodo della Chiesa universale come esperienza feconda in cui «la presa di parola e l’ascolto dei partecipanti al cammino diventano liturgia e preghiera, al cui interno il Signore si rende presente e attira verso forme sempre più autentiche di comunione e discernimento» (n. 35). Questo perché discernere è tenere fermo lo sguardo di fede per vedere quel che davvero è in gioco, oltre sé stessi.
La nostra Chiesa locale ha certamente accolto la sfida e già sta sperimentando la bellezza di questo cammino. Proprio perché è un cammino, però, il passo non è lo stesso per tutti e non mancano nemmeno soste, riprese e cadute. I contributi pervenuti dalle parrocchie sono stati, ad esempio, inferiori rispetto a quelli attesi, ma tutti coloro che hanno espresso il proprio “sì” alla chiamata dello Spirito hanno potuto documentare la profondità di questa esperienza.
Il primo anno è stato caratterizzato da un ascolto diffuso, attraverso i gruppi sinodali articolati su più livelli di consultazione: inter-vicariale; parrocchiale; ambienti di vita e diocesi. In una totale convergenza con gli esiti nazionali, è emerso con chiarezza che “l’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale”, imponendosi con altrettanta evidenza la “necessità che le strutture siano poste a servizio della missione”.
Tali premesse hanno motivato, nel secondo anno della fase narrativa, l’avvio del Cantiere dell’Ospitalità e della Casa, in cui è stata messa a tema la verifica della esperienza vissuta attraverso le opere della Caritas ma anche di tutti coloro che, nelle parrocchie, nelle confraternite, nelle associazioni, nei movimenti laicali e in altre realtà ecclesiali, sono impegnati in esperienze di carità. Di fatto è stata anticipata la proposta che oggi è caldeggiata proprio negli Orientamenti metodologici per il discernimento della fase sapienziale nelle Diocesi; cosicché si inteso avviare una prima “conversione” delle strutture tentando di rilanciare, non senza fatica, l’operatività del Consiglio pastorale diocesano, così anche accogliendo l’espresso invito degli stessi presbiteri a non ridurre gli organismi di partecipazione a luoghi di ratifica di decisioni già prese.
È bello vedere lo Spirito all’opera e ritrovare i frutti di questa stessa esperienza anche nel richiamo da ultimo espresso nella Relazione di Sintesi alla prima sessione della Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi dello scorso mese di ottobre in cui, proprio in tema di “Chiesa che ascolta ed accompagna”, si rimarca che «la Chiesa non parte da zero, ma dispone già di numerose istituzioni e strutture che svolgono questo compito prezioso. Pensiamo ad esempio al capillare lavoro di ascolto e accompagnamento di poveri, emarginati, migranti e rifugiati realizzato dalle Caritas e da molte altre realtà legate alla vita consacrata o all’associazionismo laicale. Occorre operare per potenziare il loro legame con la vita della comunità, evitando che siano percepite come attività delegate ad alcuni».
In conclusione, dopo i primi due anni di ascolto della “fase narrativa” – che precludono al discernimento comunitario della “fase sapienziale”, in cui saranno elaborate le proposte per le decisioni da assumere nella “fase profetica” – cominciano allora a delinearsi dei punti di convergenza molto chiari. Sebbene l’ascolto sia già annuncio, si palesa un debito di ascolto soprattutto nei confronti dei giovani e delle vittime di abuso (tanto sessuale quanto di potere). Ci sono molte differenze che reclamano accoglienza (di genere e generazionali; culturali e sociali; storie ferite; orientamento sessuale). La Chiesa sembra talvolta perfino mostrare un volto “arcigno”, comunicando un Dio giudice piuttosto che un Padre misericordioso. Le stesse Comunità sono talvolta percepite come “bolle” di fede. Per contro è sempre in agguato il rischio di ridurre la Chiesa ad un centro di erogazione di servizi, materiali o finanche sacramentali. Si auspica però una pastorale “allargata”, in cui si sperimenti davvero una relazione schietta e competente con gli ambienti laici. Così come è espresso un forte bisogno di essere accompagnati, anche solo per un tratto di strada, attraverso il dono di sé. Emerge su tutti il punto cruciale: la domanda di testimoni credibili mentre la fede sembra non essere più vissuta, o quanto meno percepita, come davvero pertinente alle esigenze concrete del vivere.
Il Sinodo non apre un plebiscito sulle scelte future della Chiesa; né si tratta di votare a maggioranza su questioni annose. È questo un tempo in cui ciascuno è chiamato ad una conversione (cioè letteralmente a spostare lo sguardo), per accorgersi di Colui che ci mette insieme e che già ci cammina accanto; proprio perché, così, la Chiesa stessa orienti il proprio passo “dove Dio vuole e non dove ci porterebbero le nostre idee e i nostri gusti personali” (Riflessione del Santo padre per l’inizio del percorso sinodale – 9 ottobre 2021).
[1] Benedetto XVI, Che cos’è il Cristianesimo, Milano, I Ed. 2023, pagg. 157, 159
Le conclusioni dell’arcivescovo
foto G. Leva
Nella gioia di camminare insieme
Ora ci si chiede che cosa faremo, ma io non lo so! Certamente ci impegneremo veramente a essere testimoni di Gesù Cristo. Dai vari gruppi di condivisione è emersa certamente tanta ricchezza di proposte, ma anche i desideri di essere un po’ più attenti alle persone che ci sono vicino. È emerso anche il desiderio di camminare insieme, per essere sempre di più diocesani: non che non lo siamo, ma desideriamo esserlo ancora di più, con tutto quello che ne consegue. È necessario dunque un dialogo sempre più vero è aperto al mistero, essere conosciuti perché ci vogliamo bene e ci sentiamo uniti. Questo si dovrebbe vedere! Abbiamo bisogno di lavorare ancora molto sulla vita ecclesiale, quindi non solo un lavoro formale perché dobbiamo fare delle cose che devono funzionare. E cosa significa questo? Secondo il bene comune, non solo a noi che siamo qui ma alla Chiesa, nell’ottica della pastorale integrata.
Al convegno svoltosi a Firenze, il papa disse di non aspettarsi qualcosa di nuovo, in quanto ciò che doveva dire era già scritto nell’Evangelii Gaudium. Noi non dobbiamo fare altro che sforzarci di vivere il Vangelo insieme. Non sono i programmi che fanno vivere bene il Vangelo ma il volerci bene, il testimoniare e vivere la Parola, annunciandola con la nostra vita.
Allora io non ho un programma in questo senso qui, ma vivremo insieme tutte queste tensioni spirituali, tutto questo amore. Ma come si fa? La Chiesa non è un parlamento ma è il luogo dove si fa discernimento, dove ci si ascolta per bene di tutti, dove si aiuta il parroco a guidare la comunità e seguire il vescovo. Questo sarà certamente il nostro percorso, ma intanto dobbiamo vivere il Vangelo giorno per giorno. Come possiamo attuare tutto questo nell’oggi? Io ho iniziato a incontrare diverse parrocchie e avviare un discernimento. Tutto questo deve diventare uno stile di vita da assumere sempre perché questo ci aiuterà non solo nel confronto e a capire cosa oggi posso fare per queste esigenze, per questa realtà. Questo lo posso fare se vivo la comunità, se mi metto in ascolto. Questo è il mio stile, perché anche io sono stato parroco e così facevo nella mia parrocchia. Certo non dobbiamo condividere tutte le vedute, ma comprendere che ciascuno è una ricchezza. Dobbiamo fare discernimento per capire dove c’è il meglio per far crescere tutta la comunità e tutta la Chiesa diocesana. Questo è il mio sguardo sulla Chiesa di diocesana. Come ho constatato oggi, ci troviamo in piena sintonia, perché la Chiesa respira la stessa aria. Davvero sto trovando tante ricchezze, ma bisogna mettere tutto insieme.
Al vostro arrivo vi è stata consegnata una piccola agenda diocesana che ci aiuterà a ricordare gli appuntamenti e ad organizzarci per tempo. Indicatemi quali sono le iniziative alle quali invitare il Vescovo e così dal prossimo mese di settembre avremo il programma per tutto l’anno. Questa agenda pastorale è arricchita di tutte le motivazioni, tenendo presenti quelle dei vari uffici e delle vicarie e che poi si traducono in esperienza. E non dovete fare le cose solo perché ve le dico io. Certo io alcune cose ve le dico, ma dobbiamo conoscere e costruire insieme quello che facciamo per il bene di tutti: non solo per il nostro ma per quello di tutti i battezzati della diocesi di Taranto, per tutti coloro che sono presenti sul nostro territorio. Lo so è ardito, ma perché, per esempio, non mandare gli auguri di Natale a tutte le famiglie della parrocchia, invece di scriverlo su Tik Tok. Certo, non dobbiamo diventare come i Testimoni di Geova per convincere gli altri, ma essere presenti. Questo nostro impegno serve per comunicare il Vangelo e cercare le esperienze che possono arrivare al cuore delle persone perché se nessuno bussa al loro cuore come fanno a conoscere Gesù?
È stato bello gustare la festa di Santa Cecilia con cui voi tarantini anticipate le feste natalizie. Ecco che cosa bisogna incoraggiare: il riscoprire insieme non solo per gli addetti ai lavori ma tutti insieme. Cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide
Dobbiamo organizzare la speranza. Dobbiamo essere insieme portatori di speranza dove viviamo nella nostra vita. Ecco, questa sera ci siamo riagganciati alla fase nazionale sul Sinodo per poi continuare con maggiore forza e consapevolezza. Allora ringrazio i parroci, i collaboratori e tutti voi presenti: confraternite, istituti religiosi ecc. Allora vediamo quanta ricchezza, quanti ci hanno raggiunti oggi con la loro gioia e le loro fatiche per stare bene nella Chiesa. Continuiamo così!
Suor Saleh: “Sempre più cristiani vogliono emigrare da Gaza”
Sono le ultime ore di tregua nella Striscia. I cristiani sfollati nella parrocchia latina hanno potuto in questi tre giorni uscire per andare a vedere ciò che resta delle loro abitazioni
“Oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti – pensiamo alle loro famiglie! –, che entrino a Gaza più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace”.
Le parole di papa Francesco, all’angelus di ieri, lette da mons. Paolo Braida, capo ufficio della Segreteria di Stato, dalla cappella di Casa Santa Marta a causa di una sindrome influenzale del pontefice, hanno raggiunto la comunità cristiana di Gaza. Un ricordo continuo, quello del papa, alimentato anche da “telefonate quotidiane” alla parrocchia della Sacra Famiglia, come ricorda suor Nabila Saleh.
Voglia di emigrare
“In questi giorni di tregua – dichiara la religiosa che si trova nella parrocchia latina di Gaza con altri 700 sfollati – i nostri cristiani sono usciti, per la prima volta dallo scoppio della guerra, dalla parrocchia per tornare finalmente nelle loro abitazioni e verificarne lo stato. Purtroppo tutti hanno avuto le case bombardate e distrutte. Anche per questo motivo – rivela – molti stanno pensando di emigrare. Questa guerra sta minando la loro volontà di restare a Gaza e sono già tanti coloro che hanno deciso di emigrare. L’Australia è una delle mete più ambite”. Una scelta che poggia sulla decisione, assunta recentemente dal Governo australiano, di approvare, tra il 7 ottobre e il 20 novembre, più di 800 visti per i palestinesi e oltre 1.700 per i cittadini israeliani. Si tratta di un visto turistico, rilasciato previo approfondito controllo di sicurezza, che consente l’ingresso temporaneo fino a 12 mesi. Analoga decisione l’Australia l’aveva assunta per 3.000 visti turistici a cittadini ucraini (tra il 23 febbraio e l’11 marzo 2022), dopo l’invasione russa e per 5.000 afghani (tra il 18 agosto e il 20 settembre 2021), dopo il ritiro degli Stati Uniti dal Paese e il ritorno al potere dei talebani. “Se la guerra non finirà subito – rimarca suor Saleh – il rischio che Gaza resti senza la già piccola comunità cristiana (poco più di 1000 fedeli, ndr.) è molto concreto e sarebbe una grave perdita per tutta la Striscia”.
Ultimo giorno di tregua
Oggi, 27 novembre, la tregua entra nel suo quarto, e probabilmente, ultimo giorno e, spiega suor Saleh, “migliaia di gazawi tenteranno ancora di rientrare in casa anche per cercare di prendere oggetti e effetti personali, ma soprattutto per reperire cibo, acqua, gas, carburante”, dopo che da venerdì scorso circa 350 mezzi, con aiuti umanitari, sono entrati dal valico di Rafah nella Striscia. Numeri che, sostiene la suora, “non sono sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione stremata dalla guerra. Inoltre non a tutti sarà possibile andare a vedere perché – ricorda – ci sono dei quartieri cosiddetti ‘rossi’, controllati dai carri armati israeliani, che impediscono a chiunque l’accesso”.
Gaza – foto N. Saleh
Gaza – foto N. Saleh
Gaza – foto N. Saleh
Gaza – foto N. Saleh
Gaza – foto N. Saleh
Natale senza luci
In mezzo a tanta distruzione, aggiunge la religiosa, “ora è davvero difficile guardare al prossimo Natale. Non avremo luci e feste per la nascita di Gesù, ma lo celebreremo solo in chiesa con la messa” in linea con la richiesta dei patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme, datata 10 novembre, al clero e ai fedeli, di rinunciare a “tutte le attività e segni festivi non necessari e di concentrarsi maggiormente sul significato spirituale del Natale, ponendo attenzione ai nostri fratelli e sorelle colpiti da questa guerra e dalle sue conseguenze, e a elevare ferventi preghiere per una pace giusta e duratura per la nostra amata Terra Santa”. La comunità sfollata in parrocchia si appresta a vivere il tempo di Avvento con una sola preghiera: “il dono della pace e della giustizia”. “Celebreremo il Natale tutti insieme in parrocchia” afferma suor Nabila consapevole che, “restando queste le condizioni”, non ci saranno né la visita del patriarca, né visti natalizi di Israele per i cristiani della Striscia, necessari per recarsi a Gerusalemme e Betlemme a pregare e a trovare i familiari. Alla comunità cristiana di Gaza non resterà che affidarsi alle notizie che arriveranno da una Betlemme deserta e priva di luci, dove sabato 2 dicembre, vigilia di Avvento, farà il suo ‘ingresso’, in un clima di silenzio, il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton. Il 24 dicembre sarà la volta del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che, come tradizione, celebrerà la messa di mezzanotte alla presenza dei rappresentanti diplomatici e, salvo cambiamenti, del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.
L’ufficio diocesano Cultura ha avviato le attività pastorali per l’anno 2023-2024, dando inizio al II corso di formazione sul tema: “L’umanesimo europeo per la fraternità dei popoli”. L’argomento sarà trattato nel corso di sette incontri, che si svolgeranno durante tutto quest’anno pastorale, con cadenza mensile.
Il primo appuntamento sul tema “Fratelli tutti, senza frontiere: Francesco d’Assisi, fratello universale” si è svolto venerdì 24 novembre 2023, nell’auditorium S. Roberto Bellarmino. Gli incontri sono curati da don Antonio Rubino, vicario episcopale per la Cultura, e sono guidati dal prof. Lino Prenna, docente universitario. Al primo incontro, nonché serata inaugurale del corso, ha partecipato anche mons. Ciro Miniero, arcivescovo di Taranto, il quale ha accettato volentieri di essere presente per dare inizio a questo momento di formazione e di riflessione. Dopo il saluto e l’introduzione di don Antonio, il prof. Prenna e mons. Miniero hanno relazionato rispettivamente sul concetto di “nuovo umanesimo europeo”, proposto da papa Francesco, e sull’enciclica “Fratelli tutti”, scritta dal pontefice stesso.
Una transizione antropologica verso un nuovo umanesimo europeo
foto G. Leva
Come ha ricordato il prof. Prenna in apertura, il nuovo umanesimo non è altro che la risposta alla profonda crisi antropologica che il mondo sta vivendo, promuovendo una transizione antropologica “caratterizzata dal passaggio dall’io al noi, dall’individualismo, che divide, al personalismo, che condivide”. È questo l’“umanesimo” già delineato da papa Francesco durante il V Convegno ecclesiale della Chiesa italiana di Firenze del 2015, che presto diventerà un “nuovo umanesimo” come affermato dal pontefice durante il discorso tenuto in occasione della cerimonia di assegnazione del premio Carlo Magno del 2016. Il professore, infatti, prosegue ricordando: “Francesco sogna un nuovo umanesimo europeo, partendo dalla constatazione di un’Europa stanca e indifferente, un’indifferenza che come una ragnatela si è rappresa sul volto dell’Europa di oggi, impedendo di vedere come quel volto sia stato costruito da una lunga storia di fraternità, di cultura, di arte, di letteratura”.
A partire dall’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, il relatore ha sottolineato la complessità e suggestività del pensiero del pontefice, abile nel distinguere il popolarismo, proprio del popolo, dal populismo, tipico della massa. In riferimento a un’intervista rilasciata da papa Francesco nel 2019, al giornalista Domenico Agasso, il quale chiede al pontefice cosa pensi del popolarismo, il prof. Prenna ha affermato: “Francesco risponde che il popolarismo è la cultura del popolo. È un genitivo soggettivo e oggettivo, il popolo è soggetto e oggetto della cultura, il popolo è: il farsi della storia, un destino comune, un percorso che attraversa la storia e, come un fiume, porta con sé alla foce tutto ciò che trova nel suo letto”.
L’umanesimo, allora, è la costruzione del popolo e un nuovo umanesimo può elevare il popolo ed essere promotore di una rinnovata fraternità tra i popoli stessi. Il passaggio conclusivo dell’intervento del professore chiama in causa l’enciclica “Fratelli tutti” definita dal relatore come “una esplicita e argomentata declinazione di questo umanesimo della fraternità” al punto che “l’introduzione, che comprende i primi otto numeri del testo, è tutta ispirata all’umanesimo senza frontiere di San Francesco d’Assisi, si dilunga a spiegare come San Francesco ha vissuto questa fraternità e, soprattutto, questo umanesimo della fraternità”.
San Francesco, modello per una fraternità concreta e universale
foto G. Leva
Mons. Miniero, nel ringraziare il prof. Lino Prenna e don Antonio Rubino, ha affermato che il cambiamento in atto nella nostra società è evidente, ma difficilmente percepito dalle nuove generazioni. Ricollegandosi al Convegno ecclesiale di Firenze, citato dal prof. Prenna, l’arcivescovo ha così sintetizzato il pensiero del papa: “Il Santo Padre non vuole vivere di tematiche e dare tematiche. Egli vuole scuotere i nostri cuori, forse a volte appesantiti da questi tempi non semplici, per riportare la freschezza dell’annuncio del vangelo in una dimensione umana”. Il vangelo certamente non è elitario, ma vivere in una società frammentata, come la nostra, può farci dimenticare che il vangelo stesso è sempre la forza di una “umanità nuova, che continuamente si rinnova”.
Sono state illuminanti le parole dell’arcivescovo sull’enciclica “Fratelli tutti”: “È l’enciclica sociale, che ha, però, sullo sfondo un personaggio, chiarissimo; il titolo, infatti, è mutuato dalle “Annotazioni” di San Francesco, che usava quelle parole per rivolgersi a tutti i fratelli e sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo”. Il Santo di Assisi comprende il progetto di amore di Dio per il suo popolo e lo fa suo: “Egli trasforma i giovani intorno a lui, amici di brigata, in legionari, persone che con lui faranno ogni sacrificio per rendere possibile quello che il per il Signore è stato il suo progetto di amore, quindi realizza una fraternità universale”.
Con acuta ironia mons. Miniero parla degli “scherzi della storia”, per riassumere il pontificato di papa Francesco: “Un papa di nome Francesco che sceglie però con il metodo gesuita, ignaziano, di Sant’Ignazio di Loyola e che mette insieme immediatezza e prontezza del poverello di Assisi e riflessione, attenzione, discernimento della volontà di Dio”. Dopo aver definito l’obiettivo dell’enciclica di promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale, l’arcivescovo ha ricordato che il motivo ispiratore, spesso citato, è il Documento sulla fratellanza umana firmato dal papa e dal grande Imam di Al-Azhar nel 2019 e che l’eco di molti documenti dell’America Latina, quali “Medellín” e “Puebla”, si percepisce in modo chiaro.
In conclusione, mons. Miniero ha fatto emergere l’importanza di promuovere concretamente la fraternità, non solo a parole, ma nei fatti; inoltre, ha sottolineato la necessità di una universalità capace di inglobare tale fraternità, condannando la guerra e la pena di morte e richiamando al perdono, alla memoria e alla giustizia. Da qui i riferimenti finali dell’enciclica a “Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il Santo Charles de Foucauld, allora ancora Beato, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi per divenire il fratello universale”. “Fratelli tutti”, dunque, è davvero, come ha affermato l’arcivescovo: “La lettera che abbraccia tutta la complessità della vita umana, sociale, economica e del rapporto tra i popoli. È una gemma perché possiamo tutti gioire della bellezza della fraternità”.
Muovendo da queste premesse, il prossimo incontro del corso di formazione tratterà il tema: “L’umanesimo planetario di Paolo VI”. Per qualunque informazione si rimanda al sito dell’Ufficio di pastorale della Cultura: http://cultura.diocesi.taranto.it/