La Porta Santa di Rebibbia: aprire le porte del cuore alla speranza

Nel giorno di Santo Stefano, papa Francesco ha aperto la seconda Porta santa di quest’anno giubilare, nel carcere romano di Rebibbia. Una scelta storica: per la prima volta, un pontefice sceglie di aprire una Porta santa all’interno di un penitenziario; significativa, poiché coerente con il messaggio centrale del Giubileo: la speranza.
Il Papa ha varcato la porta a piedi, al suo fianco il vescovo ausiliare di Roma mons. Benoni Ambarus e, all’interno della cappella, circa 300 detenuti, il personale della penitenziaria ed diverse personalità civili e religiose tra cui il prefetto del dicastero della Cultura, card. José Tolentino de Mendonca.
L’invito nell’omelia a spalancare le porte; quelle porte simbolo del cuore e dell’apertura alla fratellanza, all’unione, a non perdersi nei momenti bui: «È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere. Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude (cfr Rm 5,5), mai!».
Il richiamo alla “speranza che non delude”, in particolare per quel che riguarda le situazioni limite vissute da chi vive nel carcere e non riesce a vedere luce nel futuro: «A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma (cfr Eb 6,17-20). Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi».
Il gesto compiuto dal Papa, si pone in continuità con diverse riflessioni che in passato aveva dedicato al delicato tema della detenzione. Nell’enciclica Fratelli Tutti, in particolare al capitolo 7, par. 268, il Santo padre, dopo aver elencato tutti gli argomenti contrari alla pena di morte, invita tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà, definendo l’ergastolo una pena di morte nascosta.
Allo stesso modo, nel suo discorso alla polizia penitenziaria, al personale dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile e di comunità, 2019, Francesco si rivolgeva al personale penitenziario, ai cappellani, le religiose, i religiosi e i volontari, ed anche agli stessi carcerati; invitando i primi a non arrendersi dinanzi alle difficoltà che il lavoro e il rapporto con i detenuti comporta, non dimenticandosi di salvaguardarne la dignità; i secondi a portare tra le mura delle carceri il Vangelo, invitandoli a portare nella preghiera i pesi altrui e riconoscere attraverso le povertà incontrate, le proprie fragilità.
Invitava, infine i detenuti ad avere coraggio: «Gesù stesso la dice a voi: “Coraggio”. Questa parola deriva da cuore. Coraggio, perché siete nel cuore di Dio, siete preziosi ai suoi occhi e, anche se vi sentite smarriti e indegni, non perdetevi d’animo. Voi che siete detenuti siete importanti per Dio, che vuole compiere meraviglie in voi. Anche per voi una frase della Bibbia. La prima lettera di Giovanni dice: «Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20). Non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza, non cedete alla rassegnazione».
Al termine della liturgia, Francesco ha ricevuto, da parte dei detenuti, diversi doni: una miniatura della porta della Chiesa del Padre Nostro, realizzata con i legni dei barconi dei migranti, costruita nel laboratorio ‘Metamorfosi’; inoltre, le donne di Rebibbia femminile, hanno donato al pontefice un cesto di olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, il tutto realizzato da loro. Infine, l’amministrazione penitenziaria ha donato un dipinto raffigurante un Cristo salvifico, realizzato dall’ex poliziotto Elio Lucente.
La scelta di aprire, simbolicamente, una quinta Porta santa anche in un carcere, conferma la volontà di portare il Giubileo nelle periferie esistenziali, alla luce della speranza che apre infinite possibilità di rinascita e redenzione.
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