Ex Ilva: annullato il processo “Ambiente svenduto” con tutte le condanne del 2021
“I giudici di Taranto non potevano giudicare”. il processo va a Potenza
Tutto da rifare per il processo “Ambiente Svenduto” legato al disastro ambientale causato dall’Ilva durante la gestione della famiglia Riva nel periodo 1995-2012. Il processo, secondo la sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello, andava celebrato a Potenza e non a Taranto. La corte, presidente Antonio Del Coco, a latere il giudice Ugo Bassi e la giuria popolare, ha annullato la sentenza che in primo grado (31 maggio 2021) aveva portato a 26 condanne, accogliendo così la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza.
Una richiesta analoga era stata più volte e a più livelli respinta in precedenti fasi dell’inchiesta e del procedimento. I giudici tarantini, togati e popolari, secondo la sentenza, vanno a loro volta considerati “parti offese” del disastro ambientale, vivendo negli stessi quartieri in cui risiedono numerose parti civili che in primo grado hanno ottenuto peraltro il risarcimento, e che per questo non avevano la “giusta serenità” per decidere. La corte ha dunque dichiarato la competenza funzionale del tribunale di Potenza, disponendo la trasmissione degli atti alla procura lucana per i successivi adempimenti. Ora avrà 15 giorni di tempo per depositare le motivazioni.
Ricordiamo che “Ambiente svenduto”, originato dall’inchiesta che il 26 luglio 2012, portò al sequestro degli impianti dell’area a caldo, e vedeva 37 imputati, tra dirigenti della fabbrica, manager e politici, e tre società. A vario titolo, vennero contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Le motivazioni della sentenza vennero depositate a novembre 2022 (oltre 3.700 pagine): in primo grado, furono inflitte 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni complessivi di carcere.
Tra i principali imputati, spicca la condanna, rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione, per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva. Furono inflitti 21 anni e 6 mesi all’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà (recentemente deceduto), 21 anni all’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, pene comprese tra i 18 anni e mezzo e i 17 anni e 6 mesi di carcere a cinque ex fiduciari aziendali. A tre anni e mezzo di reclusione fu condannato l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola a cui venne contestata la concussione aggravata in concorso.
La corte d’assise dispose inoltre sia la confisca degli impianti dell’area a caldo, che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi.
Va evidenziato che dall’inchiesta giudiziaria scaturì, nel giugno 2013, anche il commissariamento dell’Ilva da parte dello Stato e l’estromissione degli allora proprietari e gestori, i Riva. Commissariamento che è in atto sia in Ilva che in Acciaierie d’Italia, l’azienda intervenuta in seguito con la gestione del gruppo (entrambe le società sono in amministrazione straordinaria).
Ma l’ex Ilva, ribattezzata Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, com’è noto, è in vendita e il termine per la consegna formale delle manifestazioni di interesse scade venerdì 20 settembre.
Nei mesi scorsi, prima della pausa estiva, c’era già stato un primo colpo di scena: il presidente Antonio Del Coco aveva sospeso il pagamento delle provvisionali da parte degli imputati del processo “Ambiente svenduto” nei confronti delle parti civili costituite in giudizio, circa 1.500 tra cittadini di Taranto e associazioni. Le provvisionali (ciascuna da 5.000 euro), da intendersi come primo risarcimento, erano state disposte a maggio 2021 con la sentenza della corte d’assise. Tale decisione preludeva, evidentemente, a questa più importante.
Moltissime le reazioni a questa sentenza da parte di associazioni, rappresentanti politici, rappresentanti delle parti civili che vedono vanificati anni di lotta e di processi. Tra essi citiamo solo il sindaco Melucci, come primo cittadino: “In qualità di sindaco e presidente della Provincia di Taranto, accolgo con profonda preoccupazione ed amarezza la decisione della Corte d’Assise d’Appello di trasmettere gli atti del maxiprocesso “Ambiente svenduto” al Tribunale di Potenza. Questo procedimento, che rappresenta una delle pagine più dolorose e significative della nostra storia recente, che deve essere considerato un simbolo della lotta della nostra comunità per la giustizia ambientale e la tutela della salute pubblica, torna interamente in discussione con il pericolo che la prescrizione possa cancellare buona parte dei reati. La sentenza (…) era stata un passo fondamentale verso il riconoscimento delle responsabilità e la riparazione dei danni subiti dalla nostra città. Una città che sta ancora faticosamente, ma con orgoglio, cercando di svincolarsi da una monocultura industriale che ha fatto il suo tempo. Una città che sta affrontando un processo di transizione ambientale ed economica che è divenuto ineludibile, ma che rischia di fare ancora i conti con un passato che ritorna”.
Comunque vadano le cose, tutta la vicenda lascia un forte amaro in bocca assieme al dubbio che ci sarà mai una reale giustizia in questa vicenda che riguarda la storia, il presente e soprattutto il futuro della città. Da qualunque parte siano stati commessi, gli errori danneggeranno in maniera inequivocabile e irreparabile la città e forse, in questo momento, occorrerebbe un intervento chiarificatore della politica che riprenda nelle proprie mani la vicenda e, con tutti gli strumenti a propria disposizione, crei un momento di sintesi conclusiva.
Moltissimi e inquietanti sono, infatti, gli interrogativi ora aperti: che accadrà ora? Possono i giudici di Taranto opporre ricorso alla Coste di cassazione contro questa sentenza quando, tra due settimane, saranno rese note le motivazioni? E la vendita dell’azienda, che è un atto conseguenziale alla sentenza di “Ambiente svenduto” che verrebbe cancellata, ha ancora un senso? E quanti reati saranno definitivamente prescritti lasciando impuniti molti del responsabili? E quando i cittadini colpiti dal disastro ecologico troveranno giustizia?