Gino Cecchettin: “Occorre educare nella scuola all’affettività”
Il padre di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ha incontrato il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, con l’obiettivo comune di elaborare strategie per combattere la violenza contro le donne
“Combattere la violenza contro le donne”: è questo l’obiettivo comune che si sono dati il ministero dell’Istruzione e la Fondazione Cecchettin al termine di una riunione tra il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, e Gino Cecchettin, il padre di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, condannato il 3 dicembre all’ergastolo.
A margine dell’incontro, abbiamo intervistato Gino Cecchettin.
Questa mattina ha incontrato il ministro Valditara. Un colloquio che lei ha definito “costruttivo” e che “porterà a delle novità”. In vista una sinergia tra ministero e Fondazione Giulia per portare nelle scuole un’agenda comune per combattere la violenza contro le donne?
Quello di oggi è stato un primo incontro per confrontarci su quelle che sono le posizioni comuni relative all’educazione. Siamo d’accordo che partiremo dalla necessità di educare gli studenti al rispetto e all’affettività del prossimo. Dal ministro è arrivata anche la proposta, da noi condivisa, di educare i docenti. Si tratta di una cosa che avevamo messo nel nostro piano educativo e formativo. Abbiamo convenuto di stilare un protocollo di intesa, a seguito del quale sarà elaborata una proposta educativa da portare nelle scuole e da monitorare poi costantemente. Saranno incontri che andranno a produrre una specie di ‘Osservatorio’ per capire le reazioni dei ragazzi e comprenderne le esigenze. Questo perché riteniamo che la proposta formativa attuale è forse molto lontana dalla realtà dei fatti. La realtà cambia con grande velocità, invece la proposta formativa resta sempre un passo indietro. Entro Natale il protocollo dovrà essere sottoscritto da entrambe le parti per poi iniziare a lavorare, molto probabilmente, già dal prossimo anno.
Dopo aver ascoltato la sentenza di condanna per Filippo Turetta lei ha commentato: “Penso che abbiamo perso tutti, dovremmo fare di più come esseri umani”. Aggiungendo: “Come essere umano mi sento sconfitto”. Perché dirsi ‘sconfitto’?
A volte ho la capacità di poter discernere quando sono il papà di Giulia e quando sono un semplice cittadino.
Da un anno vivo nel dolore e non c’è ‘un più’ e ‘un meno’. Questo dolore rimarrà costante e pervasivo per tutti i giorni della mia vita.
Ieri ho presenziato alla sentenza in qualità di papà ma anche di cittadino. Ho ascoltato la sentenza, frutto di mesi di discussioni, e in tre minuti è stata certificata una realtà che per me era scontata: Giulia non c’è più e non ritornerà. Allo stesso tempo ne è stata sancita un’altra: ci sarà una persona che trascorrerà un ‘tot’ di anni in prigione. Come cittadino dico che, se si arriva a giudicare una persona perché ha tolto la vita ad un’altra, allora questa è una sconfitta per tutti. Ancora una volta è importante la prevenzione. In quel momento, quando il giudice ha letto la sentenza, sarà perché sono il diretto interessato, ho avuto un grande e profondo sentimento di tristezza e di sconfitta. Mi son quasi messo a piangere, mi sentivo anche impotente di fronte a questo. A distanza di qualche ora, capisco anche quelle sensazioni vanno vissute, comunicate perché si tratta di capire che dobbiamo lavorare tanto.
Il femminicidio è una piaga sociale che dovrebbe essere una priorità per tutti sconfiggere. Ma come? Con la pena, la prevenzione…
Serve solo la prevenzione. Io credo che inasprire le pene può servire come metodo per mostrare che ad un reato è sempre associata una pena. Ma nel momento in cui Filippo stava commettendo il femminicidio di Giulia non pensava certo alla pena. Noi dovremmo mettere in condizione chi può arrivare all’omicidio di non commetterlo e di fare retromarcia quando ne ha ancora la possibilità.
Lei ha più volte detto di non avere avuto mai il pensiero di odiare Turetta. Come si riesce a non odiare chi le ha ucciso la figlia?
Pensando a Giulia, al bene che mi ha dato e dirottando tutte le energie su altro che ti può dare ancora qualcosa…
Come è possibile, allora, trasformare il dolore in uno scopo come è, nel suo caso, la Fondazione Giulia?
Nel momento in cui realizzi che il tutto è perduto lo scopo lo devi trovare a favore di chi la vita l’ha lasciata e avrebbe voluto viverla. Poter godere appieno ancora della vita e della possibilità di viverla e non utilizzarla per fini positivi come Giulia era solita fare, sarebbe una volta di più, fare un torto a Giulia e a Monica che avrebbero voluto vivere ancora tra di noi. Questa è la motivazione che mi sono dato soprattutto perché spero porterà dei frutti che sono quelli di salvare delle vite.
La Fondazione Giulia invita a guardare al futuro delle giovani generazioni. Ha un messaggio che intende lanciare ai giovani, da padre e marito?
Ai giovani dico: cercate dentro di voi chi siete veramente. Tirate fuori il vostro carattere, non abbiate paura di mostrarvi anche in quegli aspetti dove vi sentite più deboli, non vergognatevi di esprimere voi stessi perché in quel modo siete unici. Solo così potrete vivere appieno un’essenza gioiosa di vita.
Viceversa, nascondersi dietro delle maschere, agire secondo stereotipi che magari ti portano ad essere un superuomo, alla fine non portano a nulla perché ti isolano. Non ti permettono di chiedere aiuto. È un modello sbagliato quello che ci propongono. Siate sempre voi stessi per godere appieno del succo della vita.
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