Giubileo2025 in diocesi

L’omelia dell’arcivescovo Ciro Miniero per l’apertura del Giubileo in diocesi

foto G. Leva
31 Dic 2024

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero nel corso della solenne celebrazione eucaristica svoltasi nella basilica cattedrale di San Cataldo per l’avvio dell’anno giubilare.

Fratelli e sorelle,
in comunione con il Santo Padre Francesco, e con la Chiesa tutta, iniziamo il Giubileo ordinario dell’anno del Signore 2025. In questo tempo di grazia, siamo chiamati a rinnovare e a rinvigorire la nostra vocazione di Pellegrini di Speranza.

Nel cuore del tempo di Natale, appare oramai da anni una profonda contraddizione: siamo caricati di sollecitazioni, di innumerevoli superfetazioni per le emozioni indotte, per le espressioni poco credibili di solidarietà e bontà. Siamo letteralmente trascinati sulla giostra smodata del consumismo, nel circo degli elfi e dei folletti. Oggi invece come momento iniziale di questa solenne celebrazione abbiamo scelto di metterci in processione dietro la croce di Cristo.

Vogliamo ribadire a noi stessi che solo dando la vita per il bene dei fratelli e ricercando l’unità fraterna e la pace, possiamo indicare al mondo una speranza nuova ed essere insieme pellegrini di speranza. In un mondo soffocato spesso dalle violenze, dalle crisi climatiche, dalla voce grossa dei prepotenti e dalla distruzione delle guerre, vogliamo contraddire con la testimonianza dell’amore la logica del mondo.

«Vedete – ci dice San Giovanni – quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui».

Conoscere lui significa ascoltare la sua Parola e metterla in pratica, come hanno fatto nell’umiltà Maria e Giuseppe. Maria diventa madre nella naturale contraddizione della sua verginità, Giuseppe accoglie Gesù nel modo inusuale di essere padre, Gesù nasce nel momento e nel luogo inaspettati. E mentre i genitori del Signore accolgono e custodiscono la Parola fatta carne, il mondo obbedisce ai decreti di Cesare Augusto. Nello stridio impetuoso della violenza dell’impero romano, la brezza leggera dello Spirito si fa spazio in cuori miti e fiduciosi. Nel cuore della notte, la gioia irrompe sui pastori e li porta alla capanna per adorare un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia.

Anche noi oggi, vogliamo fare spazio alla speranza inopportuna della croce. Inappropriata per il mondo ma per noi unica speranza.

Vorrei parlarvi della speranza con alcuni spunti che ho tratto dalle letterine che ho chiesto ai bambini delle scuole nei mesi scorsi per avere da loro spunti per poter parlare della speranza. Leggendo i loro pensieri, sono rimasto particolarmente impressionato dalle risposte che ho ricevuto. I bimbi sono antenne del mondo capaci di captare con nitidezza i segnali di verità e… di speranza.

Il Vangelo di oggi, ci ha presentato proprio Gesù ragazzino che nel tempio ascolta e interroga i dotti. Quindi anche noi lasciamoci interrogare ed ascoltiamo i bambini.

La maggior parte di essi è spaventata dalla guerra, pensa ai loro coetanei che non hanno la possibilità di giocare e muoiono sotto le bombe. Naturalmente i bambini temono che la guerra possa anche arrivare qui. Tantissimi parlano del riscaldamento globale. Quelli che abitano in città hanno sentito dai genitori di una fabbrica che attenta seriamente alla salute, alcuni di una parte della provincia si lamentano degli odori di una discarica. Vi sono certi che avvertono la nostalgia dei fratelli e delle sorelle che sono lontani da casa per lo studio e per il lavoro. Una bimba mi scrive che spera da grande di poter tornare a casa senza la paura di essere aggredita e ha disegnato in fondo al foglio un paio di scarpette rosse. Tanti bimbi sono di diversa nazionalità, lo si capisce solo dai nomi perché scrivono in un italiano perfetto, raccontano di una nostra società ormai multietnica. Uno di essi mi ha commosso scrivendomi: «i miei genitori sarebbero sicuramente contenti di me» perché evidentemente è un bimbo adottato.

Come vedete i bimbi hanno una percezione tutt’altro che favolistica, conoscono bene il mondo nel quale viviamo. Voi mi direte che questa iniziativa è tenera ma potrebbe suggerirci che la speranza è lontana da noi. Potrebbe essere vero se noi ci lasciamo sfuggire un’indicazione di metodo dei bambini. Non solo occorre vedere quello che loro vedono ma come loro percepiscono la realtà. In ogni dramma, emergenza o difficoltà da loro descritto (vi è una bimba ad esempio che prega perché finalmente si trovi una cura risolutiva per il diabete di cui è affetta), non vi è mai un accenno di scoraggiamento e di pessimismo. È vero, il mondo per certi versi fa loro paura ma hanno fiducia, perché non sono soli. La loro fiducia è completamente riposta nei loro genitori che li accompagnano nella crescita. Vogliono crescere. Vogliono, con l’ingenuità che li è propria, impegnarsi per un mondo migliore. Un ragazzino simpaticamente mi ha ringraziato: «signor Ciro, sai che mi hai fatto una bella domanda? Nessuno me l’aveva mai fatta una domanda sulla speranza».

E noi ci facciamo interrogare sulla speranza?

Facciamoci interpellare sulla speranza, così che dalle nostre labbra affiori per la ricchezza della fede il nome di Gesù che ci salva, l’Emmanuele che cammina con noi. Speriamo perché non siamo soli. È lui che da vigore al nostro cammino dando alle nostre gambe il tono della fraternità, della carità, dell’amore.

Tornando alle letterine. Anche un occhio non attento si accorgerebbe di lettere spontanee scritte con l’accompagnamento intelligente dell’insegnante, capace di suscitare domande. Anche noi dobbiamo suscitare domande giuste, oneste e veritiere. Non offrire dettami morali ma formare il cuore all’incontro con la Speranza. Mi viene alla mente una definizione di chiesa di Giovanni XXIII. La Chiesa è Mater et Magistra, Madre e Maestra. In questo Anno Santo impegniamoci maggiormente nella missione dataci dall’essere Madre e Maestra; facciamo brillare sui volti delle nostre comunità la bellezza della vita cristiana e la forza rinnovatrice della speranza. Se c’è una cosa che interpella me come vescovo e ogni cristiano è il buio delle coscienze e la rassegnazione al male e ai suoi meccanismi.

La voce dei bimbi deve tramutarsi nella ricerca della luce vera per illuminare le nostre coscienze, partendo da un annuncio di cambiamento che muove i primi passi dalla misericordia. Il Giubileo ci invita a prestare ascolto al Maestro. È Lui la nostra luce, il nostro Pastore e noi siamo il suo gregge e possiamo riconoscere la sua voce e camminare stretti a Lui.

Abbiamo varcato la Porta: Lui è la porta, porta fiorita che accoglie tutti con festa, porta dell’ovile dove tutti possono entrare e trovare casa e da dove si deve uscire per annunziare ai fratelli che Gesù è l’unica speranza.

Il Giubileo è un tempo di grazia offertoci dalla Chiesa che ci chiede di fare una profonda revisione del nostro cammino cristiano. Innanzitutto è una scuola di comunità perché ci chiede di rafforzare la nostra fraternità e camminare insieme per costruire insieme una nuova società fondata sull’amore. Il nostro sguardo non può non posarsi su Roma, dove l’apostolo Pietro diede la sua bella testimonianza col martirio insieme a Paolo e tanti altri. La loro fede sostiene la Chiesa e la loro carità la tiene unita in ogni angolo della Terra.

Uno sguardo su Roma, un altro sulla nostra basilica cattedrale, qui dove è il fonte dal quale sgorga da secoli la fede dei tarantini. Siamo nella madre di tutte le nostre chiese dell’arcidiocesi. Questa cattedrale è il segno del nostro cammino di fraternità. Invito tutti voi, cari fratelli e sorelle, a vincere ogni resistenza all’unità e lavorare insieme per annunciare Gesù Cristo. Invito particolarmente i sacerdoti, ministri della misericordia, a rigenerare col perdono il cuore di tutti per essere costruttori credibili di speranza e di amore, superando ogni frammentarietà e discordia.

Ora il mio pensiero va a Maria la Madre della Speranza. A chiusura dei vangeli dell’infanzia secondo Luca è scritto: «Maria custodiva tutte queste cose nel suo cuore». Il nostro cuore, come il suo, sia un cuore che ascolta, che custodisce e riconcilia.

Coraggio fratelli e sorelle, camminiamo insieme come pellegrini di speranza: la porta è aperta, mettiamoci in cammino, la meta è certa, la grazia è assicurata, la salvezza ci è venuta incontro, la speranza, ne siamo certi, non delude!

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Giubileo2025 in diocesi

In Cattedrale, l’apertura del Giubileo nella nostra diocesi

foto G. Leva
30 Dic 2024

Una gran folla da tutte le parrocchie della diocesi ha partecipato domenica sera alla cerimonia di apertura dell’Anno Santo, svoltasi in due distinti momenti: dapprima nella chiesa di San Domenico e successivamente nella basilica cattedrale, con l’ingresso attraverso la Porta santa e la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero.

Molto suggestivo il colpo d’occhio offerto nella chiesa di San Domenico, affollata da un centinaio di sacerdoti (diocesani e religiosi), con i diaconi, le suore, rappresentanze delle confraternite, dei Cavalieri del Santo Sepolcro e le varie realtà ecclesiali; erano presenti anche gli arcivescovi emeriti mons. Filippo Santoro e mons. Salvatore Ligorio.

Dall’antica chiesa, la cui facciata è da tempo ravvivata da un pittoresco videomapping sulla Natività, si è poi mossa la processione che ha percorso, al canto della litania dei santi, corso Vittorio Emanuele (la “ringhiera”), attesa in piazza Duomo da un gran numero di fedeli. Giunto sulla soglia della cattedrale (il portone era stato precedentemente aperto) l’arcivescovo ha rivolto il crocifisso verso la piazza, facendo poi l’ingresso in chiesa, accolto dal canto solenne del coro e aspergendo i fedeli con l’acqua benedetta.

Nell’omelia mons. Miniero ha approfondito il tema della speranza, all’insegna della quale si svolge il Giubileo indetto da papa Francesco con il titolo, appunto di “Spes non confundit”, cioè la speranza non delude, che non deve mai abbandonarci, nonostante imperversino sfiducia e stanchezza. “Il Signore ci sostiene nel cammino e certamente se si semina bene, si riceverà del bene” – ha detto mons. Miniero, che ha continuato citando i contenuti delle letterine che circa 800 bambini della scuola primaria di Taranto gli hanno indirizzato per Natale, rispondendo al suo invito di descrivere cosa è per loro la speranza. «Le lettere sono molto belle e io ne sono rimasto molto colpito.– ha detto il presule tarantino -. I bambini hanno capacità di riflettere, di pensare e di guardarsi anche nel futuro. E questo temono, cioè che il futuro sia difficile da affrontare se non si risolvono dei problemi, ma sopratutto se non si ha a cuore il bene di tutti e il bene di loro”.

“C’è una cosa che mi edifica di questi bambini – ha continuato -. Non si lamentano, non si scoraggiano, hanno fiducia negli adulti che vogliono loro bene e sono pronti a impegnarsi per un mondo migliore”.

Il Giubileo – ha continuato mons. Miniero – ripropone a tutti quanti noi la grandezza dell’amore di Dio, che ci ha permesso di aspirare al paradiso, o meglio, di vivere il paradiso. Ma non di viverlo nell’attesa, ma farlo qui, attraverso una vita libera dal peccato e dalle sue conseguenze. Questo è il Giubileo: liberazione dalle conseguenze del peccato per poter essere veramente seme di vita nuova nella società e nel mondo. Poi spetta a noi continuare questa opera e agire con speranza, portando nel mondo quei semi di bene che il Signore ha posto in ciascuno di noi. Quel tesoro che la Chiesa possiede, cioè la promessa di nostro Signore che possiamo vivere liberi da ogni male e da ogni conseguenza del male, nel Giubileo si realizza. E possiamo ottenere le indulgenze in qualsiasi modo attraverso le varie attività ed azioni che la Chiesa ci chiede. Adesso proprio inizio Giubileo ci aiuterà a meditare sul nostro camminare insieme, sul nostro peregrinare nel mondo, per poter essere testimoni di speranza e di luce».

Idealmente e in contemporanea si sono aperte le porte sante delle altre chiese giubilari della diocesi, dove sarà possibile ottenere l’indulgenza plenaria alle consuete condizioni. Oltre che alla basilica cattedrale San Cataldo sarà possibile farlo in concattedrale Gran Madre di Dio, alla basilica San Martino in Martina Franca, al santuario Madonna della Salute in Taranto, al santuario Nostra Signora di Fatima in Talsano, al santuario Nostra Signora di Lourdes (nella parrocchia Santa Maria La Nova) in Pulsano, al santuario Madonna della Sanità (nella parrocchia Santa Teresa del Bambino Gesù) in Martina Franca, al santuario Madonna delle Grazie in San Marzano, al santuario Madonna della Mutata in Grottaglie, al santuario Madonna della Camera in Roccaforzata. In aggiunta, l’arcivescovo ha designato quali chiese giubilari la collegiata Maria Santissima Annunziata in Grottaglie per tutto l’Anno Santo e, per i 70 anni della sua erezione canonica, il santuario di Cristo Spirante (nella parrocchia San Francesco d’Assisi) in Martina Franca nel periodo dal 5 marzo (Mercoledì delle Ceneri) al 14 agosto 2025.

Il servizio fotografico è di G.Leva

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Tracce

Il 2025 sarà l’anno della svolta?

30 Dic 2024

di Emanuele Carrieri

Mentre cala il sipario su un 2024 di sangue, con i recenti bombardamenti sulla capitale dell’Ucraina il giorno di Natale e la mattanza nella Striscia di Gaza che prosegue senza ostacoli e che ha portato alla morte di una neonata proprio la notte di Natale, ci si interroga sul futuro: l’insicurezza è diventata la questione prevalente di questo tempo. La si percepisce nella quotidianità, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti sociali, nelle crisi del mondo del lavoro, nei processi di trasformazione dell’economia. La cornice di tale interdipendenza culturale, economica e sociale sembra essere sempre più incerta. Fino a non molti anni fa, sembrava che essere cittadini, essere portatori di diritti e di doveri verso gli altri, stesse dentro una cornice ampia e aperta, nella quale poi potevano stare le diverse identità, individuali, di nascita, di ambiente, di provenienza. Le tante guerre in atto stanno rompendo la cornice di interdipendente consapevolezza di essere cittadini del mondo. Forse tutto ciò sta in un qualche rapporto con la crescente insicurezza che si vive quando si vede il mondo attraverso le notizie che giungono dalla rete, dalla televisione o dai quotidiani. Succede, così, che si finisce per chiudersi a riccio nelle case o nelle parrocchie, perché, là fuori, c’è il buio, l’incerto, l’insicuro. Così, continuando, ci si affida alla nazione se in questo sporco mondo c’è il disordine, chiedendole protezione: da chi vorrebbe violare i confini e portare lo scompiglio nelle strade, nelle piazze e nelle università. Da chi può costituire, alla fine, una minaccia alla tranquillità di starsene in casa al caldo, mentre laggiù i missili seminano distruzione e morti. Succede, così, che si finisce per slittare verso un sentimento nazionalista, un insieme di credenze che darebbe una identità più forte. Già, perché l’identità è forza, in un mondo in cui tutti cercano di difendere la propria particolare posizione di potere. Ecco quindi, quella cornice ampia e aperta, quel sogno di un mondo multiculturale, multirazziale, multietnico, multilingue di un tempo appare parecchio lontano. I simboli del vecchio ordine appaiono fragili: l’Onu è sempre più evanescente; l’Ue non ha autorevolezza politica e stenta ancora a parlare con una sola voce; gli Usa vogliono diventare grandi ma non sanno ancora se ci riusciranno; tutto ciò che è ancora denominato Occidente sembra sempre più scolorito nei suoi contorni e incerto nell’azione. Dall’altra parte del mondo c’è un gran scalpitare di potenze che spintonano per avere più calore e più luce di prima sul proprio terrazzino: la Cina, l’India, la Russia e diverse altre medie potenze regionali. C’è chi parla di “nuovo ordine mondiale”, pensando che l’Occidente dovrebbe fare un passo di lato rispetto agli stati emergenti. La “non-guerra” che il mondo dal 1945 al 2022 ha vissuto ha fatto dimenticare, alle opinioni pubbliche, ma anche alle politiche nazionali che gli stati calibrano sempre i loro rapporti secondo il principio della “ragion di stato”. E che, dunque, per principio, gli stati non sono buoni, ma aggressivi per loro natura, se non c’è un potere superiore che regoli i loro rapporti. All’improvviso l’UE è diventata il ventre molle su cui si scaricano guerre e migrazioni dal sud del mondo, l’Europa si è scoperta fragile perché la minaccia russa è forte e la protezione americana non è più sicura e con Trump lo sarà ancor meno. Tutto ciò dovrebbe indirizzare verso una maggiore intesa, spingere verso una maggiore compattezza, verso un governo europeo capace di agire, anche con una propria autonomia e con una propria politica estera, e di pattuire direttamente con la Russia le condizioni di un sistema di sicurezza europea. Questo scenario ha finito per far crescere il tasso di insicurezza degli europei, perché non ci sono più punti di riferimento stabili e riconosciuti come tali, in termini di valori e principi radicati in istituzioni. È necessario un diverso discorso legittimante che compatti l’Ue attorno a principi e valori comuni, che occorre restare sempre compatti, per proteggere l’unità già creata e la pace di questi ottant’anni, perché è l’unità che disarma gli stati. Ma la effettiva grande sfida di domani è lontana dall’Europa. Il nuovo fronte – per adesso solamente manifatturiero e commerciale – è fra Usa e Cina. Questa è la vera battaglia che gli Usa di Trump si apprestano a fronteggiare a colpi di sfide commerciali e di dazi, mentre la miccia di Taiwan è sempre accesa. Ecco questo lo scenario del prossimo anno, un anno che porterà davvero numerosi cambiamenti. In quale direzione dipende parecchio dai protagonisti internazionali, a incominciare da Trump. Il 2025 potrebbe rappresentare un tornante della storia e un momento decisivo per sciogliere molti dei nodi globali che si sono aggrovigliati in questi anni: la speranza è che diventi un capitolo importante della geopolitica e delle questioni internazionali. L’unica via possibile transita attraverso una maggiore cooperazione internazionale e il superamento degli interessi di breve termine in favore di una visione globale di stabilità e di sicurezza.

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Tragedie

Incidente aereo, mons. Ri (presidente vescovi Corea del sud): “Si lavori perché simili tragedie non si ripetano più”

30 Dic 2024

“Il dolore per coloro che sono scomparsi improvvisamente è indescrivibile, e lo shock e la tristezza vissuti dalle famiglie in lutto non potranno essere placati da nessuna parola di conforto. Tuttavia, spero sinceramente che Dio misericordioso abbracci le anime delle vittime e consoli il dolore e le ferite delle famiglie in lutto”. E’ quanto scrive mons. Matthias long-hoon Ri, presidente della Conferenza episcopale coreana, in un messaggio di condoglianze per le vittime del disastro aereo avvenuto la mattina del 29 dicembre a Muan, nella parte meridionale della Corea del Sud. L’aereo, un Boeing 737-800 della compagnia Jeju Air in arrivo da Bangkok, si è schiantato durante l’atterraggio con a bordo 181 persone. I soccorritori hanno tratto in salvo due membri dell’equipaggio. “I progressi della scienza e della tecnologia hanno arricchito le nostre vite, ma comportano anche nuove forme di pericolo e minaccia”, scrive il presidente dei vescovi coreani. “Sebbene sia impossibile prevenire completamente in anticipo tutti questi fattori di rischio, è compito delle parti interessate e delle autorità governative eliminarli nel miglior modo possibile. In attesa dei risultati dell’indagine sulle cause dell’incidente nella giornata di oggi, chiediamo con insistenza che le parti responsabili e le autorità governative facciano del loro meglio, nelle rispettive posizioni, per migliorare il contesto di sicurezza e le condizioni per evitare che simili tragedie si ripetano”. “Ancora una volta preghiamo per il riposo eterno delle vittime dell’incidente aereo di oggi e offriamo anche parole di conforto alle persone che hanno il cuore spezzato”, conclude il vescovo.

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Diocesi

A scuola di preghiera: l’iniziativa della San Roberto Bellarmino

“Signore, insegnaci a pregare“: una serie di incontri (di venerdì, una volta al mese), pensati dal parroco, don Antonio Rubino, e guidati da don Marco Morrone

30 Dic 2024

di Lorenzo Musmeci

A partire dal mese di ottobre 2024, la comunità parrocchiale di San Roberto Bellarmino ha iniziato un cammino volto a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita di ogni cristiano. L’iniziativa è stata voluta dal parroco, don Antonio Rubino, il quale ha accolto l’invito di papa Francesco a dedicare un lungo tempo alla preghiera, tanto più in questa fase di avvicinamento al Giubileo del 2025. È nata così l’idea di una ‘Scuola di preghiera’, il cui tema principale è ben riassunto dalla frase: “Signore, insegnaci a pregare”. È stato possibile concretizzare questa idea grazie al prezioso aiuto di don Marco Morrone, che ha prontamente accettato di guidare gli appuntamenti previsti nel corso dell’anno pastorale.

Gli incontri si svolgono un venerdì al mese nella Grotta della parrocchia San Roberto Bellarmino, dalle ore 17 alle 19. Ogni incontro inizia con l’esposizione del SS. Sacramento e con la lettura della Parola di Dio, alla quale segue una prima riflessione di don Marco. Dopo del tempo silenzioso per la preghiera e per la riflessione personale, si procede con una seconda riflessione del sacerdote. Tutti gli appuntamenti terminano con la celebrazione della messa presieduta da don Marco e con una sua terza riflessione sul tema del giorno.

L’intervista a don Marco Morrone

È proprio a don Marco Morrone che lasciamo la parola, riportando alcune delle sue risposte raccolte durante una breve intervista.Partiamo da alcune domande generiche sul tema della preghiera.

Nel cammino di avvicinamento al Giubileo del 2025, papa Francesco desidera che quest’anno sia dedicato alla preghiera. I fedeli e i parrocchiani che conosce,sono consapevoli dell’importanza della preghiera?

Dell’importanza di pregare sono consapevoli. Bisogna poi vedere che contenuto danno alla loro preghiera. Perché ci può essere un contenuto fatto di devozioni, tantissime devozioni, che sono buone, anzi ottime. Ma ci può essere, accanto a questo, un contenuto fatto della Parola di Dio, che è ciò che conta davvero. Si fanno delle iniziative perché non ci vuole molto a insegnare il Santo Rosario per Maria, il Sacro Manto di San Giuseppe o altre forme di preghiera, che magari neanche conosco troppo bene. Queste devozioni sono nate perché il popolo non è stato avvicinato alla Parola di Dio, che non è stata mai insegnata come preghiera. Allora si fanno delle iniziative perché ci vuole molto impegno per insegnare che tutta la Bibbia è preghiera. La devozione è più semplice della Parola di Dio. Queste scuole di preghiera sono sempre esistite, ero un giovane prete quando l’arcivescovo e poi cardinale gesuita Carlo Maria Martini diede inizio a una scuola di preghiera a Milano. Quindi dovremmo incentivare questo tipo di preghiera. Perché la gente pensa di leggere la Bibbia, come un semplice libro, ma la Bibbia non si legge, si ascolta. L’ascolto della Parola di Dio ci manca, il Dio che parla non è ascoltato da molti”.

La preghiera dovrebbe essere per tutti i cristiani “il respiro della vita”, così ci ricorda Papa Francesco. In che modo possiamo imparare a dialogare con Dio in maniera efficace?

Mettendoci l’intenzione. Non bisogna dire per ore e ore preghiere, cioè formule di preghiere. La preghiera diventa respiro della vita perché tutto ciò che facciamo lo facciamo per la gloria di Dio, che diventa il fine per cui noi viviamo. I mezzi sono tanti.

La preghiera è intima comunione con Dio, ma anche un momento da condividere con i fratelli e con le sorelle. In che modo la preghiera in comunità e in famiglia può affiancare quella individuale?

Moltissimo. Perché anche in questo caso posso essere testimone di molte esperienze. Ci sono famiglie che pregano insieme, non solo a pranzo e a cena, ma anche nel prepararsi al Natale e alla Pasqua, leggono la Parola di Dio. Certamente sono tutte cose da incentivare. Bisogna dire alla gente queste cose perché nessuno penserà mai che la Bibbia sia da ascoltare, tutti penseranno che sia da leggere. Tutta l’impostazione della relazione tra Dio e il popolo di Israele iniziava sempre con Shemà, Israel”, cioè “Ascolta, Israele”. E ancora oggi gli ebrei dicono la stessa cosa nelle loro preghiere.

Il rapporto tra i giovani e la preghiera può sembrare un tema delicato; molti giovani, tuttavia, mostrano un interesse sorprendente. Crede che i giovani sentano il bisogno di pregare?

Sì, lo sentono. Ma credo che si debba offrire anche a loro la possibilità di gustare la preghiera. Bisogna dare loro la possibilità di gustarla, come un gelato. Quando un amico prova in gelateriaun gusto nuovo che è buono, lo consiglia subito a tutti quelli che conosce. La preghiera è così. Dobbiamo sperimentarla ed essere in grado di consigliarla ai giovani e di convincere loro della bontà, o della bellezza, della preghiera stessa.

Passiamo ora ad alcune domande specifiche sulla Scuola di preghiera: “Signore, insegnaci a pregare”.
Da cosa è nata l’idea di iniziare una Scuola di Preghiera nella parrocchia San Roberto Bellarmino?

Intanto la parola ‘scuola’ è grossa, perché le scuole non sempre vanno bene. La scuola può sembrare unimposizione, un obbligo. Bisogna insegnare un metodo di preghiera. Per pregare, infatti, abbiamo bisogno di una tecnica. La preghiera non è pura spontaneità, serve un metodo chiaro. Sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali”, che sono un itinerario di preghiera, presenta ben quattordici modi di pregare: dalla contemplazione alla riflessione, dalla preghiera mentale all’esame di coscienza, che anche è una preghiera.

Quanti incontri prevede questa Scuola di preghiera?

Gli incontri sono iniziati a ottobre e proseguiranno per un venerdì al mese fino al termine dell’anno pastorale. Il desiderio è che la gente si innamori e poi vada avanti da sola. Questa è la finalità: io ti faccio conoscere che Dio ti rende felice se tu lo ascolti, poi sta a te decidere se iniziare e continuare ad ascoltarlo.

Come ha deciso di impostare il lavoro durante i vari incontri?

Sulla Parola di Dio, unicamente sulla Parola di Dio. Non è una scuola tecnica, non è esegesi, ma è quello che Dio ci dice. Si procede con un testo davanti agli occhi. Ho fatto acquistare a tutti un Vangelo con caratteri grandi, una matita e una penna, per segnare verbi o sostantivi particolarmente importanti. Se si ha una Bibbia preziosa, infatti, solitamente non si scarabocchia, un Vangelo di poco valore invece sì. Ed è importante segnare gli elementi che ci colpiscono, le parole che ci richiamano.

Quali temi ha scelto di trattare?

I temi sono in sintonia con il cammino liturgico. Nel periodo di Avvento privilegio tutto quello che Isaia e i Vangeli ci dicono sulla venuta del Signore. Nel periodo della Quaresima l’attenzione si sposta sul tema della Resurrezione. I temi liturgici sono fondamentali.

Un invito per tutti 

Gli incontri sono aperti a tutti coloro che vogliono riscoprire il valore della preghiera. Gli appuntamenti sono comunicati la domenica precedente al termine della S. Messa. È possibile restare informati anche consultando il sito Web parrocchiale https://www.sanrobertobellarminotaranto.net/ oppure la pagina Facebook della parrocchia https://www.facebook.com/SanRobertoBellarminoTaranto/.

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Angelus

La domenica del Papa – La santa famiglia

30 Dic 2024

Questa domenica, l’ultima dell’anno, la liturgia ci fa riflettere sulla santa Famiglia di Nazaret. Luca, nel suo Vangelo, parla della povertà di questa famiglia, dell’umiltà che pervade la storia di questa straordinaria coppia, Maria e Giuseppe, chiamata a un compito unico, custodire e far crescere il figlio di Dio. Secondo la tradizione, per la Pasqua si sono recati a Gerusalemme e l’evangelista ci fa conoscere un evento all’interno del silenzio dei trent’anni trascorsi da Gesù in famiglia: è il tempo in cui il giovane ha compiuto dodici anni e diventa bar mitzwa, ovvero figlio del comandamento, e è tenuti all’ascolto operoso della parola di Dio.

È la seconda volta che la santa Famiglia di Nazaret si reca nella città santa; la prima è stata quaranta giorni dopo la nascita, quando i suoi genitori avevano offerto per lui una coppia di tortore o di giovani colombi, cioè il sacrificio dei poveri. Il tornare a Gerusalemme, questa volta ha un significato diverso e soprattutto accade un fatto che fa preoccupare Maria e Giuseppe che per tre giorni cercano il figlio che si era smarrito e lo trovano nel tempio. Tre giorni come quelli trascorsi prima che le donne lo ritrovano non più nel sepolcro ma risorto, vivente. Tre giorni nei quali possiamo solo immaginare l’ansia, la preoccupazione per questo figlio che non si sa dove sia. Lo trovano in Sinagoga “seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” ci dice nel suo Vangelo Luca.

Maria, come madre, esprime la sua angoscia ma non lo rimprovera, piuttosto gli chiede: “figlio, perché ci hai fatto questo?”. Scrive Benedetto XVI nel libro sull’infanzia di Gesù: “quando gli chiedono spiegazioni, Gesù risponde che non devono meravigliarsi, perché quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il padre, che è Dio”. Scrive Luca che Gesù è nel tempio perché deve occuparsi “delle cose del Padre mio”, ma non trascura, l’evangelista, di narrare la preoccupazione della madre.

Papa Francesco, all’angelus, commenta che si tratta di “una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo”.

Ma questa famiglia, la Famiglia di Nazaret, è un modello afferma ancora il vescovo di Roma, perché “è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice”. Maria non accusa e non giudica, dice il papa all’angelus, “ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe “non compresero ciò che aveva detto loro”, a dimostrazione che “nella famiglia è più importante ascoltare che capire”.

I figli hanno bisogno di questo ascolto perché significa dare loro importanza, “riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente”. Il dialogo fa bene e fa crescere; e parlarsi “può risolvere tanti problemi, e soprattutto unisce le generazioni: figli che parlano con i genitori, nipoti che parlano con i nonni… Mai restare chiusi in sé stessi o, peggio ancora, con la testa sul cellulare”. Mai chiudersi nel mutismo, nel risentimento e nell’orgoglio”.

In famiglia è importante vedere crescere al proprio interno una personalità adulta e accompagnare la crescita con rispetto e discrezione – “sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” – essere sì genitore ma capace di ascoltare e accogliere stimoli nuovi.

La famiglia, dice Francesco dopo la benedizione, “è la cellula della società, è un tesoro prezioso da sostenere e tutelare”. Il pensiero va alle tante famiglie in Corea del Sud “che oggi sono in lutto a seguito del drammatico incidente aereo”. Prega per i superstiti e per i morti; per le famiglie che soffrono a causa delle guerre: “nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Myanmar, in Sudan, Nord Kivu, preghiamo per tutte queste famiglie in guerra”.

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Città

La privatizzazione degli asili nido passa per un solo voto e tra molte polemiche

27 Dic 2024

di Silvano Trevisani

Un “tradimento”: così il segretario generale della Cgil Giovanni D’Arcangelo definisce la decisione fortemente voluta dal sindaco Melucci e votata dal consiglio comunale dalla striminzita maggioranza che lo sostiene, di privatizzare gli asili nido comunali. Un tradimento nei confronti di quei bambini che tante volte vengono additati strumentalmente in tante battaglie, ma che poi non vengono difesi, in nome dei conti pubblici. Che comunque restano nebbiosi e che potrebbero essere rimessi in discussione dai ricorsi al Tar, preannunciati dalle opposizioni.

Le manifestazioni

A nulla è valsa la doppia mobilitazione messa in atto in difesa degli asili nido comunali ed evitare la privatizzazione. Nel pomeriggio di venerdì scorso, 27 dicembre, le mamme si erano ritrovate in piazza Immacolata per manifestare il loro dissenso. Ieri mattina, invece, mentre si svolgeva una seduta del consiglio comunale particolarmente “agitata”, si svolgeva una manifestazione sindacale indetta da FP Cgil, Cisl FP e Uil FPL Taranto davanti al Palazzo di città, con la partecipazione delle educatrici.

Se famiglie e sindacati concordano nel ritenere fondamentale che il Comune continui a erogare il servizio, senza devolverlo ai privati, i motivi ci saranno. E vengono spiegati in vario modo: mettere al primo posto la qualità del servizio rispetto alla logica del mercato; valorizzare la professionalità del personale acquisita in anni di formazione e di lavoro; evitare la scure di tagli che sempre incombe di fronte all’esternalizzazione, e così via.

I bambini di Taranto – si legge in una nota – hanno diritto a un servizio educativo pubblico e di eccellenza, e il personale educativo deve poter contare su stabilità e condizioni che consentano di costruire un legame educativo stabile e duraturo”.

La posizione del Comune

Ma proprio il sindaco Melucci, nella conferenza stampa di fine anno, oltre elencare le cose fatte e le molte altre che iscritte nel libro dei sogni, si era soffermato sul problema sostenendo le ragioni della scelta. Che, sottolineava, non vede certo l’amministrazione comunale unica in questo orientamento. Secondo il sindaco, la gestione privata comporterebbe per le famiglie rette più contenuti e per il Comune un risparmio di 1,6 milioni di euro. “Consentendo in tal modo al Comune di partecipare a nuovi bandi e misure per la manutenzione straordinaria delle medesime strutture esistenti” e “notevole potenziamento del capitale umano negli uffici amministrativi”.

Le ragioni dei contrari

Ma i dati non vengono dettagliati specificamente e alimentano dubbi sulla logicità di queste affermazioni. Perché, ci si chiede, se con i risparmi garantiti dal passaggio ai privati si potrebbero fare nuove assunzioni di dipendenti comunali, proprio nei giorni scorsi sono state assunte nuove educatrici dal Comune? Se poi i privati risparmiano e chiedono davvero rette inferiori, allora il Comune ammette di conseguenza di aver gravato sui costi? E che senso ha provvedere alla manutenzione pubblica di strutture date in gestione ai privati?

E poi: se è vero che e il Comune di Taranto vuole intraprendere la strada che altri Comuni hanno già percorso, è anche vero che sono molti i Comuni che stanno facendo il percorso opposto, riappropriandosi di strutture private per ragioni di efficienza educativa ed economica.

Gli interrogativi

Sorgono, a questo punto, interrogativi anche sulle vere motivazioni che, se davvero fossero stringenti, dovrebbero essere meglio definite e formalmente assicurate, a partire dalla garanzia occupazionale di tutto il personale. Ivi compreso quel 56% che, secondo le parole del sindaco, non è dipendente dell’amministrazione ma ha certamente pari dignità umana e lavorativa. Ci si chiede, infatti, se i privati sarebbero in grado di mantenere i livelli occupazionali e le professionalità e come pensano di rendere remunerativo un servizio che, nelle spiegazioni del sindaco, avrebbe minori costi. Davvero con i buoni educativi regionali, oggetti nebulosi e tutti da verificare?

Affermare che la privatizzazione migliorerebbe la qualità del servizio – sostengono i sindacati – significa, di fatto, mettere in discussione l’impegno, la professionalità e il valore che queste donne (e uomini) portano ogni giorno nelle vite delle famiglie tarantine. Gli asili nido comunali sono molto più di un servizio: sono un investimento essenziale nel futuro della comunità, un sostegno irrinunciabile per le famiglie e una garanzia di educazione per i più piccoli”. Affermazioni che non possono non trovarci d’accordo.

Ma, come è ormai noto, la privatizzazione passa nel Dup che però è approvato con soli 17 voti, 15 contrari e 3 astenuti. Sugli asili vi sono distinguo e dissociazioni anche all’interno della maggioranza, oltre alle dure critiche dell’opposizione, ma si tratta di una evidente imposizione e non si torna indietro.

“Il semaforo verde dato alla privatizzazione e quindi all’ingresso nel mercato privato e del fatturato nei servizi educativi per l’infanzia, avallato dal si di 17 consiglieri comunali di Taranto imbarazza e non poco – termina la nota inviata da D’Arcangelo – e in una delle città come Taranto, morsa dalla disoccupazione e dalla povertà, cancella anche la speranza. Sindaco ci ripensi, se non se n’è ancora accorto, stiamo parlando della vita di suoi concittadini, all’interno di una città che lei ha l’onere e l’onore di amministrare per il bene comune. Noi non ci fermeremo e insieme alle persone in carne e ossa, alle lavoratrici e ai lavoratori, al mondo dell’associazionismo faremo il possibile per salvare gli asili nido comunali pubblici”.

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Ecclesia

Natale a Betlemme, card. Pizzaballa: “Non avere paura delle potenze di questo mondo”

27 Dic 2024

“Gesù non ha avuto paura di nascere in questo mondo né di morire per esso. Ci chiede di non avere paura delle potenze di questo mondo, ma di perseverare nel cammino della giustizia e della pace, di trovare gli spazi adatti dove possano nascere e crescere stili nuovi di riconciliazione e di fraternità, fare delle nostre famiglie e delle nostre comunità le culle del futuro di giustizia e di pace, che è già iniziato con la venuta del Principe della Pace”. Così il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, nell’omelia della Messa di Mezzanotte celebrata ieri sera, nella chiesa di santa Caterina, attigua alla Natività, a Betlemme, colma di persone. Il cardinale era giunto al mattino in città accolto dalle autorità civili e religiose locali, dagli scout e dai fedeli locali. Il clima di festa non è stato lo stesso degli anni scorsi quando il grande albero luminoso, le luci, i mercatini, i gruppi di pellegrini, riempivano la piazza della Mangiatoia. La guerra a Gaza, con le sue conseguenze anche economiche e sociali, si fa sentire ed ha permeato tutta l’omelia del patriarca.

La fatica di annunciare

Chiare le sue parole iniziali: “Non ho problemi quest’anno a riconoscere la mia fatica ad annunciare a voi che siete qui e a quanti da tutto il mondo guardano a Betlemme la gioia del Natale di Cristo. Il canto degli Angeli, che cantano gloria, gioia e pace mi sembra stonato dopo un anno faticoso, fatto di lacrime, sangue, sofferenza, speranze spesso deluse e progetti infranti di pace e di giustizia. Il lamento sembra sopraffare il canto e la rabbia impotente sembra paralizzare ogni cammino di speranza”. Il patriarca ha così riletto il Natale collocandolo “dentro il contesto sofferto nel quale ci troviamo, non molto diverso da quello di allora”. Dunque, Giuseppe e Maria che vivono la grazia del loro Natale, non in un modo, in un tempo o in circostanze decise da loro, o particolarmente favorevoli. Una volontà imperialistica di potenza governava allora il mondo e pensava di deciderne i destini, sociali ed economici. Questa nostra Terra Santa in quel tempo era soggetta a giochi di interessi internazionali non meno di oggi”.

Dio non fugge la storia

E come Giuseppe e Maria hanno visto Dio nella storia, ha spiegato il patriarca, “noi vediamo in questo Bambino il gesto inedito e inaudito di un Dio che non fugge la storia perché troppo dolorosa e cattiva ma la ama, vi entra con il passo delicato e forte di un Bambino appena nato”.

“Il Natale del Signore è tutto qui: attraverso il Suo Figlio, il Padre si coinvolge personalmente nella nostra storia e se ne carica il peso, ne condivide la sofferenza e le lacrime fino al sangue, e le offre una via di uscita di vita e di speranza”.Ma il Figlio, ha aggiunto il card. Pizzaballa, non entra “in concorrenza con gli altri potenti di questo mondo. La potenza dell’amore divino non è semplicemente più potente del mondo ma è diversamente potente.
I Cesari Augusti di questo mondo sono dentro il circolo vizioso della forza, che elimina a vicenda i nemici per crearne sempre di nuovi (e dobbiamo constatarlo amaramente ogni giorno).

L’Agnello di Dio, invece, immolato e vittorioso, vince, perché vince davvero, guarendo alla radice il cuore violento dell’uomo, con l’amore disposto a servire e a morire, generando così vita nuova”. Così facendo Maria e Giuseppe “hanno attraversato e dominato la storia con il passo di chi guarda a Dio e al suo progetto, e vi fanno entrare gloria e pace”.

La scelta

Da qui deriva la scelta: “abitare questa nostra terra e vivere questa nostra storia o andarcene per la nostra strada. Credere o lasciare.

Decidersi per Cristo e fare nostro lo stile di Betlemme, lo stile di chi è disposto a servire con amore e scrivere una storia di fraternità. Oppure assumere lo stile di Cesare Augusto, Erode e tanti altri, e scegliere di appartenere a chi presume di scrivere la storia con il potere e la sopraffazione”. “È vero – ha riconosciuto il patriarca – siamo pochi e forse anche insignificanti nelle costellazioni del potere e nello scacchiere dove si giocano le partite degli interessi economici e politici. Siamo però, come i pastori, il popolo cui è destinata la gioia del Natale ed è partecipe della vittoria Pasquale dell’Agnello”.

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Sport

Tutti pazzi per Sinner, lo sportivo dell’anno

foto Instagram janniksin
27 Dic 2024

di Paolo Arrivo

È il più cliccato su Wikipedia nell’anno che volge al termine. Lo abbiamo celebrato tutti, da nord al sud, esperti di tennis e profani, il campione numero 1 del mondo Jannik Sinner. E visto che a lui piacciono i record, l’altoatesino può vantarsi anche di questo numero: 5.023.355. Sono le visite ricevute in Italia nel 2024. Quelle online, naturalmente, sebbene il tennista abbia sempre più incontri, contatti e impegni extrasportivi – magari, più di quanti ne vorrebbe. Nelle scorse ore si è concesso un Natale sugli sci, nella sua Sesto Pusteria, in famiglia. Lui che ha consapevolezza dei valori che contano nella vita.

SINNER AGLI AUSTRALIAN OPEN- Come aspettarsi da Jannik nel 2025? È facile ipotizzare altri successi, nuovi trionfi. Altre partite da guardare incollati davanti alla televisione. Con l’auspicio che gli incontri più importanti possano essere trasmessi in chiaro, a beneficio di un pubblico più vasto. Sinner dovrebbe disputare diciannove tornei, più la Coppa Davis. Il primo grande obiettivo è rappresentato dagli Australian Open. Al torneo l’azzurro, chiamato a difendere il titolo (2000 punti in palio), si presenterà dopo il test di Melbourne: due partite di esibizioni utili a ritrovare il ritmo gara. Dopo un periodo di stacco l’atleta ha ripreso ad allenarsi in vista di un calendario che sarà particolarmente intenso. Il primo match è programmato per martedì 7 gennaio alle ore 6 italiane: sveglia all’alba, se si vuole assistere al confronto con l’australiano Alexei Popyrin. Già giovedì prossimo l’altoatesino sarà in Australia per raggiungere il suo coach Darren Cahill.

LA MINACCIA KYRGIOS- Si è detto pronto a “incendiare” il pubblico nel caso di un loro incontro agli Australian Open. Ma Nick Kyrgios, al rientro dopo un anno e mezzo, deve avere piena consapevolezza di quanto sia complicato battere Sinner, pur avendo il pubblico dalla sua parte. Più che provocazioni sono veri e propri insulti quelli ripetuti dall’australiano. Che per vincere farebbe di tutto, ignorando il fair play, ha detto (“metterei da parte qualsiasi tipo di rispetto”). Il casus belli è stato la mancata squalifica dell’azzurro riguardo alla vicenda Clostebol. Ma potrebbe esserci dell’altro, verosimilmente, e una donna di mezzo (Anna Kalinskaja). L’auspicio è che Kyrgios possa ricevere una bella lezione di gioco e di stile sul campo da tennis.

IL DUELLO CON DJOKOVIC- Venendo agli avversari che meritano rispetto, la grandezza di Sinner sta nell’aver sconfitto ripetutamente in questa stagione i tennisti più grandi. Su tutti, Nokav Djokovic, tra i più premiati e vincenti: ricordiamo il serbo protagonista nell’ultima edizione dei Laureus World Sports Awards di Madrid, vincitore del premio come “Miglior sportivo dell’anno”.

L’azzurro, nella foto a destra, con Novak Djokovic

L’ex numero uno del mondo continua a difendersi molto bene in campo. A dispetto dell’età, diversamente da Rafa Nadal (37 anni), che è stato costretto a mettere fine alla sua carriera straordinaria. Il confronto Sinner-Djokovic invece proseguirà. Ed è singolare che Nole si sia affidato a Andy Murray, il suo rivale storico, per ritrovare la continuità. Scelta azzeccata? Quel che è certo è che il perfezionismo del tennista più vincente nelle prove del Grande Slam (24 successi) verrà portato a livello esasperato. E che lo stesso sarà capace di sconfiggere, magari, anche i tennisti più giovani emergenti.

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Urbi et orbi

Francesco: “Far tacere le armi e superare le divisioni”

27 Dic 2024

di Fabio Zavattaro

“Fratelli e sorelle non abbiate paura! La Porta è aperta, è spalancata! Venite! Lasciamoci riconciliare con Dio, e allora saremo riconciliati con noi stessi e potremo riconciliarci tra di noi, anche con i nostri nemici”. È l’appello del Papa, nel tradizionale messaggio di Natale che precede la benedizione Urbi et Orbi. “La misericordia di Dio può tutto, scioglie ogni nodo, abbatte ogni muro di divisione, dissolve l’odio e lo spirito di vendetta”, il riferimento all’apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro, che ieri sera ha sancito l’inizio del Giubileo: “La porta del cuore di Dio è sempre aperta, ritorniamo a lui! Ritorniamo al cuore che ci ama e ci perdona! Lasciamoci perdonare da lui, lasciamoci riconciliare con lui!”. “Questo significa la Porta Santa del Giubileo, che ieri sera ho aperto qui a San Pietro”, ha spiegato Francesco: “rappresenta Gesù, Porta di salvezza aperta per tutti. Gesù è la Porta che il Padre misericordioso ha aperto in mezzo al mondo, in mezzo alla storia, perché tutti possiamo ritornare a lui. Tutti siamo come pecore smarrite e abbiamo bisogno di un Pastore e di una Porta per ritornare alla casa del Padre”. “Gesù è la Porta della pace”, ha proseguito il Papa: “Spesso noi ci fermiamo solo sulla soglia; non abbiamo il coraggio di oltrepassarla, perché ci mette in discussione. Entrare per la Porta richiede il sacrificio di fare un passo, di lasciarsi alle spalle contese e divisioni, per abbandonarsi alle braccia aperte del Bambino che è il Principe della pace. In questo Natale, inizio dell’Anno giubilare, invito ogni persona, ogni popolo e nazione ad avere il coraggio di varcare la Porta, a farsi pellegrini di speranza, a far tacere le armi e a superare le divisioni!”.

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Giubileo2025

La Porta Santa di Rebibbia: aprire le porte del cuore alla speranza

27 Dic 2024

di Giada Di Reda

Nel giorno di Santo Stefano, papa Francesco ha aperto la seconda Porta santa di quest’anno giubilare, nel carcere romano di Rebibbia. Una scelta storica: per la prima volta, un pontefice sceglie di aprire una Porta santa all’interno di un penitenziario; significativa, poiché coerente con il messaggio centrale del Giubileo: la speranza.

Il Papa ha varcato la porta a piedi, al suo fianco il vescovo ausiliare di Roma mons. Benoni Ambarus e, all’interno della cappella, circa 300 detenuti, il personale della penitenziaria ed diverse personalità civili e religiose tra cui il prefetto del dicastero della Cultura, card. José Tolentino de Mendonca.

L’invito nell’omelia a spalancare le porte; quelle porte simbolo del cuore e dell’apertura alla fratellanza, all’unione, a non perdersi nei momenti bui: «È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere.  Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude (cfr Rm 5,5), mai!».

Il richiamo alla “speranza che non delude”, in particolare per quel che riguarda le situazioni limite vissute da chi vive nel carcere e non riesce a vedere luce nel futuro: «A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma (cfr Eb 6,17-20). Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi».

Il gesto compiuto dal Papa, si pone in continuità con diverse riflessioni che in passato aveva dedicato al delicato tema della detenzione. Nell’enciclica Fratelli Tutti, in particolare al capitolo 7, par. 268, il Santo padre, dopo aver elencato tutti gli argomenti contrari alla pena di morte, invita tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà, definendo l’ergastolo una pena di morte nascosta.

Allo stesso modo, nel suo discorso alla polizia penitenziaria, al personale dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile e di comunità, 2019, Francesco si rivolgeva al personale penitenziario, ai cappellani, le religiose, i religiosi e i volontari, ed anche agli stessi carcerati; invitando i primi a non arrendersi dinanzi alle difficoltà che il lavoro e il rapporto con i detenuti comporta, non dimenticandosi di salvaguardarne la dignità; i secondi a portare tra le mura delle carceri il Vangelo, invitandoli a portare nella preghiera i pesi altrui e riconoscere attraverso le povertà incontrate, le proprie fragilità.

Invitava, infine i detenuti ad avere coraggio: «Gesù stesso la dice a voi: “Coraggio”. Questa parola deriva da cuore. Coraggio, perché siete nel cuore di Dio, siete preziosi ai suoi occhi e, anche se vi sentite smarriti e indegni, non perdetevi d’animo. Voi che siete detenuti siete importanti per Dio, che vuole compiere meraviglie in voi. Anche per voi una frase della Bibbia. La prima lettera di Giovanni dice: «Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20). Non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza, non cedete alla rassegnazione».

Al termine della liturgia, Francesco ha ricevuto, da parte dei detenuti, diversi doni: una miniatura della porta della Chiesa del Padre Nostro, realizzata con i legni dei barconi dei migranti, costruita nel laboratorio ‘Metamorfosi’; inoltre, le donne di Rebibbia femminile, hanno donato al pontefice un cesto di olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, il tutto realizzato da loro. Infine, l’amministrazione penitenziaria ha donato un dipinto raffigurante un Cristo salvifico, realizzato dall’ex poliziotto Elio Lucente.

La scelta di aprire, simbolicamente, una quinta Porta santa anche in un carcere, conferma la volontà di portare il Giubileo nelle periferie esistenziali, alla luce della speranza che apre infinite possibilità di rinascita e redenzione.

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Diocesi

La visita dell’arcivescovo alla casa circondariale

27 Dic 2024

Il giorno di Natale l’arcivescovo mons. Ciro Miniero è stato in visita alla casa circondariale “Magli” dove, assieme al suo segretario don Luciano Matchecchia e al cappellano penitenziario don Francesco Mitidieri, ha celebrato la santa messa, alla presenza dei detenuti, degli agenti penitenziari, del personale della struttura, degli educatori e dei volontari. Prima della benedizione finale e dopo aver ascoltato il saluto da parte di un recluso, l’arcivescovo ha voluto rivolgere all’assemblea un messaggio di augurio: “Grazie a voi tutti per questi momenti così belli, semplici ma molto diretti perché celebriamo la nostra speranza che in Gesù Cristo possiamo guardare con speranza alla nostra vita. Oggi il ricordo va particolarmente alle vostre famiglie, alle persone a voi care, ai quali va il mio più affettuoso saluto. Ci aiuti il Signore a costruire giorno per giorno il nostro futuro e ci aiuti la buona volontà di ciascuno per poter veramente mettere un tassello, una piccola pietra per costruire speranza, amore e generosità tutt’attorno, come ha fatto Lui venendo in mezzo a noi. Che questa vostra sofferenza aiuti a guardare ancora di più con speranza per una vita nuova. Noi condividiamo il vostro dolore, siamo qui per questo, perché crediamo che veramente attraverso l’incontro e l’ascolto riusciamo a donare consolazione. E tanto più ci riferiamo all’esempio di Gesù, tanto più riusciamo a comprendere e a vivere bene la nostra vita quotidiana. Quindi un augurio grande e forte a tutti voi e alle vostre famiglie per un Santo Natale”.

 

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