Le numerosissime paure dell’Europa
Il pensiero è corso a nove anni fa, quando la foto del corpo senza vita di un bimbo entrò negli occhi del mondo. Era il piccolo Alan Kurdi, che perse la vita in un naufragio di fronte alla costa turca. “Chi salva una vita salva il mondo intero”: così recita la Bibbia e il Talmud. Una verità attualissima ed eterna in un’epoca di grande progresso tecnologico ma di grave e contraddittoria involuzione di umanità, annientata nelle guerre ma anche dalla diffusione di violenze nei rapporti personali. Ciò nonostante, la vita trionfa sul male sempre, continuativamente, generandosi. Una bambina di undici anni, Yasmine, originaria della Sierra Leone, è stata tratta in salvo nel canale di Sicilia dall’imbarcazione di un’ong tedesca. La carretta del mare, sulla quale viaggiava, era partita da Sfax, in Tunisia, ma era colata a picco a metà della traversata. La piccola è l’unica sopravvissuta dell’ultimo naufragio nelle acque del mar Mediterraneo, originato da una tempesta: sono quarantacinque le persone disperse, fra cui il fratello di Yasmine che è rimasta a galla per tre giorni grazie a due camere d’aria per copertoni. Gli operatori umanitari l’hanno trovata fra le onde dopo aver sentito le sue grida in acqua, l’hanno recuperata e l’hanno trasportata a Lampedusa. Nel Mediterraneo – che secondo Giorgio La Pira era il lago di Tiberiade del nuovo universo delle nazioni – fra il 2014 e il 2023 hanno perso la vita trentamila esseri umani (sono numeri stimati dalla Organizzazione internazionale per le migrazioni) in fuga da guerre, persecuzioni e fame, così come riporta il sito del ministero dell’Interno, lo stesso dicastero che ha sanzionato, con il decreto Cutro, norme che frenano le operazioni di salvataggio da parte delle navi umanitarie. Il numero dei decessi, nel 2024, è in aumento, attestandosi sui valori del 2019 – 2021: alla fine dello scorso agosto il calcolo, minimo, è di oltre milletrecento. Queste tragedie non fanno notizia, eccetto i casi di naufragi singoli con decine di vittime, perché da gran parte dell’opinione pubblica e, quindi, dalla politica considerate cinicamente come una sorta di danno collaterale da mettere in conto, quando non in capo a chi sfida il mare alla ricerca di una vita migliore. E non fanno notizia nemmeno i quotidiani salvataggi, tanto più se avvengono grazie all’azione delle organizzazioni non governative che hanno subito perfino la vergogna di collaborazionismo con gli scafisti, accusa smontata in almeno una ventina di processi giudiziari. È vero: le ong agiscono per riempire un vuoto, in assenza di una missione europea di salvataggio, e per supplire alla diserzione di parecchi stati che non vogliono assumersi l’onere dell’accoglienza. Ma ciò che in Italia, da oltre trenta anni, è tuttora chiamata “emergenza immigrazione”, è ormai un fenomeno organico e strutturale che andrebbe regolamentato con principi e normative che tengano conto della realtà. Come? Aprendo canali regolari per chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà e allargando le maglie per chi cerca lavoro: centoquarantamila lavoratori in un anno, secondo il parere di Confindustria, solamente per fronteggiare le esigenze di manodopera delle imprese. Secondo le cifre della Fondazione Migrantes, organismo della Cei, nel 2024 gli sbarchi in Italia sono diminuiti di oltre la metà rispetto al 2023 e i ritorni in patria sono aumentati del quindici per cento, mentre sono cresciuti del 62% i rifiuti all’asilo e alla protezione umanitaria. Non ci sono dunque emergenze, c’è il rischio che sia raso al suolo il diritto di asilo. Gli stati dell’Unione europea hanno mancato l’obiettivo di garantire l’accoglienza di sedicimila domande l’anno scorso, ferme invece ad appena quattordicimila. Il report dedicato ai richiedenti asilo e dei rifugiati dell’organismo della Cei ricorda poi che, già da vari anni, la Siria è il principale Paese di origine di chi cerca rifugio in Europa: soltanto nel 2023 oltre centottantamila richieste. In Italia quella siriana è la seconda nazione di provenienza di chi giunge attraverso l’itinerario mediterraneo, a conferma che quello Stato non era in pace, come hanno sottolineato le notizie pervenute in questi giorni da Damasco. L’Europa si è detta preoccupata per le eventuali, inimmaginabili conseguenze del colpo di stato che ha spodestato Assad e portato al potere i ribelli jihadisti, animati da dichiarate intenzioni non vendicative e non repressive che dopo andranno verificate alla prova dei fatti. Frattanto i paesi europei sono mossi da una fretta: sveltire la sospensione delle domande di asilo per i siriani. Una palese contraddizione. Proprio l’Unione europea raccomanda un atteggiamento di prudenza: i progetti di espulsioni forzate andrebbero incontro a ricorsi e gli incentivi per i rimpatri volontari rischiano di rivelarsi controproducenti e controindicati. Pensare di governare le migrazioni guidati dalla paura e dalla ricerca del consenso non comporta solo ingiustizia ma anche caos. L’Europa avrebbe bisogno di trovare e scoprire i suoi valori fondativi. Quei valori che hanno ricevuto il soffio vitale dal monachesimo benedettino. Era il quinto secolo dopo Cristo.