Qualità della vita: i dati ci confermano i motivi della grande fuga da Taranto
Il Sud è sempre più indietro e Taranto verso il fondo. Ci viene naturale domandarci: perché la Lega e i suoi alleati vogliono prendere ancora di più le distanze dalle regioni meridionali, se tutto gira a loro favore? Sono molto più ricche, attirano tutti i giovani dal resto del Paese, hanno una qualità di vita di gran lunga migliore da tutti i punti di vista. A quale scopo accrescere la propria autonomia e godersi tutta intera la propria ricchezza senza contribuire, in parte, alla crescita del Paese, che già rema a suo favore?
La domanda, già sostanziata dalla Corte costituzionale, che ha in gran parte bocciato le norme contenute nella legge sull’autonomia differenziata, che così com’era avrebbe affossato definitivamente il Sud, trova nuova forza oggi nelle classifiche per la qualità della vita. Ci riferiamo a quelle pubblicate da “Italia Oggi”, che vedono ai primi posti solo le città del Nord, a cominciare da Milano, mentre il fondo della classifica è destinato alle città del Sud. Tra queste c’è naturalmente anche Taranto, che viaggia da sempre agli ultimi posti e che quest’anno è 99sima, come due anni fa, due posti meglio dell’anno scorso, forse per il peggioramento delle performance altrui, più che per il miglioramento delle proprie.
Il punto sul quale maggiormente vogliamo insistere è sull’ultimo posto nella specifica classifica per la “sicurezza sociale” che ci conferma che Taranto non è un paese per giovani. Lo aveva spiegato con chiarezza avvilente l’indagine sulla condizione giovanile stilata da “il Sole 24 Ore” a maggio del 2023, che aveva collocato Taranto all’ultimo posto della classifica. Anche la nuova classifica specifica di “Italia Oggi” conferma questo dato: il tasso di inattività dei giovani tra i 25 e i 34 anni, indicatore che ha sostituito il dato sui Neet, ovvero la percentuale di persone tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, né studiano, né svolgono alcun programma di formazione, pone Taranto all’ultimo posto.
Al di là dei proclami e dei continui trionfalismi, la nostra città non ha nulla da offrire, è per questo che nella fascia tra i 18 e 35 anni si è perso il 6,4% di popolazione residente. E le previsioni dell’Istat ci dicono che vent’anni la popolazione di Taranto scenderà a circa 150.000 abitanti. Oltre il 30% dei residenti è disoccupato, ma anche chi lavora è insoddisfatto. Una buona metà lavora nel cosiddetto terziario turistico: ristorazione, alimentazione, ospitalità, strutture turistiche, ma si tratta in genere di lavoro stagionale, nero, sottopagato se non fortemente sfruttato. Il turismo si conferma, infatti, come settore che crea reddito solo per alcune fasce del commercio ma che ha riscontri negativi in molti altri settori. Quello che occorrerebbe è, infatti, lo sviluppo dei settori produttivi, creatori di ricchezza stabile: terziario avanzato, industria verde, agricoltura di qualità, servizi sociali (che sono assolutamente carenti e comportano il peggioramento della qualità della vita nella classifica che riguarda gli anziani). E invece dobbiamo confrontarci con la condizione di crisi che investe tutto il settore industriale, dall’acciaio alla Leonardo, dalla Hiab all’Arsenale, dall’appalto comunale al tessile e così via. Anche il settore dello spettacolo è un comparto che soddisfa i pochi, fortunati o privilegiati che ci lavorano, ma che non offre alcun miglioramento nella qualità della vita dei giovani. Mentre il grande buco nero è la mancanza di una vera, prestigiosa, autonoma università.
Anche per quanto riguarda altri parametri, come il verde pubblico, si scontano decenni di progetti: green belt, foresta urbana, parco del Galeso, parco del Mar Piccolo, parco delle Gravine, che finora si sono rivelate solo belle chiacchiere. Lo stato in cui versa Villa Peripato unico vero polmone verde in città, non è incoraggiante.
Insomma: la città avrebbe bisogno di una classe dirigente, di una classe politica, di un’amministrazione comunale all’altezza. Ma la litigiosità, la lontananza – fisica e morale – di esponenti e parlamentari, sconosciuti alla gran parte della cittadinanza, l’autoreferenzialità fanno della rappresentatività e della capacità di mediazione una chimera.