Leggere per vivere meglio
Sì, è vero, a volte i grandi ci hanno raccontato di una letteratura che fa male, come nel caso della signora Bovary di Flaubert che a furia di leggere romantiche storie d’amore si mette in testa fantasie senza corrispondenze con la realtà; per non parlare del Fogazzaro di “Malombra” che ci narra la fatale commistione tra credenze fantastiche, letture, amori spasmodici, o, tre secoli prima, del Cervantes del “Don Chisciotte” imbevuto di letteratura cavalleresca, o delle fissazioni librarie narrate da Elias Canetti e da Borges, solo per fare pochi nomi. Ma a livello psicologico, terapeutico, neurobiologico è sempre più forte la tendenza contraria: leggere fa bene all’animo, all’umore, alle relazioni. L’immagine di una lettura che isola, che impedisce i rapporti, che crea mondi paralleli in cui si dimentica la realtà è battuta in breccia da quanti, scrittori, medici, scienziati, sostengono invece che la lettura -e la scrittura, oltre che la parola- è socialità e unione tra gli uomini e anche tra noi e l’altro, natura o animali che siano. Lo scrittore calabrese Saverio Strati nel suo romanzo “Il selvaggio di Santa Venere” racconta la storia di un ragazzo isolato soprattutto per colpa di un maestro incapace che scopre nel contatto con la natura e nella lettura la salvezza dalla solitudine: “si rese conto che tramite le lettere, tramite la scrittura era possibile comunicare con milioni d’uomini”. Pensiero confortato dalle ricerche della medicina e della neurobiologia: il contatto non solo con il libro, ma anche con il quadro, la parola condivisa offrono una felicità documentabile anche attraverso la attivazione di mediatori chimici di dopamine, adrenalina o ormoni “positivi” che trasmettono piacere e voglia di vivere a chi legge, guarda, parla o ascolta. Non solo: la Medicina Narrativa e la Rianimazione Letteraria stanno confermando come la lettura, la parola, l’incontro rappresentino una vera e propria terapia salvavita. Come ricorda il neurobiologo Lamberto Maffei in “Elogio della parola”, il cervello, per funzionare a dovere, ha bisogno di stimoli, di rapporti umani, ma anche di parole, dette o lette attraverso giornali, libri, insomma la scrittura. Non dimentichiamoci che uno dei più celebri incipit, quello del Vangelo di Giovanni, recita: “In principio era il Verbo”. Ora lògos in greco ha molte possibilità interpretative: pensiero, parola, verbo, che certamente sono umane forme linguistiche per suggerire l’indicibile, ma che, guarda caso, apparentano il senso alla parola, sia scritta che detta. E questo, trattandosi del trionfo dell’ordine (còsmos) sul caos è un abissale -e confortante- messaggio sul legame tra parola e divinità, una divinità generatrice (e questo inquietava molto il pensiero manicheo e dualista) della materia stessa. Come affermava l’Italo Calvino delle “Lezioni americane”, è possibile che la parola sia l’unico mezzo per attingere a ciò che altrimenti sarebbe inattingibile. La parola, come ricorda Maffei citando lo psicologo sovietico Vygotskij, è il modo di comunicare il pensiero, come una nuvola che rovescia fiumi di parole. Medicina narrativa, biblioterapia, psicocritica, psicologia in generale, scuola – quando non danneggiata da una burocrazia che ne limita la creatività – medicina, biologia, convergono nell’assegnare alla lettura, alla parola, allo sguardo sulla bellezza del mondo e dell’arte una grande possibilità di accordo con sé e con gli altri: un vero e proprio cammino di guarigione, di crescita, di apertura, in poche parole di vita.