Fermare la cultura dell’odio

Quelli che stiamo tuttora vivendo sono anni difficili e faticosi. Quelli già passati non sono stati davvero i migliori. Anni di guerre e di ferite tuttora sanguinanti. Sono passati cinque anni dal 20 febbraio 2020, giorno in cui a Codogno è stato scoperto quello che per convenzione è stato identificato come il paziente uno del covid in Italia. Tre anni dal 24 febbraio del 2022, giorno in cui Putin ha dato inizio all’operazione militare speciale nel Donbass, ma, in realtà, ha dato il via a una vera e propria occupazione armata nei confronti dell’Ucraina. Alla fine, è arrivato il 7 ottobre del 2023, quando una serie di aggressioni di gruppi armati, provenienti dalla Striscia di Gaza, hanno scatenato l’inferno nella parte attigua del territorio israeliano e hanno innescato l’apocalittica risposta del governo di Netanyahu. Sono anni che cerchiamo di immaginarci un domani migliore, per noi stessi ma, ancor più, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. È un po’ ciò che accadeva di fare ai nostri nonni e ai nostri genitori all’epoca della seconda guerra mondiale nel fossato di un secolo, il Novecento, che immaginavamo di esserci lasciati alle spalle con tutti suoi demoni e con tutto il suo carico di odio e di bestialità. Non è così, non è per nulla così. A dircelo non sono solamente le notizie che continuano a giungerci dall’Ucraina o da Gaza. A Bolzano, la Digos ha arrestato un ragazzo di quasi quindici anni, sospettato di appartenere a un gruppo di matrice satanista, neonazista e suprematista. Un fanatico? Forse. Sì, a giudicare dalle foto sconvolgenti – aggressioni, sparatorie a scuola, materiali pedopornografici, scene di decapitazioni per mano dell’Isis – rinvenute nel suo cellulare. Ma un fanatico pronto anche ad uccidere per dimostrare la “lealtà” a una setta fondata, nel 2020 in Texas, da un altro minorenne condannato a ben ottanta anni di carcere per aver girato una ripresa in cui dei bambini venivano torturati e abusati sessualmente. Un secondo “militante” del gruppo era stato arrestato lo scorso anno in Inghilterra con l’accusa di avere tentato di uccidere un senzatetto. Lo stesso tipo di target – migranti, clochard, persone vulnerabili e sole – a cui stava mirando anche il ragazzo italiano. Il quale, poi, allo scopo di documentare il raccapricciante test, avrebbe pubblicato il video del delitto su un sito russo del dark web. Spiegando l’arresto, il questore di Bolzano ha detto chiaramente che il giovane era ormai a un passo dall’entrare in azione e che le indagini non sono da considerarsi terminate. Il caso ha voluto che, negli stessi giorni, si sia aperto, a New York, il processo all’attentatore del famoso scrittore Salman Rushdie. Il giovane libanese-americano che, nell’agosto 2022, pugnalò con una lama di venti centimetri l’autore de “I versi satanici” è giunto nell’aula del tribunale cantando “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, il canto dei filo-Hamas di ogni ordine e grado, dato che il titolo allude alla sparizione dalle carte geografiche di Israele. Cosa mai c’entrasse Rushdie è presto detto: nulla, assolutamente nulla. C’entrava e c’entra, invece, che il suo mancato assassino abbia agito in seguito alla “fatwa” per blasfemia, ossia della condanna a morte emessa nell’89 contro lo scrittore da Khomeini, allora guida suprema dell’Iran. Quello stesso Iran di cui Hamas è la diretta emanazione, insieme alla maggior parte dei gruppi terroristici, sparsi per il Medio Oriente. Salman Rushdie, nella prima udienza, è stato chiamato a ricostruire le fasi dell’attentato, ma ha pure tenuto a ribadire il diritto dell’accusato a un giusto processo e a manifestare le sue idee. I due episodi esposti sono legati da un unico comune denominatore: l’odio. Un odio assoluto, totale, viscerale e che, nel suo incontrollabile desiderio di procurare del male a qualcuno, non conosce alcuno spazio di pentimento e di indecisione. Purtroppo è questa la cultura del nostro tempo: la cultura di un odio ingiustificato e ingiustificabile, che nulla e nessuno sembrano in grado di intercettare e di fare regredire. In questa totale oscurità, brilla la luce emanata dalle parole del Presidente della Repubblica Mattarella che, in occasione della celebrazione del Giorno del Ricordo, ha detto: “La furia omicida dei comunisti jugoslavi si accanì su impiegati, intellettuali, famiglie, sacerdoti, su antifascisti, su compagni di ideologia, colpevoli soltanto di esigere rispetto nei confronti della identità delle proprie comunità”. E ha poi aggiunto: “La memoria storica è un atto di fondamentale importanza per la vita di ogni Stato … Ogni perdita, ogni sacrificio, ogni ingiustizia devono essere ricordati. Troppo a lungo foiba e infoibare furono sinonimi di occultamento della storia”. E l’occultamento della storia è la specializzazione dei troppi “cattivi maestri” tuttora in circolazione, ai quali sarebbe giusto rispondere facendo leggere e studiare in tutte le scuole i discorsi del Presidente, a partire da quello del 5 febbraio scorso alla Cerimonia di consegna dell’onorificenza accademica di dottore honoris causa dall’ateneo di Aix-Marsiglia, quello contro il quale hanno apposto la loro firma personaggi di grande popolarità, fra cui il conte Lello Mascetti, l’étoile Ciolanca Sbilenca e la chef stellata Galina Cocimelova. Scherzi a parte, sarebbe un gesto autentico e semplice, ma è anche da qui che si può e si deve cominciare per scrollarci di dosso la cultura dell’odio che ci attanaglia e ci minaccia da ogni parte.
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