Il seme dell’odio, in tante trincee anche tra noi
Il seme dell’odio: è il titolo di un vecchio film del 1975 che si occupava dell’apartheid. Quel titolo potrebbe essere mutuato oggi per rappresentare ciò che sta avvenendo a livello globale, ma anche nazionale. Si semina odio per varie ragioni: per circoscrivere e difendere il proprio potere dagli altri, per screditare il prossimo e trarne vantaggi, o semplicemente per prendere il sopravvento.
Per chi semina odio la parola pace è fastidiosa. Forse non sono molti a sapere che durante i conflitti mondiali, specificamente nella cosiddetta “grande guerra”, grande solo per lo sterminio operato, la parola pace era bandita e chi la pronunciava passava per disfattista, rischiava di fare i conti con la giustizia e essere condannato a pene severissime.
Non è quello che sta accadendo, in qualche modo, anche da noi? All’inizio del conflitto in Ucraina guai a pronunciare la parola “pace”, che poteva essere tollerata solo dalle labbra dal Papa, ma solo per tolleranza nei confronti della sua missione. Eppure la guerra, ora lo sappiamo bene, aveva motivazioni non sempre rispettabili. È accaduto con il Medioriente, dove tutti siamo stato concordi con la vendetta di Israele, salvo a iniziare a prendere le distanze dopo che quella vendetta ha assunti i connotati di una carneficna. La Chiesa alza la sua voce sempre più forte, ma anch’essa diventa vittima d’intolleranza.
E nel nostro Paese? Il seme dell’odio è da tempo lanciato contro i migranti, che sono diventati la metafora di tutti i problemi del paese e devono essere puniti per la tenacia con cui sbarcano da noi. Vista l’impotenza ad arginare i flussi migratori, si regala quasi un miliardo di euro all’Albania perché se ne prenda poche migliaia. Anche in questo caso la Conferenza episcopale italiana è stata dura contro un spreco che è segno di incapacità. Ma il valore simbolico politico di questa iniziativa non fa desistere il governo. Anzi c’è un esplicito divieto a parlarne nella tiv di Stato. Il rinvio a giudizio degli ufficiali che avrebbero provocato la strage di Cutro, e la morte di tanti migranti non soccorsi, è l’attestazione di quel seme dell’odio che dall’alto si diffonde verso il basso. E fa credere che quello della migrazione sia un problema molto più grande di quanto non lo è di fatto. Solo perché ha un valore simbolico, politico, elettorale.
Anche contro l’autonomia differenziata si è espressa la Conferenza episcopale, e in questi giorni si moltiplicano le iniziative di protesta nel Paese. Ma per la Lega, che aveva messo da parte la metà del nome “Nord”, quando puntava ai voti di tutti gli italiani (“gli italiani prima di tutti!”), deve portare a casa questa battaglia separatista, in nome della quale il Paese viene diviso, e il Sud è abbandonato a se stesso. Dopo lo stravolgimento del Pnrr e lo spostamento dei finanziamenti al Nord, dopo il congelamento dei fondi di coesione, i tagli alla sanità che stanno uccidendo nel vero senso della parola tanti italiani, l’autonomia differenziata vuole di fatto differenziare lo sviluppo e lasciare morire il Sud. Che già si va spopolando. Persino a Sanremo vi è stata una ostracizzazione del Sud.
A Nord si sostiene che le tasse pagate da loro mantengono l’Italia, la realtà dice che i poveri, i dipendenti, i consumatori del Sud fanno arricchire il Nord che si appropria anche dei nostri figli, che sono la ricchezza più grande.
E intanto l’esasperazione, l’odio, l’intolleranza, contrassegnano anche il mondo del lavoro, dove liberalizzazioni selvagge, subappalto, sfruttamento pongono una demarcazione netta tra impresa e lavoratore, considerato un graziato dal capitale. Mentre è il lavoro di tanti che arricchisce l’impresa e anche oggi contiamo troppi morti in cantieri mal gestiti.