L’ultima occasione per …
Alcune opportunità si presentano solamente una volta nella vita. E per essere in condizioni di sfruttarle, è necessario avere il coraggio di superare il muro che sbarra il cammino, non sapendo se al di là c’è uno sbalzo di venti centimetri o c’è una voragine di venti metri. Giorgia Meloni ha avuto l’opportunità di coglierne una, per svariati versi, straordinaria, che non può risuccedere: cambiare totalmente la destra italiana e dare forma alla visione di Pinuccio Tatarella, che nel ’91 ipotizzava “una grande destra, moderna e modernizzatrice, inclusiva e dialogante, capace di porsi interrogativi senza certezze dogmatiche, senza pregiudizi, con l’ansia construens dell’analisi e del confronto”. Il suo disegno era la realizzazione, dal basso, di una destra repubblicana e costituzionale, che avesse come linea guida quella di accorciare la distanza che l’aveva divisa dal resto di tutta la comunità politica italiana. Su quella mulattiera, la destra ideata da Tatarella avrebbe dovuto stendere asfalto perché quel percorso era senza selciato, grazie a uno sforzo volto all’ammodernamento delle istituzioni e all’ulteriore consolidamento della democrazia. E non solo. Garantire a sé stessa e all’Italia un ruolo da protagonisti, e non da semplici comprimari, nell’Europa di domani. Un domani, in realtà, già iniziato da tempo e segnato da tre sfide una più terribile e decisiva dell’altra: la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, il cambiamento climatico e infine il duello planetario, destinato ad aggravarsi anche alla luce del quasi sicuro ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, Usa-Cina. E non capita tutti i giorni neppure che il partito di un presidente del Consiglio di un Paese fondatore della Unione europea, “la seconda manifattura … la terza economia”, voti contro il vertice della Commissione. È una lacerazione che soltanto in parte può essere ammorbidita con dichiarazioni di incorruttibili rapporti di amicizia. Rimane un vulnus politico che è avvenuto per ragioni di politica interna e di politica estera. Il problema decisivo è che, una volta acquisiti i voti dei Verdi, Ursula si era messa al riparo dai franchi tiratori dell’ala destra del suo partito, il Ppe, contraria a confermare una politica di centro-sinistra, prima di tutto, sul tema “green”. Con i voti dei Verdi già in tasca, per von der Leyen quelli di Meloni diventavano aggiuntivi, e come tali nemmeno richiesti: “Se tu mi voti a favore ti dico grazie, ma io non ti devo nulla perché sei tu che mi stai offrendo il tuo aiuto”. Un discorso che rispondeva in pieno alla intimazione franco-tedesco imposta alla von der Leyen: nessuna apertura a destra e nessuna maggioranza con Meloni e i suoi Conservatori. Quando Meloni lo ha capito ha pronunciato, da ultimo, il suo no. Così la presidente del Consiglio si è risparmiata le critiche di Salvini e ha impedito al suo socio di ottenere il consenso di tutti quelli che pensano che dall’Europa non vengono altro che divieti, balzelli, complicazioni e tasse verdi. Ma, votando così come Salvini, Meloni si è contraddistinta dall’altro suo vice, Tajani, che è, oltretutto, ministro degli Esteri, e che, invece, ha dato il suo favore alla compagna di partito Ursula von der Leyen. E non a caso Tajani ha comunicato: “Chi vota contro la presidente della Commissione in Europa è ininfluente”. E, così, la maggioranza politica che regge il governo italiano si è così divisa e si è schierata contro chi a Palais Berlaymont, sede della Commissione europea, avrà, fra le mani, la nostra procedura di infrazione per il deficit e il debito troppo alti, e, poi, la placidità nel mantenere i tempi di realizzazione delle opere finanziate con i fondi del Pnrr, e, ancora, la resistenza ad applicare le regole europee sulla concorrenza (vedi le concessioni balneari). Anche se Meloni giura che l’Italia collaborerà con la Commissione, non sarà facile lavorare insieme. Senza dimenticare che fra poco si saprà quale poltrona ci sarà assegnata nella nuova Commissione: la vice presidenza esecutiva ci è sfuggita (a favore dei francesi) nel momento dell’astensione di Meloni nel voto del Consiglio europeo sulla von der Leyen. Adesso che quell’astensione si è modificata in un no, quale incarico ci sarà dato? Aspiriamo ancora a portafogli di grande importanza? C’è chi suppone che il voto negativo sia stato per Meloni un modo per anticipare la nuova linea di Roma se negli Usa a novembre dovesse davvero trionfare Donald Trump. Se così fosse, da ora in poi in Europa si incrinerebbe la fiducia che Palazzo Chigi si è guadagnata in più di due anni di politica estera coerente dalla parte dell’Ucraina e contro l’invasione da parte della Russia. A Bruxelles, i filorussi del gruppo dei Patrioti vengono tenuti in frigo e Meloni non si era mai confusa con loro nonostante l’amicizia con Orban. Ma ora le diffidenze potrebbero tornare a crescere e questo non gioverebbe certo alla credibilità della destra di governo di cui Meloni si dichiara esponente principale.