La domenica del papa – Il peso della croce
Francesco non legge l’omelia preparata per la cerimonia, all’inizio del rito aveva parlato con voce affaticata. Ma ha voluto pronunciare le parole che accompagnano la preghiera dell’angelus
Domenica delle Palme, Gesù entra a Gerusalemme non su un carro trainato da cavalli, come un potente capo di un esercito, ma appunto su una cavalcatura umile, da re di pace. Ingresso trionfante, tra canti e osanna; ingresso che è anche metafora dell’effimera gloria terrena, di come l’uomo possa esaltare e successivamente condannare senza porsi la domanda sul perché. Gesù entra nelle città di questo nostro mondo mentre la vita degli uomini è segnata da conflitti, violenze, emarginazioni: è il peso della croce. È un tempo difficile e ombre minacciose di guerra, terrorismo, sembrano allungarsi un po’ ovunque in questo nostro tempo. Tantissimi, poi, sono i cristiani perseguitati e uccisi nel mondo.
Papa Francesco non legge l’omelia preparata per la cerimonia, all’inizio del rito aveva parlato con voce affaticata. Ma ha voluto pronunciare le parole che accompagnano la preghiera dell’angelus per assicurare preghiere “per le vittime del vile attentato terroristico compiuto a Mosca: “il Signore li accolga nella sua pace e conforti le loro famiglie. E converta i cuori di quanti proteggono, organizzano e attuano queste azioni disumane che offendono Dio”. Non dimentica il papa la “martoriata Ucraina”, i morti le sofferenze e il “rischio di una catastrofe umanitaria”. E prega per Gaza, per i due operatori di pace uccisi in Colombia.
In piazza San Pietro c’erano circa 60 mila fedeli, 400 persone hanno portato palme e ramoscelli d’ulivo. Memoria di quell’ingresso gioioso, degli osanna a Gesù che sono “la voce del figlio perdonato, del lebbroso guarito o il belare della pecora smarrita che risuona forte in questo ingresso. È il canto del pubblicano e dell’impuro; è il grido di quello che viveva ai margini della città”, diceva papa Francesco nell’omelia della messa della Domenica delle Palme celebrata, sul sagrato della basilica vaticana, il 25 marzo 2018. Osanna che risultano scandalosi e assurdi, affermava sempre il vescovo di Roma, per “quelli che si considerano giusti e ‘fedeli’ alla legge e ai precetti rituali”. Così quel ‘crocifiggilo’ è il grido “di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti”; è il “grido fabbricato dagli ‘intrighi’ dell’autosufficienza, dell’orgoglio e della superbia”.
Celebrazione che, com’è tradizione, ha fatto rivivere gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù, quel salire al Calvario per adempiere alla volontà del Padre perché, ricordava Benedetto XVI nell’omelia del 5 aprile 2009, il regno di Cristo passa attraverso la Croce e “Gesù si dona totalmente, può come Risorto appartenere a tutti e rendersi presente a tutti”. Abbiamo davvero capito cosa significhi che il suo regno non è di questo mondo, si chiedeva Benedetto XVI. Si tratta, nella realtà, non di riconoscere un principio, “ma di vivere la sua verità, la verità della croce e della risurrezione”.
Il popolo attendeva un “condottiero trionfante, dispensatore di gloria e di potenza, di ricchezza e felicità”, ricordava papa Paolo VI nell’omelia dell’11 aprile 1965, e invece quel Cristo “doveva venire nel dolore, nella umiliazione, nella morte. E la misteriosa contraddizione si rinnova e si perpetua. Infatti, ogniqualvolta noi aspettiamo una eredità di elevazione e di prestigio da Cristo, egli ci lascia delusi e ci si mostra ancora con le sue braccia distese, le mani inchiodate e il capo chino del morente e del morto”.
Non sembri irriverente se in conclusione ricordo una scena di un film che sicuramente è entrato nell’immaginario collettivo attraverso l’interpretazione di due grandi attori: Fernandel e Gino Cervi. La scena è nel racconto di Giovannino Guareschi il quale propone un don Camillo che attraversa il paese sulle rive del Po, Brescello, portando la croce. E dialoga, come sempre, con Gesù: “potevano farla un po’ più leggera” afferma; e si sente rispondere: “dillo a me che me la sono portata fino al Calvario, e non avevo la forza che hai tu”.
La Croce “norma costitutiva della nostra vita” diceva Benedetto XVI: “senza il ‘sì’ alla Croce, senza il camminare in comunione con Cristo giorno per giorno, la vita non può riuscire”.