Costanze Reuscher: l’informazione in Italia è troppo asservita al potere politico
Il suo è un volto familiare per i tanti spettatori che da anni seguono “Propaganda live”. L’accento tedesco appena evidente, la sua risata fragorosa che risuona durante le varie fasi del programma sono segni di riconoscimento inequivocabili. Stiamo parlando di Costanze Reuscher, che a Taranto ha presentato con il coautore Leoluca Orlando, il libro “Enigma Palermo”, per iniziativa di Gianni Liviano e dell’Associazione La Città che vogliamo. Conoscendo la sua esperienza di autorevole giornalista, da ormai trent’anni in Italia, le abbiamo rivolto alcune domande.
A quanto pare, Leoluca Orlando è stato, per lei, come una chiave per entrare nei problemi dell’Italia.
Assolutamente. Ho conosciuto Leoluca Orlando nel 1990 quando, da appena due giorni, aveva fondato La Rete. Era una chiave in molti sensi: era il sindaco di una grande città del Sud, assalita dal potere mafioso e molto sofferente per questo assedio che riguardava tutti gli aspetti della vita pubblica: la corruzione, l’edilizia con il “sacco di Palermo”, fino alla raffica di omicidi. Allo stesso tempo era un politico che faceva la guerra ai partiti tradizionali, a cominciare dal suo, dal momento che aveva il coraggio di opporsi ad Andreotti, di pretendere di poter cambiare qualcosa dall’interno del partito. La cosa però non gli è riuscita, ragion per cui ha fondato un nuovo movimento. Era un politico a due livelli: a livello locale, con il drammatico problema della mafia, e un livello nazionale, dove contrastava i partiti tradizionali che, proprio per il loro livello di corruzione, sarebbero stati travolti, solo pochi anni dopo, da Tangentopoli.
Quanto avremmo bisogno di un nuovo Leoluca Orlando oggi?
Tantissimo. C’è tantissimo bisogno di un novo Leoluca Orlando perché oggi abbiamo solo politici che cercano solo di vincere le elezioni per avere qualche poltrona per se stessi e per la propria corrente. Ci vorrebbe, invece, qualcuno che avesse una visione del paese, più che di se stesso. L’ultimo che avevo individuato nel mio lavoro da giornalista straniera, che deve analizzare il campo e vedere anche nuovi fenomeni, era Matteo Renzi, che però non ce l’ha fatta, perché la sua visione era a breve termine. Aveva ottime idee, ma ha legato tutto esclusivamente alla propria persona. Certamente, i leader importanti sviluppano le proprie idee attorno alla propria persona, ma lui ha esagerato e ha fallito in tutto, e ora guida un partitino che non ha nessuna rilevanza e, mi sembra di capire, nessuna visione del paese.
E la tua visione della cultura e del giornalismo italiano? Da quando sei arrivata in Italia, trent’anni fa, le cose sono migliorate o peggiorate?
È tutto molto peggiorato con l’avvento di Silvio Berlusconi. Con la sua politica ha completamente cambiato la cultura del giornalismo e tante altre culture del paese. Ma per quanro tiguarda specificamente l’informazione, ora i giornalisti sembrano essere più obbedienti al padrone. Sono pochi i giornali sopravvissuti che cercano di essere indipendenti, assolutamente di nicchia. Vedo, ad esempio, “il Manifesto” che però non ha nessuna rilevanza, o “Domani” e altre iniziative che però non incidono. Ma in sostanza vedo un grande appiattimento, anche perché il giornalismo in generale soffre una gravissima crisi. Di consegenza il giornalista fa quello che gli detta la linea del giornale, assenso i giornali tutti dipendenti da persone direttamente coinvolti nella politica e mai liberi e indipendenti. In Italia, infatti, ci sono pochissimi editori indipendenti e il giornalismo non aiuta, limitandosi a seguire il politico del giorno, si esso Lollobrigida piuttosto di Calenda, Conte piuttosto di Meloni. Racconta ciò di cui si parla ma senza una sufficiente analisi. In Europa invece si riscontra una visione molto critica delle politica in sé, si cercano nuove idee, nuove soluzioni, nuovi approcci. È proprio quello che manca in Italia.