Premierato: un rinvio tra opportunità e strategia
Il disegno di legge sul premierato non compare nel calendario dei prossimi tre mesi dell’aula della Camera. Nella conferenza dei capigruppo che si è tenuta nei giorni scorsi, alla ripresa dei lavori parlamentari, i presidenti dei gruppi di maggioranza hanno lasciato cadere l’argomento che pure – appena 48 ore prima – era stato inserito nella lettera con le priorità della coalizione di governo. Con tutta probabilità se ne riparlerà all’inizio del nuovo anno, dato che il calendario parlamentare di dicembre è notoriamente molto fitto. Ma che cosa è successo intorno a quella che la stessa premier ha più volte definito la “madre di tutte le riforme”?
La spiegazione ufficiale – se così si può dire – è che nei prossimi mesi bisognerà concentrarsi su una manovra di bilancio che si presenta particolarmente difficile sia per la scarsità di risorse disponibili, sia per il debutto delle regole del nuovo patto europeo di stabilità. È una spiegazione plausibile, le difficoltà evocate sono oggettive, ma si tratta comunque di una spiegazione parziale. In teoria, i tempi per rimettere mano al percorso del premierato ci sarebbero stati. Il problema, però, è essenzialmente politico, con un versante interno alla maggioranza e uno esterno. Quello interno è che, al di là delle dichiarazioni pubbliche, sul tema delle riforme istituzionali le sensibilità tra i partiti della coalizione di governo sono notevolmente differenziate. Ognuno tiene soprattutto alla sua riforma di bandiera: il premierato per Fdi, la giustizia per Forza Italia, l’autonomia differenziata per la Lega, e l’accordo regge se tutto procede in modo sostanzialmente paritario. Sul premierato, in particolare, pesa anche la diffidenza dei partner meno forti della maggioranza per un sistema che attribuirebbe vasti poteri al capo del governo. Non c’è quindi da meravigliarsi se la stessa Giorgia Meloni abbia preferito evitare la sovrapposizione con una fase parlamentare già molto delicata per i temi economico-finanziari.
Prendere tempo, peraltro, è utile anche per verificare l’esito dei passaggi che riguardano l’autonomia differenziata, sotto il tiro delle opposizioni che hanno messo in campo tutti gli strumenti disponibili contro la legge Calderoli: dai referendum abrogativi ai ricorsi in via diretta delle Regioni guidate dal centro-sinistra. Nei primi mesi del 2025 dovrebbe essere chiaro il quadro delle decisioni della Corte costituzionale sui ricorsi e sull’ammissibilità dei quesiti referendari e ciò avrà un impatto diretto sul calendario delle riforme. Anche in questo caso la premier intende evitare sovrapposizioni pericolose. Se, com’è verosimile, la mossa contro eventuali referendum abrogativi sarà quella di puntare al non raggiungimento del quorum, dal punto di vista di Palazzo Chigi bisognerà evitare che l’accostamento con la questione del premierato possa diventare un fattore di mobilitazione del corpo elettorale.
Resta da domandarsi se un rinvio deciso principalmente per ragioni di tattica politica non possa trasformarsi in un’occasione virtuosa di dialogo e di confronto. La fretta è sempre stata una pessima consigliera in materia di riforme istituzionali e la pausa che si è creata nell’iter – dopo accelerazioni e rincorse collegate per lo più ad appuntamenti elettorali – potrebbe aprire uno spazio per politici di buona volontà.