Le inconsistenze delle muscolosità

Ormai la maggior parte dell’opinione pubblica europea è conscia che i tavoli di mediazione sui quali si affrontano e si negoziano le vicende internazionali sono molti, troppi, e che le discussioni che vi si svolgono sono sempre più caotiche. Caotiche per il disordine scenari immaginabili, tanto da sembrare, in generale, molto poco accuratamente preparate ad affrontare le novità di queste ultime settimane. Tutto ciò malgrado le diverse novità non siano proprio impreviste come, per esempio, la gratuita e masochistica strenna alla Russia, da parte statunitense, delle regioni ormai conquistate in Ucraina, la restituzione di quelle conquistate dalle forze armate ucraine, la contrapposizione di un deciso “no” a Kiev dell’ingresso nella Alleanza atlantica e, ultima ma non per importanza, il rifiuto statunitense di qualunque dovere per il rispetto delle clausole di pace che, prima o poi, Zelensky oppure chi per lui sarà costretto a firmare, con un coltello alla gola o con la canna di un revolver alla tempia. Per diverse ragioni, la più grave fra le novità, impreviste e previste, è rappresentata da un sostanziale mancanza della carta più importante sul tavolo delle trattative, incominciato in Arabia Saudita: è quella che dovrebbe comprendere i punti insostituibili di un negoziato triangolare, suddiviso, a sua volta, in ulteriori due tavoli, uno Usa-Russia l’altro Usa-Ucraina. Già questa procedura è poco chiara perché contiene in sé la implicita accettazione di una scelleratezza, ovvero il consolidamento della legittimazione della invasione dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio del 2023, con il rifiuto di considerarla un soggetto statuale con pari diritti degli altri stati del pianeta. È l’accettazione di una scelleratezza attribuibile oggi a Trump, il più tenace sostenitore di una nuova forma di governo denominata “schizocrazia”. Un individuo incapace di distinguere e di mantenere separate le questioni di Stato dalle sue faccende private. Alle tragedie di questo tempo non può che replicare con manifestazioni di forza, di energia, di potenza, per il fatto che lui, non da presidente ma da imprenditore, deve obbligatoriamente prendere posizione con il più muscoloso, il più sprezzante e il più spregiudicato dei contendenti. La prova incontestabile è il come gli Stati Uniti abbiano smesso la fornitura dell’ausilio della propria intelligence all’esercito ucraino rendendolo molto più esposto ai russi e ridimensionando, in conseguenza di ciò, le attitudini della contraerea di abbattere missili e droni di Mosca. Ma non basta: a ciò, si è addizionata la fine delle forniture militari legittimamente stabilite da Biden e che si sarebbero dovute realizzare per altri sei mesi, cioè un tempo idoneo al maturare di un armistizio. Rimane l’Unione europea estesa: la presidente della Commissione Ursula von der Leyen con Keir Starmer, primo ministro del Regno Unito, fuori UE dopo brexit, stanno da giorni confermando che l’Europa intenderebbe assumersi l’onere, e l’onore, di garantire la libertà e l’indipendenza di ciò che resterà dell’Ucraina successivamente al duplice “sgraffigno” di Putin prima e di Trump dopo. Ora, si riesce a immaginare cosa possa significare una garanzia europea: tirare fuori un oceano di euro e impegnare una forza militare operativa che sarà, al massimo, di quaranta o di cinquanta mila soldati, che occorre mettere intorno ai confini della Russia, come una sorta di indumento di costrizione. La preoccupazione è che lo zar di tutte le Russie potrebbe interpretare tutto ciò come un vero e proprio oltraggio alla sua statura imperiale. Potrebbe avviare una specie di politica dei piccoli passi: iniziare, per esempio, una operazione militare speciale in Lituania oppure in Lettonia, in collaborazione con il complice Lukashenko. Per vedere l’effetto che fa. La brama ancestrale di Putin è un impero dal Pacifico all’Atlantico. Sbaglia chi sostiene che non avrà altre pretese dopo l’Ucraina. Si sbaglia. La natura banditesca del dispotismo che domina la Russia rende identici nella sostanza l’espansionismo territoriale e lo scoppio di nuovi conflitti, elementi ai quali il dispotismo per perpetuarsi non può rinunciare. È inutile continuare a invocare la Nato, purtroppo allo stato terminale, constatato che, abdicando al proprio ruolo in essa gli Stati Uniti l’archiviano e che l’Onu, a causa il diritto di veto russo e americano, mai potrà accordare l’invio sul confine dell’Est di un suo contingente, magari con regole d’ingaggio castranti ed eviranti come nel caso dell’Unifil in Libano. Le uniche speranze di sopravvivenza di uno stato ucraino, libero e democratico, abitano nell’Europa. Le difficoltà, almeno per adesso, non impediscono di lavorare per mettere insieme le forze indispensabili, quelle che in futuro, a regime, consentirebbero all’UE di fronteggiare la Russia esprimendo pure una efficace dissuasione. Resta l’Italia, sempre più ambigua: l’opzione “del pesce in barile”, che si sta rinnovando sempre più nell’opzione “dell’asino di Buridano”, scelta da Meloni, non potrà durare a lungo, comportando il rischio di essere spediti nell’angolo, come nella boxe, e poi dover inevitabilmente passare dalla scelta di non scegliere a una scelta vera e propria. Sperando che non sia atlantica ma che sia europea. Sinceramente europea.
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