Accoglienza

Un ponte di “accoglienza culturale” Mediterraneo unito nel nome di Moro

24 Set 2024

di Silvano Trevisani

Intervista col teologo Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale

Un progetto di pace e integrazione nel nome di Aldo Moro. Anche Taranto e la sua università rientreranno nel programma delle Nazioni Unite per l’attivazione di un corridoio universitario per i rifugiati che devo completare o integrare i loro studi universitari. E questo è possibile grazie alla intuizione del Centro di cultura per lo sviluppo Lazzati e la disponibilità di enti e associazioni che partecipano al ptoetto. “Dal Mediterraneo grambo e frontiera di nuova umanità l’inquieto realismo per la pace: Aldo Moro” è stato il tema di un importante convegno svolto, dal 21 al 23 settembre, in varie sedi e conclusosi nel salone dell’Università in via Duomo.

Illustri relatori si sono succeduti nelle giornate del convegno, conclusosi con una tavola rotonda sul tema: “Mediterraneo una nuova generatività: Prospettive per il cammino che continua”, cui hanno partecipato i principali attori coinvolti nella tre giorni. Abbiamo rivolto, a conclusione dei lavori, alcune domande al teologo monsignor Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale.

Qual è il frutto di questa tre giorni?

È stata una tre giorni molto intensa perché ha coniugato tra di loto almeno tre livelli di una interpretazione trasformativa e prospettica della situazione socio-culturale che viviamo. Una situazione difficile, per alcuni aspetti drammatica. Il primo livello è quello di una riflessione approfondita in cui entrano in gioco la teologia, la filosofia, le scienze sociali umane per darci lo sguardo giusto sulla realtà complessa che viviamo. Un secondo livello è collocare questa interpretazione della realtà nel contesto socio-culturale, nel nostro caso: nell’area del Mediterraneo che sta profilandosi non solo come una faglia in cui si scontrano identità contrapposte tra di loro ma che in realtà, come ci ripete Papa Francesco, è un luogo di salvezza, di profezia. Perché ritrovi la sua vocazione originaria di essere luogo di scambio e di incontro. E il terzo livello è dato dal fatto che quella interrelazione può trovare ispirazione da una testimonianza di alto profilo: sociale, politica e civile come quella di Aldo Moro. Che ricordiamo nel centenario della nascita. Che ha preso ispirazione dalla visione cristiana e con realismo politico è riuscito a indicare un percorso che si mostra in qualche modo profetico.

E da queste premesse che scaturisca una proposta che potremmo definire di “accoglienza culturale”?

Proprio così. Il risultato della coniugazione di questi tre livelli è quello dell’apertura di un corridoio universitario, grazie all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e all’apertura del dipartimento ionico dell’Università di Bari. E grazie alla cooperazione di realtà sociali come il Centro culturale Lazzati, la Caritas diocesana e altre organizzazioni. Il corridoio consentirà di offrire l’opportunità a giovani studenti universitari rifugiati di paesi in gravi difficoltà, di poter usufruire di una formazione universitaria. Che risulti un arricchimento per loro ma anche per la realtà che li accoglie.

Non ci saranno anche per loro le barriere che vengono frapposte in questi ultimi anni all’arrivo di rifugiati?

In realtà, il programma messo a punto dalla Onu, che ha alle sue spalle sei anni di sperimentazione, ha attivato delle procedure che rendono possibile, anche sicura ed efficace, questa procedura di accoglimento degli studenti. Non ci sono inghippi istituzionali che possano frenare questa possibilità.

Quali sono i numeri di questo progetto?

Ecco. Inizialmente sono state due le università che hanno aderito all’iniziativa ma attualmente, dopo sei anni, sono diventate quaranta. Fra loro anche l’Università di Bari, cui appartiene il polo tarantino. Sono circa duecentocinquanta gli studenti che hanno potuto beneficiare di questa prospettiva.

Nella sua storica visita a Taranto nel 1989 Giovanni Paolo II lanciò la sfida di un ponte di pace sul Mediterraneo. U ponte ideale che però sembra un po’ labile da tutti i punti di vista.

La percezione che ho potuto maturare in questi tre giorni è quella di una possibilità che si dischiude fattivamente in maniera feconda perché radicata in una grande tradizione sociale, culturale come quella della città di Taranto. In essa hanno potuto convergere espressioni diverse come tre facoltà teologiche, quella di Palermo, di Napoli e di Bari, che sono impegnate nel progetto di Rete teologica del Mediterraneo. Vi è una convergenta, in questo progetto di visione, che si richiama a un’ontologia relazionale ispirata dalla figura trinitaria di Dio. Vhe è dio dell’accoglienza, dell’ospitalità, della comunicazione illimitata che il Vangelo ci propone. Questa visione è esaltata dal Concilio, da Paolo VI nella “Populorum progressio”, Giovanni Paolo II nella “Sollecitudo rei sociali” e ora di Papa Francesco nella “fratelli tutti” e nella “Laudato si’”. Essa può diventare veramente un volano per una nuova tappa della testimonianza del Vangelo in sinergia con tutte lel forze positive che germinano nella società.

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