Tracce

I limiti, al di là delle parole

foto Afp/Sir
27 Mag 2024

di Emanuele Carrieri

Olocausto e shoah non sono sinonimi: l’olocausto propone l’idea di un sacrificio inevitabile. Alcuni preferiscono usare la parola h̯urban, che significa distruzione, catastrofe: è uno dei tanti nomi di cui ci si è serviti per riferirsi allo sterminio degli ebrei. Ciò evidenzia tutta la difficoltà di dare un nome all’immensa tragedia. Certe volte non è facile trovare le parole appropriate per descrivere un avvenimento. È quello che sta accadendo in questo tempo. Non ci sono le parole opportune per i trentamila palestinesi uccisi in sei mesi, su ordine di Netanyahu, per gli oltre duecentomila stabili cannoneggiati, fra cui gli ospedali di Gaza, nei quali sono morti forse quattrocento fra medici e infermieri, per il bombardamento degli edifici scolastici e della rete idrica ed elettrica, lasciando la popolazione nel rischio di epidemie e carestie, per il blocco degli aiuti umanitari con il fine di ridurre alla fame milioni di esseri umani. La situazione è diventata così a rischio, fino a che la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha ordinato a Israele di fermare l’offensiva militare a Rafah, la città a sud della Striscia di Gaza dove sono affollate centinaia di migliaia di civili palestinesi, e dove lo Stato israeliano ritiene siano nascosti molti leader di Hamas e decine di ostaggi. La decisione della Corte dell’Onu arriva in risposta a una richiesta presentata dal Sudafrica nell’ambito della sua offensiva legale contro Israele. A fine gennaio la Corte si era espressa con un primo verdetto, ordinando a Israele di prendere misure efficaci ed immediate per prevenire un rischio di genocidio ai danni dei palestinesi di Gaza, pur non qualificando in tal modo l’incursione israeliana in corso e non prescrivendone lo stop. A quattro mesi di distanza, con la pressione militare attorno a Rafah, arriva ora la richiesta di fermare la macchina della guerra in quell’area ad alta densità di popolazione, alla luce della situazione umanitaria disastrosa. Una decisione giunta a poca distanza da un altro importante evento: giorni fa il procuratore della Corte penale internazionale Karim Ahmad Khan, in una requisitoria dettagliata, ha proposto formale istanza di emettere dei mandati di arresto nei confronti del premier di Israele Benjamin Netanyahu, del ministro della difesa Yoav Gallant e dei tre principali leader di Hamas: Yahya Sinwar, Mohamed Deif e Ismael Haniyeh. Dure le accuse: crimini di guerra e contro l’umanità. Netanyahu e Gallant per aver attuato la tattica di assedio e privazione di beni utili per la sopravvivenza dei civili, i leader di Hamas per aver programmato attacchi coordinati e sistematici contro la popolazione civile israeliana. È problematico trovare le parole per descrivere le crisi isteriche scatenate in quasi tutte le cancellerie occidentali e nelle reazioni di alcuni analisti e di diversi osservatori. La più incomprensibile è quella di Dario Fabbri, direttore della rivista di geopolitica Domino, che in un talkshow ha affermato: “Siamo davanti a un caso eccezionale perché, per una volta, la Corte internazionale di Giustizia de L’Aja si schiera in una posizione fortemente anti-occidentale. Un conto è mettere Putin nel mirino, un conto è mettere Netanyahu, che sappiamo quale rapporto abbia con gli Stati Uniti”. Ma davvero si può supporre che gli organismi di giustizia internazionale siano credibili e validi se, a prescindere, sono dalla parte delle democrazie occidentali? E poi, Netanyahu e Gallant non possono essere incriminati perché sono il premier e un ministro di una democrazia occidentale? Non si sa se Fabbri si renda conto del fatto che tutto ciò pone un problema molto importante. Ma le democrazie occidentali hanno dei limiti o no? Possono inventarsi delle armi chimiche inesistenti per assalire l’Iraq? Possono avere nel proprio territorio cittadini armati, i coloni, che cacciano di casa altri cittadini privi di ogni diritto, i palestinesi? Si possono lanciare bombe infischiandosene di quanti civili, donne e bimbi, vengono ammazzati? Può la “grazia santificante” (messa fra virgolette e a lettere minuscole!) della approvazione elettorale rendere penalmente immune un politico che fa reati tanto gravi? Non possiamo sentirci responsabile di quello che fanno i terroristi, come Hamas, ma qualunque goccia di sangue innocente causato da membri della comunità a cui sentiamo di appartenere, ovvero quella delle democrazie occidentali, la sentiamo anche come una nostra responsabilità. Questo è il punto: non c’entra né Israele, né l’antiebraismo, né l’antigiudaismo, né antisemitismo e nemmeno l’antisionismo, ma la concezione che ha l’intero mondo occidentale e democratico di sé stesso e di cosa sia lecito fare e di cosa non sia lecito fare. Di cosa sia una democrazia che è protesa a sbandierare in ogni istante della propria esistenza le proprie superiorità morali rispetto alle autarchie e alle dittature altrimenti non si capisce più quale sia la differenza fra un dittatore qualunque dello stato libero di Bananas (titolo di uno dei primi film di Woody Allen) e il capo di uno stato democratico. Piaccia o no ma agli stati non è consentita la vendetta. Non è consentito standardizzare le responsabilità che sono sempre individuali e che vanno sempre accertate da processi pubblici e con procedure garantite. Non è consentito sterminare i propri nemici. Altrimenti democrazia occidentale diventa soltanto la prepotenza dei ricchi sui poveri. Senza lamentarsi se l’altra parte del mondo ci odia.

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