La pace durevole è una illusione?

Per leggere fra le righe, occorre leggere e rileggere, e poi leggere e rileggere, e ancora leggere e rileggere. “Siamo d’accordo con le proposte di cessazione delle ostilità, ma partiamo dalla posizione che questa cessazione dovrebbe convogliare a una pace a lungo termine ed eliminare le cause della crisi attuale”. Con tali parole il presidente russo, Putin, ha rilanciato la palla al presidente Trump che ha valutato le “parole promettenti, ma non completamente” con cauto ottimismo. D’altra parte, perché Putin avrebbe dovuto accettare una richiesta redatta dal gruppo di lavoro statunitense con quello ucraino in una fase della guerra in cui la Russia – è ciò che sostiene Mosca – sta conseguendo un consistente vantaggio competitivo? E in cosa consiste in realtà questa posizione di forza che Putin vuole utilizzare in sede negoziale? Sul piano militare, si evince anche dai social ucraini, la controffensiva russa nell’area di Kursk ha consentito di riprendere i 1300 km quadrati, conquistati sette mesi fa dalle forze armate ucraine nella Federazione russa. I soldati ucraini rischiano di essere accerchiati nei prossimi giorni e costretti alla ritirata oppure “nessuno potrà scappare e ci saranno solo due opzioni: arrendersi o morire”, come ha minacciato Putin che, per la prima volta dall’inizio della guerra, si è vestito con una mimetica e si è portato sui luoghi per sollecitare i vertici militari a risolvere la questione “il prima possibile”. Nel Donbas, l’esercito di Mosca avanza lentamente, ma progressivamente, approfittando delle difficoltà del fronte ucraino e intensificando l’azione bellica attraverso una massiccia quantità di armi lanciate in diverse zone del paese. Per quanto per il Cremlino la priorità sia la liberazione della regione russa di Kursk, non vi è dubbio che avanzare anche nel suolo ucraino, con le condizioni meteorologiche vantaggiose fino all’autunno, permetterà di conquistare e annettere ulteriore territorio ucraino prima di sedersi al tavolo delle negoziazioni. Sul piano economico, Putin non può eludere il richiamo della Banca centrale russa sulla necessità di riportare gli indicatori economici a livelli più rassicuranti. Per questo fatto, le parole di Trump sulla minaccia di ricorrere a “sanzioni devastanti” se la Russia rimane contraria alla tregua non possono essere sottovalutate da Putin. Finora le sanzioni che hanno colpito i rami finanziari non hanno creato forti effetti collaterali sull’economia russa, ma l’esenzione delle sanzioni nel settore del petrolio e gas di due mesi, che era stata decisa da Biden, è terminata il 13 marzo scorso. Per questo le banche russe potrebbero riscontrare difficoltà negli accessi ai sistemi di pagamenti americani per portare avanti le transazioni energetiche. Tuttavia, anche in questo caso, Putin potrebbe fare affidamento sul fatto che queste restrizioni provocherebbero un rialzo del prezzo fino a cinque dollari al barile, rendendone arduo l’acquisto da altri paesi, che potrebbero, a quel punto, cessare le loro richieste. Come è emerso fin dai primi mesi dell’invasione in Ucraina, l’utilizzazione delle sanzioni occidentali è una condizione necessaria e legittima come strumento di applicazione del diritto internazionale, ma non sufficiente nell’immediatezza degli effetti e nel contrasto ai metodi underground, come il mercato parallelo dei beni attraverso altri paesi che la Russia ha sempre sfruttato in questi anni. Sul piano politico, Putin ha affrontato e risolto alcune situazioni che potevano insidiarne il dominio e la permanenza al Cremlino, come la rivolta della Wagner avviata da Prigozhin, poi morto in un incidente aereo, e la morte di Navalny, deceduto per un malore in una prigione siberiana. In tutti e due i casi, Putin ha dimostrato ai nemici che ha nel Cremlino, quanto non convenga sfidarlo se si vuole vivere. Oltre a questo monito, si aggiungano le elezioni plebiscitarie del marzo 2024 che lo hanno riconfermato, per la quinta volta, alla guida del paese. Barricato nella struttura di potere che ha creato, Putin è attento agli umori dell’opinione pubblica, specialmente per quanto riguarda l’atteggiamento dei russi nei confronti della guerra in Ucraina. Un recente sondaggio di un istituto indipendente, sgradito al Cremlino, ha pubblicato i dati di una indagine secondo cui più del settanta per cento degli intervistati ritiene che il paese stia vincendo la guerra, il sessanta per cento che il negoziato sia auspicabile, ma solo alle condizioni poste dal Cremlino, altrimenti per quasi l’ottanta per cento degli intervistati è bene andare avanti fino alla vittoria finale. Non è un caso: la vicenda delle condizioni russe sta proprio nel messaggio “diplomatico” che Putin ha indirizzato a Trump, evitando, per ora, di entrare in collisione con la Casa Bianca e riepilogabile in un sì alla tregua, ma alle mie condizioni, che, letto fra le righe, è un no. Per Putin è inaccettabile perdere i territori già conquistati, porre in discussione l’inglobamento della Crimea del 2014, accettare la adesione dell’Ucraina nella Nato o eserciti occidentali al confine, non garantire diritti alle minoranze russofone e alla Chiesa russa ortodossa e, al disopra di tutto, trattare con Zelensky, considerato un presidente illegittimo dopo il rinvio delle elezioni presidenziali ucraine a causa della legge marziale. Bastano solamente queste considerazioni per comprendere quanto sarà arduo per l’Ucraina il percorso verso una pace che giusta non potrà mai essere, come storicamente è avvenuto in tutte le guerre, ma semmai possibile, soltanto se in questo ping-pong fra Trump e Putin si allargherà la posta in gioco ad altri dossier geopolitici nell’ottica di una vera e propria spartizione e ridefinizione di un nuovo ordine mondiale. Questo non offre, certamente, certezze sul fatto che possa essere anche una pace durevole nel tempo.
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