La politica dei ‘senza parola’

Che lo stato di salute della democrazia non sia dei più floridi, e non soltanto in Italia di sicuro, è davanti agli occhi di tutti. Il tasso di credibilità delle istituzioni della democrazia rappresentativa è sempre più basso. C’è un aspetto specifico delle nostre democrazie: il nucleo di significati che girano intorno all’impegno, ossia patto, accordo, intesa, promessa, vincolo, obbligazione nel senso morale. È aumentata la avversione ad assumere e rispettare impegni e obbligazioni, a causa della propensione verso gli impegni che non impegnano e le promesse non vincolanti, revocabili, riformulabili e rinegoziabili. Non è altro che il declino della coerenza: non ci si sente legati a impegni assunti in quanto il flusso della storia modifica tutto, comprese le decisioni passate. Ciò appare molto umano, ma in realtà è una posizione che ha modificato, man mano nel tempo, ciò che era il carattere ferreo dell’impegno pattuito. Si assiste con impassibilità ai tanti cambiamenti di posizione dei politici, si elogia la rappacificazione nel caso dei peggiori tradimenti politici; si accetta l’idea del condono e anche del fatto che i debiti contratti si possono anche non pagare. E così scemano i patti, scadono gli impegni, tanto più quelli presi sulla parola. Quale parola? La parola, pure se appare così fuori moda ai tempi aeriformi del web, d’onore, la parola esigente, la parola che vincola, che suggella il patto, come il sigillo suggella la ceralacca quando prima che rassodi, la parola che nell’istante in cui è enunciata compie una azione, quella della promessa e dell’impegno. Fra le righe del suo discorso durante la visita ufficiale nel Montenegro, il presidente Mattarella ha ricordato il Memorandum di Budapest, siglato il 5 dicembre 1994: l’Ucraina rinunciò alle duemila testate nucleari rimaste sul territorio dai tempi dell’Urss, in cambio di un impegno della Russia a garantire la sua integrità territoriale condiviso dagli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. In base al negoziato, Stati Uniti, Regno Unito e Francia avrebbero dovuto intervenire contro la Russia dai tempi dell’annessione della Crimea. Ma non è il solo accordo che la Russia non ha rispettato, è solo il primo. Anche con il Trattato di Amicizia, Cooperazione e Partenariato del maggio 1997 la Russia aveva accettato di rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina riaffermando “la inviolabilità dei confini” fra i due paesi. È dell’agosto 2014 l’evento del “corridoio umanitario” di Ilovajsk: la Russia si era impegnata a lasciare che gli ucraini abbandonassero la città ormai circondata ma invece spararono uccidendo trecentosessanta soldati ucraini. Un’ulteriore violazione riguarda i protocolli di Minsk del 2014 e del 2015, per mettere fine al conflitto nel Donbass ma il 24 febbraio 2022, la Russia ha lanciato un’invasione su vasta scala dell’Ucraina. Alla luce di tutto ciò, accadrebbe da dare ragione al presidente Zelensky: a furia di sentire la presentazione russa, quanto già detto è stato del tutto imboscato dalla propaganda del Cremlino. La verità è un’altra ed è immorale e impressionante. La gestione delle relazioni internazionali, per come è stata in questi ultimi anni, è in fase di smantellamento. Trump ha una sua idea di ordine mondiale, che risponde, essenzialmente, a un pragmatismo estremo che mette da parte qualsiasi questione di principio e perfino il diritto internazionale. Ad avvantaggiarsi di questa idea, ci sono gli interessi nazionali americani, di fronte ai quali Trump passa sopra a tutto, anche al ribaltamento dei piani in Ucraina, dove un Paese invaso e straziato, anziché essere protetto dal sedicente primo attore internazionale, dovrebbe accettare condizioni che avvantaggiano la Russia di Putin che, fino al 19 gennaio veniva vista, a ragione, come il nemico numero uno dell’Occidente e che adesso è considerato come un interlocutore con cui colloquiare in funzione anti cinese. Per contrastare lo spettro del Dragone, Trump sta passando sopra a tutto quello che l’Occidente ha significato finora: valori democratici, diritti, organizzazioni internazionali. Si torna a trattare bilateralmente, dove il pesce più piccolo è destinato a cedere. E invece è la dimostrazione che, con l’indebolimento delle democrazie e delle società liberali, ora il cattivo può passare dalla parte della ragione. È una china pericolosa, per due motivi. Il primo è che l’ordine mondiale rischia sempre più di essere retto da pochi attori e in modo sempre più muscolare, in cui, saltata ogni regola, diventa sempre più faticoso trovare un compromesso. Il secondo è che con la crisi delle democrazie e l’emergere delle democrature, non c’è un effetto elastico e quindi tornare allo status quo ante potrebbe essere in effetti impossibile. Occorre agire subito e l’unico soggetto politico che può provarci è l’Unione Europea, almeno in linea teorica. E, occorre farlo al più presto, perché il pericolo, grave, serio e preoccupante, è che le sorti di tanti paesi, l’avvenire di molti popoli, il futuro di troppe giovani generazioni finiscano nelle mani, nelle prodezze, nelle grinfie di questa gente. C’è da dormire preoccupati.
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