Card. Zenari (nunzio): “Le notizie sulla Siria non vendono più. Dimenticati da media e comunità internazionale”
“Le notizie sulla Siria non vendono più, ora si parla solo di Gaza e Ucraina. Siamo stati dimenticati dai media e dalla comunità internazionale. Ma da noi le bombe continuano a cadere”: parla senza filtri e a ruota libera il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria dal 2008, in questi giorni a Grado per partecipare al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, a cui partecipano 600 delegati da tutta Italia. Durante una delle quattro assemblee tematiche della mattinata snocciola le cifre che descrivono un Paese distrutto dal conflitto e dalla povertà (il 15 marzo il conflitto è entrato nel 14° anno), con 16,7 milioni di persone (i tre quarti della popolazione) che sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari. Il 90% della popolazione è sul lastrico. Mezzo milione di morti (tra cui 29.000 bambini) e 12 milioni di persone fuggite, tra cui 7 milioni di sfollati interni. Tra le persone in fuga ricorda la nota emorragia della minoranza cristiana (compresi gli ortodossi): prima della guerra erano 2 milioni e ora sono diventati 500.000. Nella sola Aleppo i cristiani erano 150.000, ora sono meno di 30.000. Si tratta di Chiese antiche e apostoliche che soffrono per l’emigrazione di persone, spesso altamente qualificate, che difficilmente torneranno. Ogni giorno lasciano la Siria 500 cristiani siriani, principalmente verso la Germania o il Canada. “La nostra più grande ferita è veder partire i cristiani”, afferma. “Vediamo queste Chiese morire. Per noi è un’altra bomba. So che prima o poi i cristiani torneranno per lavorare, magari da altri Paesi come l’America Latina, ma non saranno gli stessi che seguono i riti antichi”.
Finora la minoranza cristiana in Siria non ha subito vere e proprie persecuzioni e vede garantita la libertà di culto. Possono costruire chiese e praticare liberamente i culti. Un po’ perché la stessa famiglia di Bashar al-Assad, che detiene il potere da una cinquantina di anni, appartiene ad una minoranza (alawita), ma anche perché, fa notare il cardinale Zenari, “i musulmani siriani mettono la religione al primo posto e sono molto rispettosi nei confronti della ‘gente del libro’, ossia ebrei e cristiani. Certo è un do ut des: le Chiese hanno la libertà ma non potranno mai dire una parola contro il governo. Sono obbligate ad appoggiarlo pur di sopravvivere”. Gli unici episodi violenti sono state le sparizioni di alcuni sacerdoti, tra cui il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, fondatore di Deir Mar Musa al-Habashi, rapito nel 2013; le profanazioni di altari e altri simboli sacri. “Ma non c’è mai stato un bagno di sangue contro i cristiani”.
Sul fronte del conflitto interno – che si è acceso dopo le primavere arabe del 2011 – sul territorio siriano sono oggi presenti “cinque eserciti stranieri: Russia, Usa, Turchia, Iran e Hezbollah. A questi si sono aggiunti i raid di Israele. Prima colpivano solo di notte, adesso a tutte le ore del giorno, in maniera molto precisa. Il governo non ha la forza di tenere a bada questi eserciti ma la situazione è seria, non c’è da scherzare”, afferma. Oggi, 10 aprile, le Forze di difesa israeliane hanno compiuto un nuovo raid aereo contro una ”infrastruttura militare” usata dal gruppo libanese di Hezbollah in Siria. Un paio di settimane fa Israele ha colpito il consolato dell’Iran a Damasco, uccidendo sette comandanti dei Guardiani della rivoluzione islamica, tanto che la Repubblica islamica ha minacciato ritorsioni. In questi giorni otto appartenenti a una milizia filo-iraniana sono stati uccisi a coltellate nella città di al-Mayadin, nella Siria orientale; viene indicato l’Isis come probabile responsabile dell’attacco.
“Se si continua di questo passo temo una escalation internazionale. Dal 7 ottobre ad oggi ci sono stati più di 50 attacchi sul suolo siriano”, dice al Sir. Secondo il nunzio in Siria per trovare una soluzione al conflitto, “devono muoversi tre Paesi: Damasco, Washington e Bruxelles”. “Soprattutto l’Europa potrebbe fare di più. E gli europei possono aiutarci scegliendo per chi votare alle prossime elezioni. Anche l’Italia, che ha un inviato speciale in Siria, potrebbe giocare le sue carte speciali.
Serve una soluzione politica al conflitto”.