La storia vocazionale di Antonio Acclavio
“Quando penso alla mia vocazione, mi viene in mente la parabola del seminatore (Mt 13,1-9). Quel seme che cade sulla terra buona, dopo tante vicissitudini, alla fine germoglia, portando frutto. La mia chiamata è stata proprio così: un seme piantato da Dio molto tempo prima, che ha iniziato a germogliare in età adulta”: esordisce così Antonio Acclavio, 39 anni, che sarà ordinato diacono sabato 4 gennaio alle ore 17.30 nella cappella del seminario arcivescovile.
Nel suo caso ce n’è voluto, di tempo, addirittura risalendo alla fine degli anni 90, quando era ministrante alla parrocchia del Rosario di Talsano, allora affidata a don Vittorio Emanuele Marilli, con l’abbandono, come spesso accade, negli anni dell’adolescenza, subito dopo la cresima.
“Prima di entrare in seminario – racconta – ho trascorso tanti anni lavorando nell’ambito della ristorazione. Diversi i bar dove sono stato e proprio in uno di questi, a Taranto2, una cliente, oggi carissima amica, Lorenziana, nel 2010 mi invitò a frequentare la chiesa dello Spirito Santo, di cui era parroco di Martino Mastrovito, partecipando alla santa messa e agli incontri di Azione Cattolica: fu quasi un ritorno a casa”.
“Durante gli orari lavorativi, quando il Signore me ne offriva l’opportunità e senza venir meno ai miei doveri di dipendente, non mancavo di parlare della bellezza della fede ai giovani – racconta – Sulle stesse problematiche mi sono anche confrontato a lungo con due miei colleghi, un musulmano e un evangelico pentecostale, con reciproco arricchimento”.
Nel frattempo la chiamata verso una scelta impegnativa, quella della consacrazione della propria vita a Dio, si faceva sempre più forte, fino al “sì” definitivo. “Questo è avvenuto mentre lavoravo al bar L’Orchidea, un nome che ora mi sembra quasi profetico: un fiore che sboccia dopo un lungo processo di crescita. Così è stata la mia vocazione. Non è stata una decisione facile, ovviamente, in quanto rinunciavo a uno stipendio sicuro e a ulteriori soddisfazioni professionali – riferisce –. Mi rasserenarono i colloqui con il mio parroco di allora, don Danilo Minosa, con don Giovanni Chiloiro e don Davide Errico, già rettori dal seminario diocesano. Tutto ciò fu accettato con gioia dalle mie sorelle e da mio fratello e soprattutto da mia madre, che ha sostenuto appieno il cammino verso il sacerdozio, fino alla scomparsa avvenuta due anni fa (mio padre era deceduto dieci anni prima)”.
“Entrare in seminario – spiega – è stato per me come tornare nel grembo materno: un luogo che mi ha accolto con le mie cicatrici, un’umanità che ha saputo dare sollievo alle mie ferite. Durante questo periodo ho approfondito non solo il senso della chiamata di Dio, ma anche la mia vera identità. Il seminario non è stato semplicemente un luogo di formazione, ma un laboratorio di umanità, dove ho imparato a guardare me stesso e gli altri con occhi nuovi”.
Nel 2019, dopo l’anno propedeutico, l’entrata nel Pontificio seminario regionale pugliese Pio XI di Molfetta, dove Antonio ha potuto approfondire la bellezza della fede, unitamente alla consapevolezza dell’amore infinito di Dio, al di là delle fragilità dei suoi figli e, in particolare, di chi è destinatario della sua chiamata. “Non vi nascondo che diversi sono stati i momenti di prova, superati grazie alla preghiera personale, al sostegno dei miei compagni di cammino e alla guida del mio padre spirituale, don Alessandro Rocchetti, e di tutta l’equipe formativa guidata dal rettore don Gianni Caliandro” – racconta.
Attualmente Antonio svolge il suo ministro nella sua parrocchia di origine, il Rosario di Talsano, affidato all’amorevole cura del parroco, don Armando Imperato, il quale ha organizzato una serie di incontri di preghiera in vista dell’ordinazione diaconale che, a causa degli esigui spazi della chiesa, si terrà nella cappella del seminario arcivescovile.
“Il fatto che la mia ordinazione avvenga all’inizio dell’Anno giubilare è per me un segno di speranza, in quanto tempo di grazia e un invito a riscoprire la bellezza della misericordia di Dio – conclude -. Il mio desiderio è che ogni persona, attraverso il ministero che mi verrà affidato, possa incontrare un frammento di quella misericordia. Invito tutti a non aver paura di rispondere alla chiamata di Dio, qualunque essa sia. Nonostante eventuali ferite troppo profonde o un passato troppo ingombrante, il Signore sa trasformare ogni cosa in una storia di salvezza e, fidandosi di Lui, ogni vita può diventare terra buona in cui il seme della Sua Parola può portare frutti abbondanti”.