Al cinema, una ‘ruvida’ storia americana nella Chicago anni ’60
Il suo film precedente, “Loving” (2016), ha convinto critica e pubblico per il modo in cui ha saputo raccontare un amore che ha frantumato steccati sociali e pregiudizi: il matrimonio interraziale nella Virginia ancora segnata da fratture d’odio tra Richard e Mildred Loving, interpretati da Joel Edgerton e Ruth Negga. A distanza di 8 anni Jeff Nichols ritorna dietro la macchina da presa per raccontare un’altra pagina di storia americana, meno poetica e più ruvida, un film “on the road” fatto di passioni, motori e violenze. È “The Bikeriders”, film che ci riporta negli Stati Uniti degli anni ’60, nel Midwest, solcato in lungo e in largo da bande di motociclisti rivali; un mondo fatto di machismo, cameratismo e ribellioni, amplificato dal rombo del motore delle mitiche Harley-Davidson. Protagonisti Austin Butler, Jodie Comer, Tom Hardy e Michael Shannon.
La storia. Chicago anni ’60, Kathy (J. Comer) per fare un favore a un’amica si avventura in un bar dove incontra il motociclista Benny (A. Butler), perdendo subito la testa per lui. In breve tempo i due si sposano. Benny fa parte del clan dei Vandals guidato dallo scontroso Johnny (T. Hardy). La donna ben preso scoprirà a sue spese che i Vandals vengono prima di tutto, anche del suo matrimonio: tra i motociclisti c’è un legame che supera quello familiare, si appartengono e sostengono. Fare un passo indietro è impossibile…
“Quello che trovo interessante ed è quanto cerco di esprimere in ‘The Bikeriders’ – indica Nichols – coincide con la convinzione che la nostra ricerca per un’identità unica ci porti spesso a confluire in un gruppo. Risiede nella natura umana la necessità di voler appartenere (…). Più è specifico il gruppo, più chiara è l’identità che assumiamo. In alcuni momenti può essere una dinamica meravigliosa per le nostre vite. In altri rischia di essere terribilmente distruttivo. ‘The Bikeriders’ racconta entrambi i momenti”.
L’autore usa i riferimenti di una storia vera, accaduta e documentata del fotoreporter Danny Lyon nel 1968, per comporre una metafora sul vivere sociale di ieri e oggi, del bisogno di ritrovarsi tra pari, tra aggregazioni para-familiari, in cerca di senso e orientamento nella vita. Uno sguardo che attinge chiaramente molto al contesto socioculturale “a stelle e strisce”. Il racconto viaggia spedito, tra dosi massicce di machismo e adrenalina, combinate a lampi ricorrenti di violenza e ironia grottesca. Sullo sfondo sembra agitarsi lo spettro, l’omaggio del regista, al cult “Easy Rider” (1969) di Dennis Hopper, uno dei titoli “breccia” per la Nuova Hollywood, nel racconto puntellato da vita da strada, desiderio di libertà e dispersioni. E se gli interpreti ben sorreggono lo sguardo di Nichols con performance vigorose, a latitare sembra un po’ dinamica e senso di un racconto che non trova grande mordente. Viaggia spedito, vorticoso, ma a tratti poco ancorato da sostanza.
“Bridgerton. Stagione 3” (Netflix, 13.06)
Ne abbiamo parlato lo scorso maggio, con il lancio della prima parte della terza stagione di “Bridgerton”, popolare period drama targato Netflix e Shondaland ambientato nell’Inghilterra “Regency” con richiami alle narrazioni di Jane Austen ma addizionate in chiave pop e con una linea romance erotizzante.
La storia. Londra, quartiere Mayfair. Penelope Featherington (Nicola Coughlan) e Colin Bridgerton (Luke Newton) sono prossimi all’altare, passati felicemente dall’amicizia di lunga data all’amore. L’intensità del loro legame cresce, i preparativi del matrimonio fervono, ma le insidie della società dei pettegolezzi rischia di minare il tutto. In particolare, Penelope è sotto ricatto per la sua attività segreta come Lady Whistledown…
La terza stagione di “Bridgerton” risulta per la linea di racconto più compatta e accattivante delle precedenti, segno che la macchina narrativa migliora stagione dopo stagione.Il mix tra dimensione estetica – costumi, scenografie, ambientazioni e musiche – si amalgama in un racconto che unisce drama, romance e pathos, con lampi brillanti. Certo, in alcuni passaggi qualcosa sembra sfuggire di mano in chiave gratuita e banalmente provocatoria, ma al di là di queste scialbe dispersioni l’impianto narrativo marcia saldo nella logica dell’evasione brillante in chiave romance. “Bridgerton” affascina per le atmosfere ricercate, la coralità di un cast valido, ma soprattutto per le pagine di sentimento, che oscillano tra la raffinatezza di Jane Austen e la basicità di un Harmony.