Ex Ilva, don Antonio Panico (Salvaguardia del Creato-Taranto): “Momento di grande incertezza per la città e i lavoratori”
Alla luce dei recenti fatti in continua evoluzione, il Sir ha fatto il punto della situazione con il vicario episcopale della diocesi di Taranto per la Giustizia e la custodia del Creato, la pastorale sociale e il lavoro, profondo conoscitore della vicenda del siderurgico
Il Governo sul dossier dell’ex Ilva è al lavoro per arrivare ad un accordo per un divorzio consensuale con ArcelorMittal ed evitare così un contenzioso legale che si preannuncia abbastanza lungo. Entro mercoledì si avrà una risposta ma l’unica soluzione per l’esecutivo guidato dal presidente Meloni per ora sembra essere quella di “far fuori” il colosso franco-indiano, che ha vinto la gara nel 2017, e che ora deve uscire dalla Acciaierie d’Italia di Taranto. La prospettiva, rispetto agli ultimi quattro mesi, è cambiata: prima l’esecutivo ha tentato di ricucire e tenere dentro il socio di maggioranza, tentando di mutare i rapporti. Ora l’unica strada è la separazione. Anche il ministro del Made in Italy e delle Imprese, Adolfo Urso, ha parlato durante l’informativa al Senato, di un “intervento drastico”, della necessità di “cambiare equipaggio alla guida dell’ex Ilva per arrivare a invertire la rotta”. Inoltre Urso ha sottolineato che “non è più possibile condividere la governance con ArcelorMittal”. Alla luce dei recenti fatti in continua evoluzione il Sir ha fatto il punto della situazione con don Antonio Panico, professore, vicario episcopale della diocesi di Taranto per la pastorale sociale, il lavoro, la giustizia e la custodia del Creato e profondo conoscitore della vicenda dell’ex Ilva e delle implicazioni e ripercussioni che l’acciaieria ha sul territorio tarantino.
Che ne pensa degli ultimi sviluppi?
Purtroppo continua a non esserci serenità per i lavoratori e si vive con grande timore quanto sta accadendo in queste ore, perché l’indecisione sembra non dare futuro. Oggettivamente se le cose dovessero restare così come sono, senza un socio privato, diventerebbe veramente oneroso per lo Stato fare tutto da solo. Dovrà cercarsi sicuramente un partner. E qui si arriva a un secondo punto. Ovvero che tipo di garanzie abbiamo rispetto alle questioni legate all’ambiente e alla tutela della salute? Da quello che mi risulta da chi lavora nello stabilimento, in questi anni non si è fatto nulla. Siamo stati abituati a pensare solo alle questioni legate all’inquinamento da diossina, ma ve ne sono numerosi altri, anche cancerogeni.
Che clima c’è tra i lavoratori?
A differenza del passato oggi non c’è più un insieme dei lavoratori che sono contro i cittadini che vorrebbero la chiusura della fabbrica. Oggi i lavoratori vogliono tutele, non solo di tipo contrattuale, ma anche e soprattutto sotto il punto di vista ambientale e della salute. I primi a subire i danni dell’inquinamento, infatti, sono loro. Questo va rimarcato perché troppo spesso non viene sottolineato dai media e da chi decide per il futuro dello stabilimento. C’è un diritto a un lavoro degno, ma c’è anche il diritto imprescindibile alla salute.
Il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha incontrato il 9 gennaio una delegazione di lavoratori dell’ex Ilva di Taranto. L’appuntamento ha permesso al cardinale di “rinnovare la vicinanza e la solidarietà della Chiesa, che passano innanzitutto da un ascolto attento”. Che ne pensa?
È stato un momento molto importante. C’è bisogno di far vedere che la Chiesa c’è, vede, è vigile e attenta.
I lavoratori ricevuti da Zuppi hanno parlato di una Chiesa che si è dimostrata madre…
È una cosa bella. La Chiesa però non è solo madre dei lavoratori, è anche madre delle persone che si sono ammalate di cancro. È madre delle mamme che piangono i loro figli morti o ammalati. La Chiesa ha un’attenzione per tutti, dobbiamo essere accanto a tutti. È fondamentale dirlo ed è fondamentale farlo.
Basti pensare che da un po’ di anni noi qui abbiamo finalmente un polo oncologico pediatrico che abbiamo creato partendo dal basso, con donazioni e diversi sforzi delle persone. A oggi, purtroppo, sono decine i bambini che vengono seguiti da questo polo. È una fabbrica di grande importanza strategica a livello nazionale ed europea. Spegnere oggi un altro forno significherebbe produrre meno acciaio e lasciare che sia l’Asia a occupare quel comparto di mercato. Tuttavia, è necessario produrlo come fanno altrove, in modo pulito e giusto. Si potrebbe fare anche in Italia.