L’affermazione della normalità
In un mondo in cui “vuoti incartati” stravincono a colpi di milioni di seguaci, accumulano soldi basandosi su modelli di affari effimeri e inviano il messaggio che il successo è facile, quel colpo all’incrocio delle linee mette a segno l’essenza di una rivincita. Il successo non è facile. E se lo appare, non tiene a lungo. In un tempo in cui tivù e social ci affibbiano soggetti pieni di nulla se non di sé stessi, Sinner insegna che è certo il contrario. Si diventa forti grazie a un talento, ma le vie dello sport sono dense di talenti con un avvenire dietro le spalle. Il talento, da solo, non basta, nello sport e non solo là. Sinner insegna ciò che c’è da fare per provare a emergere: faticare, prima di tutto. Imparare dagli errori, anziché incolparne gli altri, e crederli utili per capire dove e come formarsi. Agire sulle debolezze perché lo siano sempre meno. Imparare a gestire il successo, ma anzitutto l’insuccesso. Questo ci insegna Sinner, che batte Djokovic e saluta gli italiani poco dopo l’alba, che vince un torneo del Grande Slam e ringrazia i genitori. Questo ci dice: che si può essere persone prima che personaggi, e si può arrivare in alto anche grazie a quel che si capisce dalle sconfitte. Anche il tennis ha presentato, nei decenni, fantastici personaggi, che sono entrati nella storia anche grazie al loro essere “originali”. Come dimenticare la scorrettezza di Jimmy Connors, il distacco di Bjorn Borg, la impulsività di John McEnroe? Si può fare la storia anche così: il tennis non sarebbe la stessa cosa senza Connors, Borg e McEnroe. Sinner non darà mai nulla di tutto ciò alle cronache, ma solo la sua normalità: è la sostanza di questo ragazzo, che forse cambierà, sopraffatto dalla fama e dal successo. Forse. O forse no. Ma la sua storia non si può rimuovere, e ad alzare la Norman Brookes Challenge Cup c’è arrivato grazie al talento da fuoriclasse, all’impegno da operaio e a una testa da campione che gli servirà anche, da oggi in poi, per gestire le avversità che troverà sulla via. Imparassero ciò quelli che, in ogni settore, incamerano in esclusiva i meriti dei successi e distribuiscono agli altri le colpe dei flop! Nel calcio, anzitutto, la scusa è sempre pronta. Certo, il tennis è uno sport individuale, il discorso è differente. Ma l’approccio vale sempre e comunque: studio, lavoro, preparazione, merito, crescita. C’è una immagine, prima della finale di Melbourne, sfuggita ai più perché trasmessa solo sul canale Eurosport e che riporta la precisa dimensione di cosa è Sinner: sta andando in campo, sta nel tunnel che porta al terreno di gioco quando lo affianca un ragazzo che gli chiede un selfie. Chiunque, a pochi minuti dall’inizio dell’incontro della vita, lo avrebbe cacciato. Al contrario, Sinner si accosta e posa sorridente davanti allo smartphone del fan che, poi, viene bloccato dalla sicurezza e allontanato. Fatto il selfie, è andato verso il campo a completare il suo percorso verso la vittoria. Fra dieci, venti, trenta anni, quando si parlerà della vittoria di Sinner al primo torneo slam della carriera, i ricordi saranno indelebili, come per Italia Germania 4 a 3, come per il ritiro di Niki Lauda al Gran Premio del Giappone. C’è qualcosa di Sinner che lo rende ancora più speciale e che va al di là del trionfo: sentirlo dire “auguro a tutti di avere genitori come i miei, che mi hanno lasciato la libertà di scegliere, senza mai farmi pressioni” è stato davvero bello. E, infine, quel rovescio letale: “Farò il tifo per Sanremo da casa”. Non ci andrà al Festival della Canzone italiana, come gli era stato chiesto. Non salirà sul palco dell’Ariston, non perché non sappia cantare o suonare, come aveva specificato. Sinner ha da fare, deve lavorare, deve allenarsi: prima il dovere, poi il piacere. Così si diceva nel tempo passato, quel tempo che Sinner ora interpreta con la normalità di un ragazzo che vive come gioca, ma con i piedi piantati per terra. Nella prima conferenza stampa in Italia, dopo il trionfo in Australia, Sinner ha mandato un messaggio quasi premuroso ai giovani: “State attenti, i social ti fanno vedere altro. Magari sto male, piango, ma posto sui social una foto felice”. Sinner ha sbriciolato la inconsistenza dei social con un esempio sia elementare che incisivo. Nell’Italia di guelfi e ghibellini, c’è chi dice che di là c’è il partito della Ferragni e di qua quello di Sinner. Sono punti di vista, ma il Paese scopre una voce celebre e non fumosa, e lontana da ogni politica, in cui ritrovarsi: non si vive di social. Ha poi spiegato che è felice di stare a Montecarlo per affrontare i tennisti del suo livello, cioè per motivi sportivi e non solamente economici. Così ha risposto a chi gli rimprovera – forse per invidia di una fama maggiore – di non avere la residenza in Italia. Ma obiettare è facile: è la legge italiana che, a determinate e verificabili condizioni, tutto ciò autorizza. Fermo restante che, ovunque lui risieda, l’Italia ricava un vantaggio anche economico, diretto e indiretto, dal suo trionfo. E, giovedì scorso, Sinner con tutta la nazionale italiana maschile di tennis è salito al Colle per incontrare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che gli ha detto: “Una normalità e semplicità di comportamento che ha affiancato al successo sportivo un grande valore umano”. È riemerso il ricordo della voce di Nando Martellini. Campioni del mondo. Campioni del mondo. Campioni del mondo.