Dal 58° Rapporto del Censis un’Italia più povera, paurosa e incapace di reagire
Ma che Italia viene fuori dall’annuale Rapporto Censis appena pubblicato e presentato dall’istituto? Un’Italia impaurita, pessimista, quasi totalmente diffidente nei confronti della politica, in cui la paura del futuro si identifica non di rado con la paura dei diversi, degli stranieri, in parte anche di neri. Ma che è anche capace di una forte autocritica, persino eccessiva perché immobile: incolpa se stessa e l’Occidente (Stati Uniti prima di tutti) per la guerre e le crisi mondiali, e non è disposta a risolvere le difficoltà ricorrendo alle armi o aumentando le spese militari. Insomma: un Paese che guarda le difficoltà, in parte le comprende, ma non sa reagire, sospetta di chi la governa. Ma si lascia impaurire, anche da chi governa, riguardo al proprio futuro e si rintana in se stessa, come dimostra il crescente astensionismo elettorale. Non ha molta fiducia nel futuro e soprattutto nella possibilità di accrescere il proprio stato sociale.
Impoveriti
“Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata”, si legge nel rapporto 2024 in cui si dice che negli ultimi vent’anni (2003-2023) ci si e impoveriti perché il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. L’occupazione sembra aver raggiunto il picco massimo, ma il pil non cresce, segno che gli occupati aumentano ma guadagnano sempre meno, soprattutto se si considera che la gran parte della ricchezza reale si sposta verso una piccola minoranza di ricchi sempre più ricchi e di un ceto economico di fatto esentato dalla tassazione.
Medianità
Insomma, l’Italia sembra galleggiare nella mediocrità: non registriamo picchi nei cicli positivi, non sprofondiamo nelle fasi critiche e recessive. Nel medio periodo, i principali indicatori economici, ovvero il Pil, i consumi delle famiglie, gli investimenti, le esportazioni, l’occupazione, tendono a ruotare intorno a una linea di galleggiamento, senza grandi scosse, né in alto, né in basso.
L’84,4% degli italiani è convinto che ormai i politici pensino solo a sé stessi e il 68,5% ritiene che le democrazie liberali occidentali non funzionino più; l’opinione che l’Unione europea sia una sorta di guscio vuoto, inutile o dannoso. Se il 71,4% degli italiani è convinto che, in assenza di riforme radicali e di cambiamenti sostanziali, sia destinata a sfasciarsi definitivamente.
Il 66,3% degli italiani attribuisce all’Occidente ‒ Usa in testa ‒ la responsabilità delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Nnon a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil; e il 51,1% è persuaso che l’Occidente sia destinato a soccombere economicamente e politicamente dinanzi all’ascesa di Paesi come la Cina e l’India.
Indifferenza
Insomma: restiamo “ciechi dinanzi ai presagi: crisi demografica, nel 2050 avremo quasi 8 milioni di persone in età lavorativa in meno. Intrappolati nel mercato dell’emotività: per l’80% degli italiani il Paese è in declino, per il 69% più danni che benefici dalla globalizzazione, e adesso il 60% ha paura che scoppierà una guerra mondiale e secondo il 50% non saremo in grado di difenderci militarmente”.
Un declino morale sembra causa e conseguenza del declino reale. Di fronte a questa situazione occorrerebbe un’iniezione di fiducia che non può che ripartire dai valori umani e sociali. Cioè: dalla ripresa della politica, dalla rinascita della scuola, dalla fiducia nel futuro degli italiani in fatto di benessere globale. L’individuo cresce solo se cresce tutti è Paese: proprio il contrario di quello che ci fanno credere coloro che vorrebbero dividere l’Italia e accrescere le distanze tra le classi sociali.