A Taranto, la reliquia del beato Rosario Livatino
Correvano gli anni ’90 in cui la mafia, riconosciuta dopo qualche anno associazione criminale, si espandeva nel ventennio di stragi, seminando morte, panico e disperazione nel tessuto sociale siculo e non solo. A farne le spese molti servitori dello Stato: giudici, poliziotti e carabinieri, ma anche giornalisti e gente comune, su disposizione degli uomini di onore che con ordine perentorio decidevano come, quando, dove e perché eliminare una persona scomoda ai loro programmi illegali.
In questa scia di violenza e sangue si annovera la storia del giudice Rosario Livatino, giovane magistrato, assassinato da un commando di uomini della “stidda”, diramazione di “Cosa nostra” staccata per uno sgarro ad un mancato compromesso nell’affare del calcestruzzo. Il sostituto procuratore stava indagando su tangenti e corruzione nel giro del racket e fatture false, è stato il precursore dei processi al sistema mafioso intrecciato nei malaffari dell’economia. Fu barbaramente assassinato la mattina del 21 settembre del 1990 mentre si recava in procura, lungo la strada provinciale per Agrigento, pochi giorni dopo avrebbe compiuto 38 anni. A seguito di una testimonianza, furono presi gli esecutori.
Rosario Livatino prima di essere giudice era un cristiano convinto e praticante, un uomo credente ma soprattutto credibile: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.»; questa una sua frase emblematica del suo servizio per la comunità, leggendo il vangelo, per applicarlo nella sostanza al senso della giustizia ed al dovere di rispettare le regole.
Un magistrato dotato di una forte etica che rifiutava appartenenze politiche per essere indipendente, cercando nel dialogo con tutti, finanche con la persona da giudicare, la ricerca della verità. Papa Francesco ha approvato la sua beatificazione il 9 maggio del 2021. Le reliquie, costituite dalla camicia insanguinata di quel terribile giorno, sono state accolte a Taranto, in seno alla santa messa celebrata nella cappella del seminario della città ionica, con la presenza di numerosi fedeli e della corale diocesana del Rinnovamento nello Spirito Santo, che con strumenti e voci ha animato il momento liturgico fortemente sentito ed emozionante.
“Rosario Livatino non ci è stato tolto, ma ci è stato donato perché possa portare il suo esempio tra la gente e tra i giovani, come un seme che nella terra muore per dar vita ad un albero”, le parole di don Alessandro Greco, vicario generale dell’arcidiocesi di Taranto, che ha presieduto la santa messa.
“Sono testimone della conversione di tre dei quattro esecutori materiali dell’attentato al giudice Livatino…” “Rosario Livatino sin da giovane si è speso per aiutare e sostenere chi si trovava in difficoltà, sempre rispettoso della dignità di tutti, sia come membro di azione cattolica che come magistrato, dove non giudicava mai moralmente, ma mostrava compassione verso ogni imputato cercando di trasmettere in lui il desiderio di amare e cambiare la propria vita”, le parole di don Gero Manganello (responsabile della peregrinatio e custode della reliquia) che ha curato l’omelia.