Come sarà l’Israele di domani?
È una guerra combattuta ovunque, in territori lontani e sotto casa nostra: le torri gemelle, il metrò di Londra, la rambla di Barcellona, la spiaggia in Tunisia, il Bardo, il Bataclan, Charlie Hebdo, sino al 7 ottobre del 2023. Anche quel giorno non occorrevano appellativi o aggettivi, paragoni o confronti o similitudini. Difettavano le parole per spiegare che nessuno aveva mai conosciuto una crudeltà così brutta, una disumanità così agghiacciante contro uomini e donne, bambini e anziani. Disarmati, indifesi, impotenti. E tutto questo in un solo giorno, in un solo posto. Questa, la reazione del mondo, di tutto il mondo, anche di quelli per i quali “bisogna comprendere il contesto” o “è necessario capire che ciò ha radici antiche”. Proprio tutti, anche loro, hanno dato per indiscusso e indiscutibile il diritto di Israele a difendersi. Anche la determinazione e la risolutezza del governo israeliano, “riportare a casa gli ostaggi”, non hanno avuto nessuna obiezione di principio, almeno fra i paesi alleati di Israele. Sì, ma come? In quale modo? In quanto tempo? A qualsiasi costo? A qualunque prezzo in termini di vite umane? Ora, quasi sei mesi dopo, Israele è solo. Desolatamente solo. Ed è sull’orlo di cambiare per sempre il suo destino. È inutile tornare sui numeri di Gaza che non si fermano mai, inutile commentare quei paracadute neri che ammarano circondati da sagome senza volto che si accalcano per aprirli e scappare via con un pacco qualunque, purché sia. È inutile anche unirsi al coro di chi ripete “due popoli, due stati” perché così non sarà mai più. Israele, guidata da Netanyahu e dal suo governo, che è, a dir poco, di estrema destra, ha già vinto. Ha già vinto la sua guerra nel peggiore dei modi, facendo il deserto, il vuoto intorno e cambiando per sempre sé stesso. Questo solo per dire della crepa più evidente. Ma è, più e prima di tutto, l’anima della società civile israeliana che sta andando davvero in pezzi. Si protesta per riavere gli ostaggi chiedendo sia la guerra che il cessate il fuoco. Ai confini della striscia di Gaza, si scontrano i coloni, che vogliono già entrare, con i soldati che devono fare credere di impedirlo. Al di là di quella barriera, di quel reticolato, c’è una terra divenuta ormai inabitabile, un girone infernale dove masse indistinte – così sono state ridotte, guardandole dai droni – si aggirano a mani vuote, senza riso, senza pane, senza farina, senza cibo, senza acqua e senza medicinali. Ma, soprattutto, senza riparo e senza meta. Senza alcuna speranza. Su tutto questo governeranno i vincitori. Laggiù non c’è nulla che sia a favore della pace … Se la “soluzione finale” – distruggere Hamas – manifestata da Netanyahu fosse concretizzata … Se la popolazione civile della Striscia di Gaza accettasse di scappare oppure di essere sottomessa per sempre ai vincitori … Se, per fame e per indigenza, i palestinesi accettassero di essere impiegati come lavoratori sotto pagati, senza diritti, senza cittadinanza, senza diritto di voto, senza patria, senza simboli, senza bandiera, in un Paese che continuerà a sventolare quella della democrazia, ma solo per alcuni … Se gli Usa, la Nato, l’Occidente, tutta l’Europa, l’Unione europea e i paesi arabi moderati accogliessero, a guerra spenta, una soluzione umanitaria e tutte le condizioni poste da Israele in nome e per conto della sua sicurezza … Se, come in Cisgiordania, anche a Gaza si ricostruissero le case per i coloni come pretendono e affermano ministri e leader di Israele … Ora, finita la ridda dei se, restano dei punti interrogativi. Come sarà il Paese che uscirà da questa guerra stravinta? Davvero andrà dalle sponde occidentali del Giordano al mar Mediterraneo? Si comporterà da Paese vincitore? Perché, già oggi, si moltiplicano le disapprovazioni di ebrei che vivono nel mondo per tutto ciò che sta accadendo in quella terra? Perché, già oggi, molti di quelli che stanno passando questi giorni drammatici dentro Israele mettono in conto di andarsene usando l’altro passaporto che hanno? E tutti quelli che resteranno, saranno quelli che dicono “solamente ebrei su questo territorio e nessun altro”? Come si vivrà in un Paese che dovrà, per forza, convivere con un popolo sottomesso, che saprà di essere circondato per sempre da un risentimento e da un rancore via via più crescente, che, nel mondo, ha sperperato la più grande solidarietà mai avuta per via di una ferocia esercitata nei confronti non del suo nemico ma del popolo del suo nemico? I pellegrini dei vari credo, con che stato d’animo andranno all’Annunciazione, alla Natività, alla Trasfigurazione, al Cenacolo, al Getsemani o al Santo Sepolcro, sapendo che, da qualche parte, ci sono uomini, donne e bambini vinti, cacciati oppure rimasti a fare da paria nei giardini o nei campi dei vincitori? In quale vortice di sentimenti ed emozioni piomberà chi incontrerà i minori della Custodia o i piccoli fratelli di Charles de Foucauld o la piccola famiglia dell’Annunziata, unito al gusto amaro di vittoria senza pace, di sicurezza senza giustizia, di bellezza senza umanità. Sarà questo Israele?