Popolo in festa

San Giuseppe Moscati: le iniziative per questo fine settimana

24 Ott 2024

di Angelo Diofano

Sono in corso nella parrocchia a lui intitolata, al quartiere Paolo VI, i festeggiamenti in onore di San Giuseppe Moscati, il medico santo, che quest’anno hanno come titolo “Cristo, nostra speranza”. Molte le iniziative in programma per questo fine settimana.

Sabato 26, dopo il santo rosario alle ore 18.30 e la santa messa con predicazione del parroco don Marco Crispino, alle ore 20, in piazza Pertini, si terrà il gran galà lirico sinfonico con la “Concert Brass Ensemble” diretta dal maestro Giovanni Carelli, a cura dell’associazione “Vittorio Manente”, di cui scriviamo a parte. Il concerto è a sostegno delle nuove opere parrocchiali e prevede l’offerta di 10 euro per la degustazione di un primo piatto e di un calice di vino. Ingresso con invito da ritirare nella segreteria parrocchiale (tel. 099.6712533).

Domenica, festa religiosa di San Giuseppe Moscati, alle ore 10, mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo emerito di Potenza, presiederà  la solenne celebrazione eucaristica all’aperto. Seguirà la processione con l’immagine del santo. In serata, alle ore 19.30, nella cornice delle luminarie, festa popolare in piazza con animazione per bambini e spettacolo di magia; a seguire, concerto della “Hill Valley Band”. Nel corso della serata funzioneranno il parco giochi e il banco gastronomico.

Infine sabato 16 novembre, memoria liturgica di San Giuseppe Moscati, alle ore 18 santo rosario e alle ore 18.30 celebrazione eucaristica presieduta dal parroco don Marco Crispino.

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migrazioni

L’Italia esporta i suoi talenti migliori ma attrae soltanto i turisti stranieri

24 Ott 2024

di Silvano Trevisani

I preoccupanti dati della Fondazione Sud-Est

L’Italia sarà presto solo un luna park per ricchi turisti stranieri. I giovani scappano via a centinaia di migliaia e solo pochi vogliono tornare. E questo riguarda sia il Sud povero che il Nord opulento. Le città grandi e medio-grandi, poi, sono del tutto off-limits e anche gli studenti meridionali che avevano scelto Milano, Firenze o Roma stanno progressivamente trasferendosi in altre città meno afflitte dall’overturism. Tra le quali si candidano anche le città pugliesi. È soprattutto questo fenomeno che fa sparire o levitare la massimo i prezzi delle case e che fa salire alle stelle quelli di generi alimentari e servizi e che aggrava le distanze tra i ricchi (tra i quali cresce il numero di chi sfrutta il turismo) e i poveri, tra i quali i giovani studenti che sono sempre più penalizzati. Per ogni giovane che arriva in Italia ben otto vanno via, più della metà dei quali per sempre. E questo provoca un danno economico calcolato attorno ai 135 miliardi di euro. Anche per questo i dati taroccati fanno vedere una disoccupazione in calo e una riduzione della disoccupazione giovanile: solo perché in circa 10 anni oltre mezzo milione di giovani, quasi sempre laureati, non cerca più lavoro in Italia. Dove il lavoro specializzato è poco ma soprattutto è pagato malissimo rispetto al resto dell’Europa. Tra i paesi occidentali, l’Italia è all’ultimo posto per attrattività: solo l’8%, rispetto al 43% della Svizzera e al 32% della Spagna. In Italia, quindi, è solo la patria del divertimento, ma lo è soprattutto per gli stranieri: gli italiano non se la possono più permettere!

Questa realtà, già ben nota a chi si occupa di economia, politica, lavoro, è stata ancora una volta ribadita dallo studio che la Fondazione Nord Est ha presentato al Cnel.

I dati dello studio

Secondo lo studio, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione “Nel movimento di giovani persone tra i paesi europei l’Italia partecipa da grande fornitrice di persone ed è quindi fuori dalla circolazione di talenti perché è ultima per attrattività. È pericoloso continuare a cullarsi nella favola bella che facciamo parte di quella circolazione, perché vuol dire fingere che la bassa attrattività non esista. L’emigrazione dei giovani italiani non solo rende più difficile per le imprese la ricerca di persone da assumere ma accentua enormemente il mis-match tra domanda e offerta di competenze”.

Perché l’estero

Molti vanno via per ricercare migliori opportunità lavorative (25%), ma anche per studio e formazione (19,2%) e per cercare una qualità di vita più alta (17,1%). Il 10% invece è alla ricerca di un salario più alto. E questo accade, diversamente da quanto si potrebbe immaginare, soprattutto al Nord Italia, dove il 35% dei giovani residenti è pronto a trasferirsi all’estero. Secondo il rapporto, quasi l’80% dei expat è occupato, contro il 64% di chi è rimasto. E stiamo parlando del Nord, figurarsi cosa accade per il Sud!

Siamo entrati in una fase critica di carenza e fuga di giovani dal Paese, che si accompagna alla gravissima denatalità che caratterizza, in modo lievemente diverso, tutte le regioni d’Italia. Anche quelle che hanno bisogno di lavoratori, non fanno figli ma non vogliono gli emigrati. O meglio: li vorrebbero tutti “bianchi”, per via dell’insinuante razzismo che trova sponda in una parte consistente della politica. Eppure, il 58,2% di chi è andato a lavorare all’estero svolge ruoli che nel nostro Paese le aziende faticano a ricoprire. Si tratta di professioni qualificate nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati, personale senza qualifica. I giovani, quindi, scarseggiano per le imprese, mancano nel sistema della pubblica amministrazione e mancheranno sempre di più.

Le sensazioni

“Insensibilità e immobilismo sono scandalosamente inaccettabili”, ha commentato persino il presidente del Cnel Renato Brunetta, dopo la presentazione dei dati.

Il benessere percepito, la visione del futuro e la condizione professionale sono i fattori che spiegano perché il 33% degli expat intende rimanere all’estero, a fronte del 16% che prevede di tornare in Italia, principalmente per motivi familiari. Inoltre, il 51% dei professionisti all’estero è aperto a trasferirsi dove si presenteranno le migliori opportunità lavorative. È significativo che l’87% degli expat giudichi positivamente la propria esperienza all’estero. La ragione principale per cui decidono di non tornare in Italia è la mancanza di opportunità lavorative simili nel paese. A questa si aggiungono opinioni diffuse sulla scarsa apertura culturale e internazionale dell’Italia, oltre alla percezione di una qualità della vita superiore negli altri paesi.

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Enciclica

Papa Francesco nella Dilexit nos: “Nuove guerre dramma vergognoso”; “la società mondiale sta perdendo il cuore”

foto Marco Calvarese-Sir
24 Ott 2024

La società mondiale “sta perdendo il cuore”: a denunciarlo è papa Francesco, nella sua quarta enciclica, ‘Dilexit nos’. “Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche”, argomenta Francesco, secondo il quale “se in essa regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”. “Per questo motivo, vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore”, il grido d’allarme del Papa: “Basta guardare e ascoltare le donne anziane – delle varie parti in conflitto – che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto. Esse, che tante volte sono state modelli di forza e resistenza nel corso di vite difficili e sacrificate, ora che arrivano all’ultima tappa della loro esistenza non ricevono una meritata pace, ma angoscia, paura e indignazione. Scaricare la colpa sugli altri non risolve questo dramma vergognoso. Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore”. “Di fronte al proprio mistero personale, forse la domanda più decisiva che ognuno si può porre è questa: ho un cuore?”, la proposta papale, che cita le proposte spirituali di autori come S. Ignazio di Loyola, Michel de Certeau, San Bonaventura, John Henry Newman.

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Popolo in festa

Si concludono domenica 27 le celebrazioni in onore della Madonna della fiducia

24 Ott 2024

Si avviano alla conclusione al rione Italia-Montegranaro i festeggiamenti in onore della Madonna della Fiducia, a cura dell’omonima parrocchia in via Emilia.

Sabato 26, alle ore 17, il parroco don Cristian Catacchio celebrerà la santa messa; al termine avrà luogo la processione per le vie del territorio parrocchiale, accompagnata dalla banda musicale ‘Armonia 84’ di Monteiasi diretta da Ave Catacchio. Successivamente in piazza, alle ore 21, si terrà il concerto della tribute band dei Pooh ‘Tropico del Sud’.

Infine domenica 27 sante messe saranno celebrate alle ore 8-9.30-11.30; in mattinata si esibiranno in piazza alcune società sportive, scuole di danza e di musica; alle ore 18, l’arcivescovo mons. Ciro Miniero presiederà la solenne celebrazione eucaristica e inaugurerà lo studio medico sociale di consulenza sanitaria, servizio riservato ai bisognosi, sorto in collaborazione con l’Ufficio di pastorale della salute dell’arcidiocesi diretto da don Cristian Catacchio e del Centro aiuto alla vita (https://www.nuovodialogo.com/2024/10/25/per-i-bisognosi-nasce-alla-madonna-della-fiducia-lo-studio-medico-sociale/). Infine alle ore 20, sempre in piazza, i giovani e gli adulti della parrocchia metteranno in scena il musical ‘Camillo, dalla spada alla croce’, imperniato sull’avventurosa esistenza di san Camillo De Lellis (1550-1614), fondatore dei padri camilliani dediti all’assistenza degli ammalati e patrono del personale sanitario.

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Diritti negati

Autonomia differenziata: un convegno per rimarcare i rischi per la stabilità dell’Italia

foto Acli
24 Ott 2024

Nei giorni scorsi si è svolto il convegno “Un referendum per l’Italia: quale idea di unità”, organizzato dalle Acli per discutere i rischi dell’autonomia differenziata e le sue conseguenze sulla stabilità del Paese. L’evento ha riunito esponenti del mondo sindacale, politico e associativo, con l’obiettivo di mobilitare i cittadini in vista del referendum abrogativo per cancellare una riforma che minaccia di amplificare le disuguaglianze e spezzare l’unità nazionale.
Ad aprire l’incontro è stato Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli che ha dichiarato: “Noi delle Acli siamo convintamente schierati contro questa legge che riteniamo dannosa per le ricadute che potrà produrre qualora trovasse applicazione, modificando la forma di Stato così come era stata pensata dai nostri padri costituenti. Riteniamo che siano le cittadine e i cittadini a dover decidere se il Paese debba trasformarsi in 21 stati-regione, a cui verrebbero trasferite competenze legislative esclusive in materie fondamentali come scuola, sanità, infrastrutture e trasporti. Il nostro appello è chiaro: dobbiamo fermare questo progetto di autonomismo esasperato e divisivo che rischia di creare un regionalismo competitivo e frammentario”.
Ivana Veronese, vicepresidente del Comitato per il Sì al Referendum per l’abrogazione della legge sull’Autonomia differenziata e segretaria confederale Uil, ha evidenziato l’importanza di restare uniti in questa battaglia: “Abbiamo rispettato le differenze che ci contraddistinguono, concentrandoci sull’obiettivo comune. Il lavoro è ciò che ci caratterizza e ci accomuna e deve essere sicuro, remunerato il giusto e stabile. Purtroppo, questa legge mette a rischio proprio diritti fondamentali come il lavoro, la salute, e l’istruzione, aprendo la strada a ulteriori disuguaglianze. Il referendum non è uno strumento che spacca il Paese, ma è questa legge che presto lo farà”.
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha sottolineato la necessità di un nuovo modello sociale e di sviluppo: “Ci troviamo di fronte ad un disegno del governo che mette in discussione la democrazia. Questo governo vuole cambiare la Costituzione. Ha vinto le elezioni, ha una maggioranza in Parlamento e pensa di poter comandare invece di governare, rifiutando il confronto con le parti sociali. Serve un nuovo modello sociale e di sviluppo, che metta al centro il lavoro, e la piena applicazione della nostra Costituzione. A rischio c’è la democrazia nel nostro Paese. Dobbiamo contrastare questo disegno, mettendo in campo, non solo i referendum, ma tutti gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione. Il migliore modo per difendere la democrazia è praticarla”.
Walter Massa, presidente nazionale Arci, ha delineato un quadro preoccupante del futuro del Paese se questa legge dovesse entrare in vigore: “Da una parte c’è chi vuole sostanzialmente indebolire lo stato di diritto e i principi costituzionali a colpi di maggioranza, avendo in testa un disegno che la storia ha già giudicato eversivo. La legge Calderoli, la riforma della giustizia e la proposta di premierato fanno parte di un disegno strategico per riformare completamente il senso democratico delle nostre Istituzioni e i principi cardine della nostra convivenza democratica. Dall’altra ci siamo noi che ci ostiniamo a voler vedere compiuta e attuata la Costituzione Italiana che sostanzia, attualizzandolo, quel principio imprescindibile di giustizia sociale e uguaglianza. Per costruire un altro Paese e per essere credibili agli occhi dei cittadini bisogna ancorarsi a queste poche certezze. Questo abbiamo iniziato a fare con il percorso della via maestra e questo dobbiamo continuare a fare”.
Rosy Bindi, già ministro della Sanità e presidente del comitato promotore del referendum sull’Autonomia differenziata, ha espresso preoccupazione per l’erosione dei valori democratici: “Viviamo una mutazione genetica della democrazia, giorno dopo giorno. Attraverso leggi che snaturano la nostra Costituzione, stiamo assistendo alla distruzione di quel tessuto democratico che i nostri padri costituenti hanno costruito. Il mondo cattolico ha una responsabilità storica in questa battaglia. Non possiamo rifugiarci in una cultura concordataria: dobbiamo essere protagonisti e ricostruire il senso di appartenenza alla comunità democratica. Dobbiamo mobilitare verso il voto milioni di persone. Vorrei che questo fosse l’inizio di un percorso quotidiano attraverso cui si possa davvero fare la differenza”.
Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, ha chiuso l’incontro ribadendo l’impegno dell’associazione a favore della coesione nazionale: “La nostra democrazia è fragile quando non riesce a sostenere i territori e le persone più deboli. L’autonomia differenziata rischia di dividere ulteriormente il Paese, creando un’Italia in cui i più forti prevalgono sui più deboli. Il nostro compito è quello di costruire una democrazia dal basso, usando tutti gli strumenti possibili come il referendum e come le nostre due proposte di legge popolare su trasparenza dei partiti e assemblee partecipative perché la partecipazione sia sempre di più il vero antidoto al populismo. Portare 25 milioni di persone a votare al referendum non è solo una sfida politica, ma una sfida per la democrazia. Dobbiamo far capire che questa legge riguarda tutti e che la democrazia è una cosa seria, non un gioco da cambiare secondo le convenienze di chi governa”.
Le Acli continueranno a mobilitarsi per garantire un’ampia partecipazione al referendum, difendendo i valori di coesione sociale e giustizia che sono alla base della Costituzione italiana, anche attraverso la raccolta firme per le due proposte di legge di iniziativa popolare sulla trasparenza dei partiti e sulla partecipazione democratica dei cittadini.

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L'argomento

Migranti, esiste davvero un “Paese sicuro”?

foto Ansa-Sir
24 Ott 2024

di Gianni Borsa

“Al momento non c’è una lista europea sui Paesi terzi sicuri; gli Stati membri hanno liste nazionali. Ma è previsto” che tale lista ci possa essere e “ci lavoreremo”. Così si è espresso il servizio dei portavoce della Commissione nelle ore tribolate dell’affaire Italia-Albania, quelle del ritorno dei migranti dal Paese delle aquile al Belpaese, fino al nuovo decreto del governo che ha definito sicuri 19 Paesi dove poter rimandare i migranti che si ritiene a priori non abbiano diritto alla protezione internazionale.

Rispetto dei diritti fondamentali

Vicenda complicatissima, tra decisioni nazionali, diritto internazionale, normative Ue, pronunciamenti della Corte di giustizia europea. Al fondo la questione è una, più “politica” che giuridica: ridurre al minimo l’accoglienza di chi arriva da Africa, Asia e Sudamerica. Le opinioni pubbliche apparentemente premono in tale direzione e i governanti cercano adeguate soluzioni. Del resto il diritto internazionale e il diritto dell’Unione europea (procedure d’asilo) considerano un Paese sicuro quando vi è un solido sistema democratico, che rispetta i diritti fondamentali, nel quale non vi sia alcuna forma di persecuzione, nessuna tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti, nessun conflitto armato in corso.

Sicurezza per tutti e per ciascuno

Ma – elemento essenziale – non ci possono essere neppure respingimenti “automatici” delle richieste d’asilo: perché le domande devono essere valutate su base individuale, ovvero caso per caso. Un Paese può essere sicuro per la maggioranza della popolazione, o per una parte di essa; ma può perseguitare minoranze etniche, religiose, o sulla base dell’orientamento sessuale. Sono del resto innumerevoli i casi di cronaca in cui Paesi ritenuti democratici si accaniscono contro le donne, contro gli stranieri, contro gruppi minoritari. Non a caso il presidente emerito della Corte costituzionale italiana, Cesare Mirabelli, in questi giorni ha ripetuto che “occorre passare da un’insicurezza tabellare a un’insicurezza specifica in rapporto a un singolo individuo”, mettendo sostanzialmente in discussione l’idea stessa di Paese sicuro. La sentenza della Corte di Giustizia europea cui si fa riferimento in questi giorni stabilisce che un Paese per essere “sicuro” lo deve essere per tutti – per ogni cittadina e cittadino – e su tutto il territorio nazionale. Si individua dunque una nazione dalla quale non ci sarebbero reali ragioni per fuggire e chiedere asilo altrove (resta ovviamente aperto tutto il dibattito sulle altre motivazioni per cui si emigra, anche forzatamente: fame, mancanza di cure sanitarie, cambiamenti climatici, carenza di opportunità scolastiche o lavorative…).

Elenchi assai discordanti

Rimane il fatto che la materia è assai “scivolosa”. Ad esempio, ci si ricorda che nel 2015, nel pieno della cosiddetta “crisi dei rifugiati” registrata allora in Italia e in Europa, la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker tentò di definire una lista europea dei Paesi sicuri, ma senza riuscirvi. Ogni Paese ne aveva adottata una, con forti divergenze ed elenchi discordanti. Ancora oggi succede così: ogni Stato membro Ue ha la sua lista. Ad esempio in quella della Germania vi appaiono attualmente solo nove Paesi sicuri.

Egitto, Marocco, Turchia, Cina…?

Tra gli Stati definiti sicuri dal Governo italiano compaiono Paesi in cui alle donne non è garantita piena parità rispetto agli uomini (Egitto, Gambia); in altri non tutte le fedi religiose hanno eguale dignità e dunque la medesima libertà di culto e sicurezza personale per tutti in fedeli (lo stesso Egitto o il Marocco); i rom non sono adeguatamente tutelati in Kosovo; e neppure i kosovari in Serbia… I casi si potrebbero moltiplicare. Chi in buona fede potrebbe considerare “sicura” la Turchia, la Bielorussia, la Georgia, persino la Cina?Ci sono Stati che si accaniscono contro gli avversari politici, contro i dissidenti, contro i giornalisti, contro i difensori dei diritti umani.

Definizioni discrezionali

Si sa, peraltro, che la definizione di Paese sicuro ha implicazioni notevolissime e concrete, perché influisce sulle procedure per ottenere o negare l’asilo, e sui rimpatri. Così l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si è espresso su questa materia, sottolineando che ogni richiesta di asilo “deve essere esaminata pienamente e individualmente nel merito, in conformità con determinate garanzie procedurali”; al richiedente asilo va sempre concessa la possibilità di precisare le motivazioni per le quali il suo stesso Paese non è, nel suo specifico caso, sicuro. Più volte le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani hanno sostenuto che nessuno può veramente garantire che un Paese sia sicuro per tutti i suoi cittadini.Il fatto stesso – come già detto – che alcuni Stati considerino sicure talune nazioni e non altre conferma che si tratta di definizioni discrezionali, influenzate da elementi di natura politica, e sottoposte al mutare delle condizioni interne di quegli stessi Paesi.

Un’ultima considerazione

Il nuovo Patto Ue su migrazione e asilo, varato quest’anno e che dovrebbe entrare a regime nel 2026, non prevede, neppure questa volta, un elenco condiviso di Paesi sicuri. La questione rimane aperta.

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Ricordo

Continuano a San Marzano le iniziative in ricordo di don Franco Venneri

24 Ott 2024

di Angelo Diofano

Mercoledì 23, a San Marzano, in chiesa madre, il parroco don Cosimo Rodia ha celebrato la santa messa nel ricordo del suo predecessore don Franco Venneri, nel tredicesimo anniversario dalla sua nascita in cielo. Al termine della celebrazione ha avuto luogo la  premiazione delle squadre e dei ragazzi che hanno partecipato al torneo di calcetto a sette squadre “4° Memorial don Franco Venneri” organizzato della parrocchia e del gruppo sportivo parrocchiale e vinto dalle squadre San Carlo Borromeo e San Luigi.
Un riconoscimento particolare per le qualità espresse in campo è andato agli atleti Giuseppe Cazzato, Francesco Saracini, Gabriele Vecchio e Matteo Carlucci. La premiazione è stata fatta dal  parroco don Cosimo Rodia e dal presidente del gruppo sportivo Gregorio Miccoli. È stata anche premiata, per la notevole sportività espressa in campo, una compagine formata interamente da ragazzi marocchini.

Il torneo di calcetto è solo una delle numerose iniziative organizzate a San Marzano per onorare l’indimenticato don Franco, al quale domenica scorsa è stata dedicata la struttura oratoriale in via Pio XI, con l’apposizione di una targa commemorativa dell’evento. Don Cosimo Rodia ha tenuto un discorso per ricordare il proficuo operato del sacerdote in parrocchia e il suo amore per lo sport, da lui concepito come potente mezzo di evangelizzazione.

Intanto continua la petizione per l’intitolazione di una strada o di una piazza a don Franco Venneri, che prossimamente sarà consegnata al sindaco prof. Francesco Leo.

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Diocesi

Ai restauri il simulacro dell’Addolorata

24 Ott 2024

di Angelo Diofano

Intitolata ‘Spes non confundit’ (La speranza non delude)  si è svolta martedì sera, 22 ottobre, nella chiesa di San Domenico, la catechesi di mons. Emanuele Ferro (padre spirituale della confraternita dell’Addolorata) relativa alla presentazione della bolla di papa Francesco per l’indizione del Giubileo del 2025 ‘Pellegrini di speranza’: la prima organizzata dal sodalizio nell’anno sociale 2024-2025. La prossima si terrà il 19 novembre, sempre di martedì.

Intanto domenica mattina, prima di partire per il restauro, la statua della Beata Vergine Addolorata eccezionalmente è stata esposta in presbiterio per un momento particolare di venerazione da parte dei fedeli e dei confratelli (alcuni dei quali in abito di rito). L’intervento sarà effettuato nel laboratorio d’arte di Maria Gaetana Di Capua, di Martina Franca, che lavora spesso con la Curia arcivescovile e la Soprintendenza.
Il simulacro tornerà in San Domenico poco prima della Quaresima.

“Sulla statua – spiega il priore Giancarlo Roberti – sarà effettuato un lavoro conservativo perché abbiamo il dovere di mantenerla nel suo splendore per le generazioni presenti e per quelle che verranno. Cercheremo di mantenere intatte le cromie, ma è indubbio che sarà necessario intervenire sulle parti ammalorate, che devono essere assolutamente trattate e curate, in particolare il volto, le mani e i piedi”.

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Dipartita

Morto Gustavo Gutiérrez, un ‘padre’ della teologia della liberazione

foto arcidiocesi di Lima
23 Ott 2024

La Provincia domenicana di San Giovanni Battista del Perù ha confermato la morte di padre Gustavo Gutiérrez, all’età di 96 anni.
Da tempo, si trovava in condizioni di salute assai precarie. Le sue spoglie riposeranno nella sala capitolare del convento di Santo Domingo, a Lima, dove è stata allestita la camera ardente. Ordinato sacerdote nel 1959 e consacrato nell’ordine dei domenicani nel 2001, padre Gutiérrez è ricordato come il massimo esponente della teologia della liberazione, oltre che come fondatore dell’Istituto Bartolomé de las Casas di Lima. La sua opera più famosa, Teologia della liberazione, è considerata il manifesto di un movimento teologico, in realtà, assai variegato. Al termine di un lungo e fruttuoso dialogo con il Vaticano, portato, in particolare, avanti con il card. Joseph Ratzinger, il “processo di chiarificazione” si concluse in modo positivo, definitivamente, nel 2004. Nel 2005, il teologo affermò, togliendo ogni equivoco alla sua opera: “La teologia della liberazione, dalla prima all’ultima riga del libro, è contro il marxismo perché per Marx il cristianesimo era oppressione e il lavoro della mia vita è impegnato nell’idea che il cristianesimo è liberazione”.

Nel giorno della memoria liturgica di Giovanni Paolo II, “Papa evangelizzatore e vero pastore, abbiamo avuto anche il dolore e la gioia di aver vissuto per tanti anni con padre Gustavo Gutiérrez, che ora è passato a vivere nel Regno del Padre”, sono le parole dell’arcivescovo di Lima e primate del Perù, mons. Carlos Castillo, poco dopo la notizia della sua morte. Mons. Castillo, che in gioventù è stato allievo e collaboratore di padre Gutiérrez, ha ricordato che il teologo “è stato un instancabile difensore dell’opzione preferenziale per i poveri, una frase che ha coniato e che è entrata a far parte del magistero della Chiesa come un modo fondamentale di vivere la nostra fede. Questo nostro amico, un sacerdote peruviano, ha accompagnato la Chiesa per tutta la sua vita, rimanendo fedele nei momenti più difficili, ricordandoci sempre che il vero pastore deve prendersi cura delle sue pecore, soprattutto dei poveri”.
Il primate del Perù ha ricordato che fu proprio papa Giovanni Paolo II a riconoscere “che l’opzione preferenziale per i poveri non è né esclusiva né escludente, ma è ferma e irrevocabile”. E, oggi, “papa Francesco ci mostra che questo cammino è promettente, sapendo che il Vangelo è il primo che contiene questa opzione”.
Mons. Castillo, che sarà creato cardinale il prossimo 8 dicembre, ha concluso: “Ringraziamo Dio per aver avuto un sacerdote teologo fedele che non ha mai pensato al denaro, né ai lussi, né a nulla che assomigliasse al ritenersi superiore. Piccolo com’era, ha saputo annunciarci il Vangelo con forza e coraggio”.

 

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Politica internazionale

Accordo Santa Sede-Cina, Yan (Shanghai): “Svolta significativa dopo decenni di tensione”

foto Sir
23 Ott 2024

di Maria Chiara Biagioni

“Una svolta significativa dopo decenni di tensione e mancanza di relazioni formali tra le due entità”: così Chiaretto Yan, focolarino cinese, commenta il rinnovo dell’Accordo Santa sede-Cina sottoscritto la prima volta il 22 settembre 2018 e già prolungato due volte. Yan vive a Shanghai ma insegna All’Università Saint Joseph d Macao, al seminario nazionale di Pechino, a quello diocesano di Pechino. È autore di un libro dal titolo “My chinese dream: gettare un ponte tra l’Est e l’Ovest – Speranze, sfide e opportunità”. A lui abbiamo chiesto come i cinesi stanno seguendo questo tavolo di dialogo e l’Accordo che viene ora prorogato non più per 2 anni ma per “un ulteriore quadriennio”.

Che segnale è?

L’Accordo provvisorio tra la Santa sede e la Cina ha segnato una svolta significativa dopo decenni di tensione e mancanza di relazioni formali tra le due entità. Sin dall’inizio viene chiamato “provvisorio”, il che implica qualcosa di sperimentale di natura. L’Accordo ha fornito un quadro incentrato principalmente sulla nomina dei vescovi in Cina, una questione controversa che era stata un ostacolo nelle relazioni tra il governo cinese e la Santa sede. Questo quadro di contenuto potrebbe essere migliorato nel tempo. Già a maggio, il cardinale Parolin aveva espresso l’intenzione della Santa sede a proseguire l’Accordo con l’intento di affidare l’ufficio pastorale a vescovi idonei. Questo Accordo è ora esteso da 2 a 4 anni. Significa che è maturata una fiducia reciproca e il dialogo si prosegue stabilmente.

Nel comunicato della Santa sede si legge che “la parte vaticana rimane intenzionata a proseguire il dialogo rispettoso e costruttivo con la parte cinese, per lo sviluppo delle relazioni bilaterali in vista del bene della Chiesa cattolica nel Paese e di tutto il popolo cinese”. Quanto è stato importante fino ad oggi questo Accordo?
Con la firma dell’Accordo del 22 settembre 2018, papa Francesco ha riammesso nella piena comunione ecclesiale vescovi cinesi, ordinati senza mandato pontificio. D’altra parte, negli ultimi 6 anni, alcuni vescovi ordinati segretamente senza il riconoscimento del governo cinese, hanno assunto cariche pubbliche o hanno subito “una cerimonia di ufficializzazione” che denota il riconoscimento da parte delle autorità civili. Questo Accordo è molto importante perché dalla sua firma non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime. Tutti i vescovi cattolici in Cina oggi sono in piena comunione con il Papa. La parte vaticana rimane intenzionata a proseguire il dialogo “rispettoso” e “costruttivo” con la parte cinese. Certamente, il dialogo deve essere rispettoso perché nel dialogo le due parti devono rispettarsi reciprocamente. Anche nella pastorale e nell’evangelizzazione, la proclamazione rispettosa è essenziale perché, come papa Francesco afferma, la Chiesa cresce per attrazione. Nell’annunciare questo rinnovamento sia la Cina sia la Santa sede sottolineano l’importanza del dialogo costruttivo.

In questi due anni, nonostante ci fosse un Accordo, non tutto è andato bene. Cosa hanno “insegnato” queste difficoltà e incomprensioni vissute?
In questi due anni, si sono verificati due contrattempi dovuti allo spostamento di due vescovi effettuato senza consultare la Santa Sede. Nel caso del vescovo Peng, è sorta una disputa in merito al fatto che la provincia di Jiangxi abbia quattro diocesi (come registrato prima del 1949) o solo una diocesi a causa dei cambiamenti demografici (come riconosciuto dall’autorità governativa). Se ce n’è solo una, l’insediamento del vescovo Peng come vescovo ausiliare di Nanchang non sarebbe considerato uno spostamento, ma piuttosto l’ufficializzazione del suo status di vescovo come riconosciuto dal governo. Nel caso dello spostamento di mons. Shen Bin, erano necessari ulteriori chiarimenti per procedere nello spirito dell’accordo. La parte cinese potrebbe aver sostenuto che le questioni relative allo spostamento dei vescovi non erano contenute nell’accordo. Come ha affermato il vescovo Stephen Chow di Hong Kong dopo aver visitato Pechino, le discrepanze di opinioni tra le due parti sull’assegnazione dei vescovi ad altre diocesi potrebbero essere un fattore da “comprendere meglio”, suggerendo che “se in futuro si tenessero colloqui più regolari e approfonditi, forse ne deriverebbero dei chiarimenti”. Tre mesi dopo, la Santa Sede “ha rettificato l’irregolarità canonica”, come ha affermato il cardinale Parolin, per il “bene superiore della diocesi” e ha annunciato la nomina di mons. Shen da parte di papa Francesco nel luglio 2023. Successivamente, la situazione della diocesi di Shanghai è migliorata, si è notato che sono stati registrati più battesimi e sono aumentate le vocazioni nel seminario. Quale lezione? Meno controversie, migliore sviluppo per la chiesa locale.

Quali frutti invece ha portato l’Accordo e quali si attendono per il futuro?
Un frutto evidente che ha portato l’Accordo è per la tersa volta, sono venuti vescovi dalla Cina per il Sinodo dei vescovi a Rome dopo l’Accordo sei anni fa. E ora, per la prima volta, Giuseppe Yang Yongqiang e Vincenzo Zhan Silu, due vescovi della Repubblica popolare cinese, partecipano per tutto il periodo del Sinodo. Nello spirito di un dialogo rispettoso e costruttivo, le due Parti continueranno a risolvere questioni come la ridefinizione dei confini diocesani e il possibile spostamento dei vescovi che aveva avuto luogo eccezionalmente. A causa dell’urbanizzazione e della migrazione dal 1949, molto è cambiato in Cina per quanto riguarda le divisioni amministrative e la demografia. Nei registri della Santa sede, i territori ecclesiastici in Cina e il numero di diocesi, arcidiocesi, prefetture apostoliche e amministrazioni ecclesiastiche rimangono come elencati prima del 1949; hanno bisogno di essere aggiornati e in alcuni casi ridefiniti.

Ma il popolo cattolico di Cina segue questi Accordi? Cosa dice? Quali sono le esigenze, le attese, le speranze?

Non solo i cattolici cinesi seguono questi Accordi, ho diversi amici che non sono cattolici che mi hanno inviato messaggi e notizie sul rinnovo degli Accordi oggi. Riguarda la nostra fede cattolica, la nostra vita e lo sviluppo della Chiesa in Cina. Penso che c’è chi ha un atteggiamento propositivo, e chi invece è più passivo. Ci sono esigenze di maggiore libertà religiosa e armonia nella società. Spero che attraverso il dialogo, la Santa sede e le autorità cinesi possano appianare le divergenze e aiutare a risolvere le divisioni all’interno della Chiesa. Penso che dovremmo enfatizzare l’unità e la riconciliazione e lavorare per il bene comune e l’armonia sociale delle persone.

Il Papa da sempre guarda alla Cina e al popolo cinese. Un suo viaggio nell’amata Cina, è “realistico”?
Di recente, papa Francesco ha parlato dello stile di Dio come vicinanza, compassione e tenerezza nel servire e amare gli altri. Un’altra caratteristica di cui il Papa parla spesso, è la sorpresa di Dio. Se continuiamo a pregare e testimoniare con la nostra vita, Dio può darci questa sorpresa.

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A Taranto

Sabato 26, riapre la Torre dell’orologio di piazza Fontana

La cerimonia inaugurale è in programma alle ore 19. Nell’occasione, l’antico edificio verrà illuminato in modo scenografico

23 Ott 2024

Dopo circa dieci anni riapre al pubblico la Torre dell’orologio di piazza Fontana, uno dei luoghi simbolo della città dei due mari. La cerimonia inaugurale, con la presenza delle autorità cittadine, è in programma sabato 26 ottobre, alle ore 19. Nell’occasione, l’antico e storico edificio verrà illuminato con un nuovo e scenografico impianto che ne simboleggerà la restituzione alla fruizione pubblica. Artefice della rinascita della Torre dell’orologio è la Fondazione dal mare presieduta da Alessandro Maruccia con il supporto del Comune di Taranto.
Fondazione e amministrazione comunale, infatti, hanno siglato un protocollo d’intesa finalizzato alla realizzazione del Museo dal Mare all’interno della Torre, nel cuore della città vecchia.


“Il museo – spiega Maruccia – è parte integrante del percorso iniziato negli anni scorsi dalla Fondazione e cioè sviluppare e promuovere la filiera culturale, sociale ed economica legata al mare. Il museo avrà una sezione dedicata alla cultura marinaresca e all’evoluzione delle tecniche di navigazione in cui illustreremo le grandi imprese oceaniche attraverso cimeli e ricostruzioni documentali. Il Museo dal mare è composto anche da un patrimonio di imbarcazioni vintage vivo e navigante in cui protagoniste sono le barche attraverso la voce degli armatori che raccontano la loro storia e le loro avventure. Il museo prevede, infine, una sezione dedicata alla storia della Torre dell’orologio e di piazza Fontana”.

Una serie di pannelli condurranno il visitatore alla scoperta di notizie storiche sulla Torre la cui edificazione risale al 1750. Nonostante sia uno dei simboli della città bimare, la sua storia è poco conosciuta. Eppure si tratta di uno dei pochi monumenti superstiti della città antica e rappresenta un prezioso testimone delle trasformazioni urbanistiche e sociali che hanno caratterizzato i secoli passati. I soci e gli esperti della Fondazione dal mare, nei mesi scorsi hanno svolto accurate ricerche all’Archivio di Stato di Taranto. Un lavoro che ha riportato alla luce storie inedite di vita vissuta riguardanti le attività che si sono succedute nella Torre di Taranto. Anche questi documenti, insieme ad una collezione di foto e stampe d’epoca, saranno esposti nei locali della Torre. Per l’allestimento definitivo del Museo, però, occorreranno alcune settimane a causa del furto di cimeli e altro materiale subito dalla Fondazione nei mesi scorsi.

“Il museo – aggiunge il presidente Maruccia – sarà un luogo aperto ad eventi culturali, presentazioni di libri, mostre, visite di scolaresche, turisti, cittadini. Vogliamo fare rete con altre realtà e contribuire alla rigenerazione economica, sociale e culturale di Taranto e, in particolare, della Città vecchia”. In quest’ottica la riaccensione della Torre dell’orologio di piazza Fontana è stata inserita nel programma della rievocazione storica del Matrimonio di Maria d’Enghien organizzata dall’omonima associazione con il patrocinio di Comune di Taranto e Confcommercio e supportata da Taranto Grand Tour. Alle ore 20 di sabato 26 ottobre è previsto, infatti,  il passaggio del corteo storico dinanzi al monumento illuminato e restituito nuovamente alla collettività. Completerà il programma della cerimonia inaugurale l’esibizione del coro dell’istituto comprensivo Alfieri, preparato dalle professoresse di Musica Marangi, Panio e Pennarola, che eseguirà due celebri canti dialettali: “Tarde Tà” e “Tramonde a Tarde”.

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