L’omelia nella santa messa esequiale per mons. Pierino Galeone
Riportiamo qui di seguito l’omelia pronunciata dall’arcivescovo, mons. Ciro Miniero, durante la santa messa esequiale in suffragio di mons. Pietro Galeone.
Eccellenze Reverendissime, signor sindaco, stimate autorità civili e militari, cari Servi e Serve della Sofferenza, sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi, fratelli e sorelle,
“Tutto è per noi”, come ci ha detto l’apostolo nella prima lettura, “perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio”.
Eucharistomen, dunque, rendiamo grazie: è questo che affiora dai nostri cuori quando celebriamo i Santi Misteri. Così come nei momenti lieti, pari a quelli bui, ogni cristiano dice sempre grazie a Dio, perché Egli mai ci abbandona, non ci lascia mai la mano: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 22,4). Ci insegna, così, il Salmo a ritmare la speranza nel cuore, allenandolo alla fiducia e alla serenità. A maggior ragione questo rendimento di grazie deve sgorgare dalla comunità nel giorno in cui essa affida alla misericordia di Dio un suo pastore.
Con le parole del prefazio della messa dei defunti ricordiamo a noi stessi che «la morte è comune eredità di tutti gli uomini». È la cruda realtà dalla quale nessuno di noi può esimersi, indipendentemente dalla sua condizione. Il nostro stare qui è la sfida suprema del nostro credere nella risurrezione, perché testimoniamo la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, nonostante il velo di tristezza che il distacco può creare.
Nelle esequie cristiane, consegniamo al misterioso pellegrinaggio della Misericordia i nostri cari defunti, non solo deponendo il corpo di un nostro fratello nella terra, ma adagiandolo soprattutto nelle braccia del capolavoro di Dio, ovvero il suo perdono. Questo, oggi, compiamo per don Pierino, lo poniamo nel cuore immenso di Dio che tutto comprende, tutto conosce, tutto guarisce, tutto salva.
Lasciamoci illuminare dalla parola del Vangelo che abbiamo ascoltato: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Osservando in trasparenza la vita di questo presbitero vogliamo guardare alla fecondità della morte di Gesù che celebra un amore pronto a donarsi. La suggestiva piccola parabola del chicco di frumento che il Maestro applica a se, ci indica la via della donazione totale e senza limiti. Essere suoi servi significa appartenere a lui, significa rinnegare sé stessi (cfr. Mt 16,24), scegliere di non anteporre il proprio tornaconto, la propria felicità alla volontà di Dio ed al servizio dei fratelli. È nella testimonianza di chi in Cristo si fa servo che si percepisce la potenza della
risurrezione. È quando entriamo in contatto con anime innamorate del Vangelo, e si impegnano a servire i fratelli, che sentiamo il profumo della vita nuova, della vita cristiana. È nella testimonianza del servizio che riusciamo ad intravedere il Cristo risorto perché la loro vita è Lui. Chi ama solo sé stesso, chi ricerca la propria realizzazione o il proprio comodo, non è servo di Gesù.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà» (Gv 12,24-26). Così è stato per don Pierino che ha sentito il profumo del Risorto quando la sua strada ha incrociato i passi di Padre Pio da Pietrelcina.
Ora la sua esistenza viene totalmente nascosta in Cristo (cfr. Col 3, 3). Con la conclusione della vicenda umana di questo nostro fratello, la fede ci dona di poter piantare un seme, contemplando le cose di lassù (cfr. Col 3,2).
Don Pierino, prete dal 1950, è stato il parroco della Chiesa Madre dal 1955 ad oggi. Praticamente 70 anni di storia di un paese sotto il patrocinio della Madonna del Popolo e dell’amato San Giorgio Martire. La sua vicenda umana è quella di tanti giovani di allora: un’adolescenza segnata dalle privazioni e della guerra. Nacque in una famiglia dal credo semplice e popolare, da Grazia e Ciro, che ricordiamo. Egli sentì la vocazione di donarsi completamente al Signore entrando nel seminario diocesano. L’esperienza della malattia lo portò all’incontro con un gigante della santità del secolo scorso, San Pio da Pietrelcina, lo stigmatizzato del Gargano. Don Pierino ha sempre, con immensa gratitudine, attribuito alla preghiera di Padre Pio la sua guarigione. Il carisma del cappuccino, la mistica comunione con il Cristo Crocifisso, hanno guidato la sua vita, raccogliendo, dall’immensa eredità del Santo, quella missione di voler associarsi alla sofferenza di Cristo, per portare le anime a lui. Da qui nasce la fondazione dell’Istituto Servi della Sofferenza: una comunità di uomini e di donne, sacerdoti, laici e laiche, che vede muovere i primi passi proprio qui, in San Giorgio, allora, un piccolo borgo della provincia ionica.
I suoi figli spirituali testimoniano che era un uomo tenace, instancabile nella preghiera, nella predicazione e nella direzione spirituale. Creò una fraternità nella sua stessa casa, facendone la dimora di giovani seminaristi, poi sacerdoti, e di laici e laiche impegnati nel lavoro e nell’apostolato.
Sullo sfondo della sua predicazione, vi è sempre stato il suo costante riferimento a Padre Pio, e oggi salutiamo uno degli ultimi testimoni del grande Santo.
Tutto quello che don Pierino ha realizzato nel corso della sua esistenza e ciò che egli rappresenta per tanti di voi, potete raccontarlo voi a me, chiamato da poco tempo a servire questa Chiesa di Taranto. Vengo a constatare le tante manifestazioni di affetto, i legami profondi che oggi sono innegabili e tangibili. Tutto ciò deve tradursi nel prosieguo di un cammino conformandovi sempre a Gesù in ubbedienza allo Spirito e alla Chiesa.
Affidando al Buon Dio don Pierino, vorrei invocare su questa Comunità e sull’Istituto dei Servi della Sofferenza la rinnovata Pentecoste, di cui la Chiesa ha perennemente bisogno.
Alla morte del Fondatore, come per tutti gli istituti, gli ordini religiosi, i movimenti, si apre per voi, Servi della Sofferenza, una nuova stagione, che sollecita l’impegno affinché il carisma che il Signore vi ha donato e che la Chiesa ha riconosciuto, approvando i vostri statuti diocesani, vada sempre più innervandosi nel servizio dei fratelli.
Negli anni 80, don Pierino ritrovò nella Lettera Apostolica Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II, le coordinate per orientare il cammino della vostra Famiglia, dando ulteriormente corpo a ciò che aveva compreso da Padre Pio e che cercava di trasmettere ai figli e alle figlie che man mano andavano aggiungendosi alla comunità dei Servi.
Anche voi, continuate a progettare il futuro dell’Istituto sull’architrave del Magistero della Chiesa e per le strade che la Provvidenza vi indicherà.
Guardate quindi alla sofferenza con gli occhi del Vangelo, facendovi sostenitori del bene per i fratelli e le sorelle che incontrerete. San Giovanni Paolo II afferma che la sofferenza «più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell’umanità le forze della Redenzione. In quella lotta “cosmica” tra le forze spirituali del bene e del male, della quale parla la Lettera agli Efesini (cfr. Ef 6,12), le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche» (Salvifici Doloris, 27).
Voi Servi, siate buoni samaritani! «Non fermandovi alla sola commozione e compassione. Queste diventano per il Buon Samaritano uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all’uomo ferito. Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio “io”, aprendo quest’ “io” all’altro» (Salvifici Doloris 27).
«Siate – come vi ha detto san Giovanni Paolo II – silenziosi “cirenei” che aiutano quanti sono nella prova e li assicurano che Dio non dimentica nessuna lacrima» (Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’Istituto Secolare Servi della Sofferenza, 2.12.2004).
Carissimi fedeli della Chiesa diocesana di Taranto, forse non tutti avete goduto dell’amabilità e della sensibilità spirituale di don Pierino. La dolorosa circostanza del suo ritorno alla casa del Padre, possa rinvigorire in ciascuno di voi, sul suo esempio, il desiderio di Dio, l’amore per la preghiera, la comunione fraterna, la docilità allo Spirito. Esorto i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i diaconi e tutti i fedeli laici a ringraziare il Signore per il dono che ha concesso alla nostra diocesi e a seguire l’esempio di fedeltà a Dio e alla Chiesa che ci ha lasciato.
Ora affidiamo don Pierino al Padre Celeste.
Raccolti nella fede e nella speranza della vita eterna, lo abbracciamo con la nostra preghiera, lo raccomandiamo alla misericordia generosa del Signore.
Don Pierino, che con il Battesimo è diventato figlio di Dio e con il sacramento dell’Ordine, è stato costituito, per tantissimi anni, dispensatore dei suoi Misteri, possa partecipare al Convito del Cielo, con Maria dal cui manto non si è mai separato, con Padre Pio, suo modello di vita e con tutti i santi.