La domenica del Papa – La via dell’umiltà
Un bambino, probabilmente povero; uno “scarto” della società potremmo dire con il linguaggio di papa Francesco. Gesù lo pone in mezzo ai dodici, scrive Marco nel suo Vangelo, lo abbraccia e dice loro: “chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Un bambino diventa risposta alla discussione degli apostoli su chi di loro dovesse essere il primo, il più grande.
Facciamo un passo indietro. Lungo la strada che porta a Cafarnao i discepoli discutevano, mentre Gesù diceva loro che il figlio dell’uomo “viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Parole forse oscure per quanti lo seguivano; e poi i dodici avevano altro per la testa, dice all’angelus papa Francesco; l’altro è proprio quel ragionare su chi fosse il primo tra loro. Giunti in una casa, a Cafarnao, Gesù chiede cosa stessero discutendo, ma non ottiene risposta: “tacciono per la vergogna”, afferma Francesco. “Che contrasto con le parole del Signore! Mentre Gesù confidava loro il senso della propria vita, essi parlavano di potere. E così adesso la vergogna chiude la loro bocca, come prima l’orgoglio aveva chiuso il loro cuore”.
Il Signore non ha bisogno della loro risposta, sa benissimo di cosa discutevano e la risposta è proprio in quel gesto di prendere il bambino e metterlo in mezzo a loro per insegnare se uno vuole il primo posto deve farsi ultimo. È la Chiesa del grembiule, chiesa “povera per i poveri, che si spinge oltre il dovere dell’elemosina, che cammina con le persone indigenti e ne condivide i problemi e le speranze”, come amava dire don Tonino Bello; una Chiesa “libera e al servizio di tutti, umile, che pone la sua fiducia nella Parola di Dio e nel servizio ai poveri, e rifiuta i privilegi concessi dai potenti”.
Essere il più grande, per Gesù, non è porsi sopra gli altri, prevalere, sgomitare, ma essere ai piedi dell’altro: è la via dell’umiltà, del servizio e del dono. Il bambino non ha potere, ha bisogno di aiuto per crescere. Così Gesù “rinnova il nostro modo di vivere”; con una parola semplice e decisiva” ci insegna “che il vero potere non sta nel dominio dei più forti, ma nella cura dei più deboli. Il vero potere è prendersi cura dei più deboli, questo ti fa grande”, afferma il vescovo di Roma.
È interessante leggere questa riflessione con le parole proposte dalla seconda lettura, San Giacomo, che si sofferma sulla vera sapienza da contrapporre a quella falsa “terrestre, materiale e diabolica”, che provoca “gelosie, contese, disordini e ogni sorta di cattive azioni”.
La vera sapienza non ha bisogno di imporsi, viene dall’alto, “è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”. Noi siamo vivi, afferma ancora il papa, “perché siamo stati accolti, ma il potere ci fa dimenticare questa verità”. Siamo stati accolti, ma poi “diventiamo dominatori, non servitori, e i primi a soffrirne sono proprio gli ultimi: i piccoli, i deboli, i poveri”. Quante persone afferma ancora Francesco “soffrono e muoiono per lotte di potere. Sono vite che il mondo rifiuta, come ha rifiutato Gesù”, il quale, quando venne consegnato nelle mani degli uomini, “non trovò un abbraccio, ma una croce. Il Vangelo resta tuttavia parola viva e piena di speranza: Colui che è stato rifiutato, è risorto, è il Signore”.
Nelle parole dopo la preghiera mariana dell’angelus, il papa torna, ancora una volta, a chiedere di pregare per la pace in Ucraina, Palestina, Israele, Myanmar; parla di “tensione molto alta” sui fronti di guerra: “si ascolti la voce dei popoli, che chiedono pace”.
Infine, Francesco ha parole per l’uccisione in Honduras di Juan Antonio Loper, fondatore della pastorale dell’ecologia integrale in Honduras. Così non solo condanna “ogni forma di violenza” ma esprime vicinanza “a quanti vedono calpestati i propri diritti elementari e a quelli che si impegnano per il bene comune in risposta al grido dei poveri e della terra”.