Il Giubileo per essere testimoni di Speranza
Folta partecipazione di fedeli alla veglia intervicariale svoltasi in cattedrale
“Pellegrinaggio e speranza sono due parole ricorrenti nella preparazione dell’anno Santo 2025; il pellegrinaggio è metafora di una vita che procede verso una meta che può trasfigurarla, e richiede fiducia, entusiasmo e spirito di sacrificio. Vi sono tratti in cui sperimentare il colloquio cuore a cuore con Dio e tratti in cui godere della gioia dei fratelli, tutti pellegrini, penitenti e festosi. Il pellegrinaggio è un percorso di guarigione interiore che educa l’animo al giusto affiorare della gioia di andare incontro al Signore”: con queste esortazioni, riprese dal discorso dell’arcivescovo per l’inizio dell’anno pastorale, mons. Marco Gerardo, direttore dell’ufficio della liturgia, ha introdotto la veglia intervicariale di preghiera in preparazione al Giubileo, intitolato ‘Pellegrini di Speranza’, svoltasi venerdì sera in cattedrale cui hanno partecipato fedeli e presbiteri delle vicarie Taranto Nord, Paolo VI e Borgo.
Folta la partecipazione all’incontro, nonostante le inclementi condizioni meteorologiche, svoltosi all’insegna della devozione mariana. Infatti proprio poco prima aveva avuto inizio la novena dell’Immacolata (patrona della città assieme a San Cataldo), il cui simulacro ha percorso in breve processione le viuzze del centro storico fino al santuario di piazza Monteoliveto, per le funzioni in preparazione alla festa dell’8 dicembre.
Dopo l’incensazione del Crocifisso e del Vangelo davanti al presbiterio, in una chiesa semibuia a simboleggiare il senso dell’attesa, la veglia, presieduta dal parroco della cattedrale mons. Emanuele Ferro, alla presenza del vicario generale mons. Alessandro Greco, è stata scandita nella prima parte dall’accensione di ognuna delle sette candele poste attorno al Vangelo e dalla lettura di brani tratti dal Libro dell’Apocalisse, in cui si sono alternati sacerdoti e laici. Il ritornello di un canto tipico dell’Avvento, “Nella notte o Dio noi veglieremo” ha ben fatto risaltare il senso della speranza per l’arrivo del Signore che verrà a dissipare ogni timore.
Subito dopo l’accensione della settima candela, proprio come nella veglia di Pasqua, fra i canti, si sono accese tutte le luci della chiesa, così come per i lumini consegnati all’ingresso a ogni fedele.
Nell’omelia, mons. Emanuele Ferro si è richiamato al noto brano del Levitico (25, 8-10) cui si rifà il significato e la finalità stessa del Giubileo: “Conterai anche sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell’acclamazione; nel giorno dell’espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia”.
“Vi sono tanti modi per accogliere il dono del Giubileo che si aprirà fra un mese esatto – ha detto – Il primo sentimento che dobbiamo raccogliere è quello del popolo di Israele che in mezzo all’oppressione, alla schiavitù, alla stanchezza della vita, accetta la speranza di una tregua da Dio per ricominciare”.
Il celebrante ha esortato a accogliere il Giubileo non come un appuntamento che si aggiunge alle tante esperienze ed impegni programmati nelle nostre comunità. “Dobbiamo chiedere allo Spirito – ha rimarcato – di farci percepire il Giubileo come bisogno impellente del cuore, di ogni singolo credente e di ogni comunità, di essere liberati, guariti e di guardare avanti in una prospettiva di futuro benedetto da Dio”.
“Se non sentiamo il bisogno del Giubileo – ha aggiunto – siamo come qui 99 giusti che non hanno bisogno di convertirsi e per i quali non gioisce il Cielo”.
Per quanto riguarda l’altro parola chiave del Giubileo, “pellegrinaggio”, don Emanuele ha ribadito che questo esprime un aspetto esistenziale dell’uomo. “La Chiesa è una comunità di santi pellegrini e penitenti – ha evidenziato – Santi, perché felici di avere incontrato il Signore; penitenti, perché tutti amati allo stesso modo e nessuno è superiore all’altro; pellegrini, perché la nostra patria è nei Cieli. “Ma francamente nelle nostre comunità noi siamo al massimo dei nomadi con tendenze stanziali e non certi pellegrini”. Don Emanuele ha infatti spiegato che noi abbiamo la tendenza ad accamparci in cose che comunque sono destinate a finire, cercando di renderle autosufficienti, isolandole e perciò asfittiche. “In tal modo – ha proseguito – perdiamo la parte migliore dell’insegnamento di Gesù che ci vuole precari per amore, avendo detto a ciascuno: ‘Seguimi’ oppure ‘Va’ e annuncia’. Ecco l’opportunità del Giubileo: in pellegrinaggio potremmo riscoprirci un’unica famiglia che invita tanti altri fratelli e sorelle ad andare da Lui che ci ha detto: ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò’”.
“Gesù ha invitato a bere da Lui, fonte della vita: ‘Chi ha sete venga a me’, – ha detto – Ed è in questa fontana zampillante che dobbiamo tuffarci. Ecco il dono dell’indulgenza plenaria e vale la pena vincere questa sfida consistente nello spiegare questa parola – ha detto – Questo, ricorrendo alla grazia che sarà sempre più grande di ogni peccato e che ci aiuta a crescere. Per questo la Confessione deve essere indicata quale sacramento della gioia e dell’amicizia ritrovata con Dio, che non gode per la morte del peccatore ma arde dal desiderio che si converta e viva con Lui. E questo lo si deve insegnare soprattutto con l’esempio di vita. Così possiamo diventare pellegrini di Speranza, non di speranze o di desideri, ma di Cristo che è unica nostra speranza”.
Quindi la preghiera per il Giubileo composta da papa Francesco e la benedizione impartita dal celebrante hanno concluso la veglia, nell’attesa dell’Anno Santo che si aprirà il 29 dicembre.