Il tarantino padre Giovanni D’Elia missionario ad Osaka
Il nome richiama il titolo di una canzone di Eugenio Finardi (Le ragazze di Osaka) ed è anche quello della nota località del Giappone dove dal 2003 il tarantino don Giovanni D’Elia, 54 anni, missionario saveriano, esercita il ministero sacerdotale.
Lo abbiamo incontrato nel corso delle festività, venuto a Taranto per riabbracciare la famiglia e riassaporare le nostre bellissime tradizioni natalizie. “In Giappone, non essendo un paese cristiano quello di Natale è un normale giorno lavorativo e la festa si riduce alla sola giornata del 25 dicembre – racconta –. Ben altra cosa è invece dalle nostre parti, dove vantiamo il Natale più lungo del mondo. Nonostante tutto, anche nell’atmosfera particolarmente festosa di casa mia, non vedevo l’ora di tornare nel Paese del Sol Levante!”.
Cresciuto in una famiglia di cattolici praticanti e frequentante dapprima la concattedrale e poi la parrocchia di Santa Rita, il sacerdote prese contatto con il carisma dell’ordine religioso cui appartiene negli anni ottanta, durante un campo di lavoro estivo alla San Giovanni Bosco, coordinato dai padri saveriani Michelangelo Pennino, Daniele Targa e Antonio Anaya.
Spinto dal loro esempio, una volta conseguita la maturità al ‘Pacinotti’ e dopo qualche anno all’università, a ventidue anni entrò nella comunità saveriana di Desio per il postulantato, frequentato negli anni ’93-’95, per poi effettuare il noviziato ad Ancona, dove nell’agosto del ‘97 emise la prima professione religiosa. Successivamente fu inviato al seminario internazionale di Manila, capitale delle Filippine, per studiare Teologia. Infine il 19 ottobre del 2002 in concattedrale, in occasione della giornata missionaria mondiale, egli fu ordinato sacerdote, per poi essere destinato nel 2003 ad Osaka, dov’è presente da ventidue anni. Suo primo compito, oltre che il difficile studio della lingua, riguardò la chiesa di San Paolo, di cui divenne parroco. “Essendo l’edificio ormai fatiscente, si dovette demolirlo e poi ricostruirlo interamente per poi riaprirlo il 20 dicembre 2020, in piena pandemia, con la cerimonia di consacrazione. Contemporaneamente mi misi all’opera per ricompattare la comunità, mille fedeli complessivamente, di cui solo la metà composta da giapponesi e il resto proveniente da tutto il mondo”.
Padre Giovanni aggiunge che i cattolici in Giappone sono appena 500mila, pari allo 0.5% della popolazione composta da ben 126 milioni di persone. “Un’inezia! – commenta –. Nonostante tutto vi si respira quella fede intensa e coerente che doveva caratterizzare la Chiesa delle origini, controcorrente rispetto alla mentalità dell’epoca”.
Oltre agli impegni pastorali quotidiani, padre Giovanni insegna religione nelle classi elementari, medie e superiori di una scuola cattolica, dove i cattolici, in verità, sono ovviamente molto pochi. “Nonostante tutto, il mio insegnamento è molto seguito, i cui contenuti ovviamente non sono totalmente condivisi, nel rispetto reciproco della propria fede. Noto però molta curiosità e simpatia nei confronti della nostra fede, ma le conversioni sono rare e in ogni caso necessitano di processi di maturazione molto lunghi”.
Il missionario tarantino aggiunge che non mancano le domande da parte degli studenti durante le lezioni. “Le più frequenti riguardano il mistero della Santissima Trinità e lo stato di celibato di noi sacerdoti: difficili da far comprendere – dice –; ma ancor più problematico è spiegare la necessità del perdono verso il nemico, imprescindibile per noi cristiani: davvero impresa ardua farlo accettare, data la mentalità giapponese”.
In verità, lo è spesso anche da noi.