La nostra città straparla di cultura, produce migliaia di libri ma fa chiudere le librerie
In questi giorni, molti segnali inquietanti sembrano contribuire a mostrare una profonda crisi “culturale” del nostro territorio. Negli ultimi giorni abbiamo letto del moltiplicarsi di appelli tesi a scongiurare la chiusura dell’Archivio di Stato, la cui sopravvivenza è messa in pericolo semplicemente dalla mancanza di personale, mai rimpiazzato e ora quasi azzerato. Ma eravamo “reduci” da una battaglia analoga per l’Archivio comunale, sul quale è semplicemente calato il silenzio.
Che dire, poi, della soprintendenza, dove un solo funzionario ha il compito di vigilare su tutto il territorio, con le lungaggini e sospensione che ricadono su tutte le attività edilizie…? solo per parlare del più evidente interesse pubblico…
Negli ultimi giorni, poi le voci, confermate, di una imminente, definitiva chiusura della storica Libreria Mandese e l’episodio di violenza accaduto nella Scuola Europa hanno scatenato nuove reazioni. Che sono tutte condivisibili ma che sembrano dimenticare il contesto umano e urbano della nostra città. Una città che, lo dicono le statistiche nazionali, non è fatta per i giovani. Anzi: proprio Taranto è l’ultima in classifica per la “felicità” dei giovani.
Chi partecipa a eventi culturali o li organizza sa bene che l’età media dei partecipanti scende raramente sotto i sessant’anni! Ma più spesso sale! Che dire poi dell’organizzazione istituzionale della cultura? Proprio in questi giorni la Corte dei Conti ha bacchettato la Regione sulle Short list, cioè sugli elenchi di operatori cui affidare incarichi in maniera “trasparente”, dove una delle strutture regionali in discussione è il Teatro pubblico pugliese. Ma varrebbe la pena allargare il discorso ad altre agenzie pubbliche che spendono tanti soldi in progetti poco utili, spesso autoreferenziali. Forse non abbastanza trasparenti. E comunque spesso mischiamo “bucce e fave”, parlando di turismo e spettacoli (e infatti spesso gli assessorati sono differenti) perché la cultura e il turismo sono cose distinte. Basta leggere le statistiche nazionali e si apprende, ad esempio, che solo il 14% dei turisti sono interessati ai luoghi dell’arte. Quanto agli spettacoli sono “consumo” ma non investimento… se non per chi ci lavora!
Ma cos’è la cultura?
Fatta questa lunga premessa, ora chiediamoci: ma davvero la cultura, come dicono spesso politici raccogliticci e operatori improvvisati, può rappresentare un’alternativa economica?
La risposta, non mia ma di tutti i grandi politologi e luminari, è inequivocabile: NO! Per anni mi sono professionalmente occupato della cronaca culturale. Già nel 1992 pubblicai, per le edizioni del “Corriere del giorno”, il volume “La cultura a Taranto”, cui collaborarono personalità come Attilio Stazio, Cosimo Damiano Fonseca, Nicola Carrino, Nicola Martinucci, Mariella Nava ed altri. L’analisi era chiara soprattutto nelle parole di Attilio Stazio: “La cultura si sviluppa solo quando si sviluppa la società”. Una società che si deprime, si impoverisce, si richiude nelle poche certezze non promuove la crescita della cultura, che è sviluppo di talenti, ricerca, alta formazione, investimento a lungo termine, organizzazione di un’offerta aperta a tutti e non solo ai soliti raccomandati o agli affini alla politica.
“Sai perché nacquero i Convegni internazionali di studi della Magna Grecia?” mi chiede Stazio che poi mi spiegò: “Perché erano gli anni Sessanta, gli anni del Boom, dell’ottimismo, della crescita. Oggi un’avventura del genere non potrebbe più iniziare”.
Si scrive ma non si legge
Ho letto nel web che qualcuno affermava, a proposito della chiusura della libreria Mandese: “non è vero che non si legge”. Come si può fare un’affermazione del genere, quando i dati ufficiali dicono che la Puglia è ultima in Italia per lettura di libri e che Taranto si attesta agli ultimi posti? Sfido che Feltrinelli scelga di non venire in città: negli ultimi anni sono chiuse almeno 5 grandi librerie (e altre minori): Filippi, Veralibri, Gilgamesh, Ubik e ora anche Mandese! É vero che libri se ne stampano a iosa, soprattutto a causa di pseudoeditori che pubblicano a pagamento (sempre su Facebook se ne incontrano a decine), assecondando l’istinto narcisistico, ma questo è piuttosto segno di una chiusura intimistica. Se tanti scrivono ma pochi leggono che segno è? È segno che tutti vogliono dire la “propria”, ma non ascoltare quella degli altri. Proprio come avviene nei social, dove ad aver la meglio sembra essere chi non ha contegno, autodisciplina, dignità. Un modello purtroppo in grande espansione, nella cultura come nella politica. E l’esempio di qualche eminente, adulato uomo di cultura e governante, che tutti sono disposti a pagare pur di annoverarlo tra i propri fautori, prefatori, oratori, è molto illuminante.