Operazione avanti e indietro
Il confronto politico e il dibattito pubblico sulla immigrazione sono, nel nostro Paese e, soprattutto, negli ultimi tempi, contraffatti dalle ideologie, manipolati e fuorviati da preconcetti e pregiudizi, positivi o negativi che siano, e alterati e deviati da una limitata conoscenza della realtà e delle sue evoluzioni, dei suoi sviluppi e dei suoi effetti. Realtà che, spesso e volentieri, chiama in causa altri, svariati fattori, soprattutto internazionali. È una magra consolazione: tutto questo non avviene solo nel nostro Paese, perché è un argomento spinoso e delicato, sul quale parecchi governi si giocano parte dei consensi. Leggi e decisioni andrebbero invece valutate avendo come criterio la loro efficacia e realizzabilità, se non si vogliono chiamare in causa i principi umanitari e il diritto, che pure dovrebbero essere almeno considerati. I migranti sono persone, anche gli illegali che vengono etichettati, da una parte della opinione pubblica, come colpevoli di crimini. Eppure, la Costituzione italiana, all’articolo 27, dichiara che “l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna”. Se ciò vale per un imputato, tanto più per una intera categoria di persone non ancora sbarcata sulle nostre coste. Mercoledì mattina è giunta in Albania la nave Libra della Marina militare italiana, con a bordo il primo gruppo di immigrati (sono bengalesi ed egiziani) destinati a permanere nei nuovi centri allestiti su iniziativa di Palazzo Chigi. Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, cioè un centro concepito e allestito come punto di primo sbarco, di accoglienza e di identificazione, nel porto di Shëngjin. Nella regione interna, nella vecchia base militare di Gjadër, sono stati eretti un centro di prima accoglienza per richiedenti asilo, da 880 posti, e uno destinato alla permanenza e al rimpatrio da 144. Le strutture sono amministrate dalle autorità italiane e l’Albania non ha sostenuto alcun costo per la realizzazione: sono state costruite nuove reti idriche, elettriche e fognarie, rifatte strade. Il protocollo prevede che i migranti soccorsi in acque internazionali dalla Guardia Costiera oppure dalla Guardia di Finanza o dalla Marina Militare, ma non dalle imbarcazioni delle ong, siano trasferiti sui natanti della Marina: le donne, i bambini, le famiglie e gli individui con fragilità saranno condotti a Lampedusa e immessi nel circuito di accoglienza. Gli uomini adulti invece, solo se provenienti da paesi considerati sicuri, senza transitare dall’Italia, andranno in Albania. Le procedure relative alla autorizzazione della detenzione amministrativa e alla verifica delle istanze di protezione internazionale devono essere fatte dalle nostre autorità e, secondo il decreto Cutro, l’esame delle domande deve seguire un iter celere che può essere, al massimo, di 28 giorni: intanto, i migranti devono essere tenuti in stato di detenzione amministrativa in centri come quelli costruiti in Albania. Alla luce di tutto ciò, non possono essere eluse alcune considerazioni. Il numero dei posti nei centri realizzati nel Paese delle Aquile è limitato, soprattutto in proporzione ai costi che gravano sull’Italia. Un dato tale da sollevare un dubbio: si tratta di una operazione simbolica, per dimostrare che il governo intende “difendere i confini italiani e fermare la tratta di esseri umani”, così come ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni? Un altro nodo riguarda la definizione di paesi sicuri, attribuita dall’esecutivo in modo arbitrario, anche a paesi nei quali le violazioni sono note e sistematiche, fra i quali è inserita la Tunisia, dove migranti irregolari vengono deportati nel deserto libico, lasciati senza acqua, né viveri. Quello è uno Stato sicuro? Secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, la distinzione fatta non è sensata: i paesi o sono del tutto, completamente, integralmente, assolutamente, sicuri oppure non possono rientrare nella definizione che è applicata arbitrariamente. Tant’è vero che la sezione per i diritti della persona e immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato i trattenimenti effettuati. E, quindi, i migranti, in fretta e furia, sono stati già riportati in Italia. Ma è verosimile che le domande di asilo possano essere esaminate entro 28 giorni, soprattutto nel periodo estivo, quando i flussi delle traversate diventano più intensi, anche perché manca il personale adeguato a dirimere le pratiche nel tempo indicato? E, poi, in caso di rigetto della domanda, i migranti dovrebbero essere rimpatriati, ma non è chiaro come ciò accadrà: potranno partire direttamente dall’Albania o prima dovranno tornare in Italia? Il procedimento dei rimpatri è inefficiente, carissimo e richiede accordi di riammissione con gli stati di provenienza delle persone. Basteranno i quattordici accordi finora sottoscritti, siglati e ratificati? Malgrado le promesse della maggioranza di governo durante la campagna elettorale del 2022, solo quattromila migranti irregolari sono stati rimpatriati, nel 2023, su oltre centocinquanta approdati. Che dire, poi, della grande percentuale di migranti che, con buona pace degli estimatori della “grandeur italienne”, raggiunge altri stati illegalmente, soprattutto Francia, Germania e paesi della Scandinavia? E non si può neppure eludere il fatto che su questo argomento, spinoso e delicato, serve una documentazione, attenta e accurata, di ciò che avviene, senza abbuoni, svendite e omaggi; occorre far luce sui fatti; necessita una raccolta delle sensibilità dell’opinione pubblica. Perché, così come scrisse Tocqueville in “La democrazia in America”, “la democrazia è il potere di un popolo informato”.