Hic et Nunc

Moro e la sua lezione ancora da capire in un nuovo saggio di Leonardo Brancaccio

10 Dic 2022

di Silvano Trevisani

La parrocchia di San Pasquale ritrova per un giorno uno dei suoi ragazzi fantastici e lo fa chiamando a raccolta quanti si sono battuti, in questi anni, a partire dal centenario della morte, per tenere viva la sia figura assieme al suo insegnamento. Stiamo parlando naturalmente di Aldo Moro del quale la comunità di San Pasquale, il Centro di cultura dell’Università Cattolica Lazzati e altri enti ed istituzioni celebrarono il centenario con una serie di eventi importanti a partire dal 2016, compresa la grande mostra documentaria che venne esposta anche a Roma e raccolta in un volume.

Ieri sera è toccato alla presentazione del saggio di Leonardo Brancaccio: “Aldo Moro il politico, il professore, il filosofo del diritto” edito da Ecra, che è stato presentato nella Biblioteca Sant’Egidio.

Dopo i saluti di fr. Francesco Zecca, guardiano del convento, e di Valentina Esposito, direttrice dell’Archivio di Stato, si è svolto un dibattito, moderato dallo storico Vittorio De Marco, introdotto dallo stesso autore e al quale sono intervenuti Antonio Troisi dell’Uniba, Leonardo Laterza, consigliere comunale di Acquaviva delle Fonti, Maurizio Sozio, dell’Uniba e Federico Serio presidente della consulta degli studenti. Le conclusioni sono state tratte dal presidente del Centro di cultura, Domenico Amalfitano.

A Leonardo Brancaccio, autore del volume, avvocato, docente incaricato del corso “Il diritto a servizio della pace. La lezione di Aldo Moro” presso l’Istituto Universitario Sophia e segretario generale della Scuola di Economia Civile, abbiamo chiesto:

Quali indicazioni nuove ci propone questo suo saggio?

Ho svolto un lavoro di studio ed approfondimento delle dispense di Filosofia del diritto, le lezioni che Aldo Moro svolge presso la Regia Università di Bari a partire dall’anno accademico 1940/1941 quando, a 25 anni, riceve l’incarico di insegnare questa materia che Moro svolgerà fino al 1963, quando si trasferisce a Roma presso l’Università La Sapienza. Queste lezioni sono poco conosciute, tra l’altro, il libro che le raccoglieva, edito da Cacucci, oggi non si stampa più e quando ho scoperto che Moro aveva insegnato Filosofia del diritto ho subito rintracciato queste dispense ed ho scoperto così un mondo nuovo. In occasione della sua prima lezione del 3 novembre 1941 – siamo in piena guerra con le leggi razziali in vigore – entra in aula, e dopo aver salutato gli studenti del primo anno, afferma “la persona prima di tutto”; parla dei diritti umani e termina la lezione dicendo: “ogni persona è un universo”. In queste frasi c’è l’input e l’incipit della sua vita e della sua morte. Dopo aver letto queste lezioni, ho cercato di capire cosa ha fatto Moro, di approfondire la sua attività politica ed istituzionale dal 2 giugno 1946, quando viene eletto all’Assemblea Costituente, fino al 16 marzo 1978, giorno in cui è rapito dalle Br (quando Moro muore – il 9 maggio 1948 – ho solo tre anni e mezzo): ho potuto verificare che Moro mette in pratica queste lezioni di Filosofia del diritto, con la centralità della persona, con l’etica che permea tutta l’azione politica. In Moro, il pensiero è azione ma anche l’azione è pensiero.

In che misura era stata capita la lezione di Moro, già in tempi di fascismo e poi nell’Italia democratica?
Secondo me, da quello che ho avuto modo di verificare in questi anni, tante persone hanno apprezzato la grandezza di Moro, che è stato un grande mediatore e politico, ma solo pochi lo hanno capito fino in fondo. Se i cosiddetti colleghi di partito lo hanno abbandonato negli ultimi 55 giorni, è perché non l’hanno capito fino in fondo: loro pensavano che Moro avesse chissà quali idee innovative. No, Moro voleva aiutare la democrazia italiana a fare dei passi avanti – a raggiungere la cosiddetta democrazia compiuta – e per questo cercava di individuare, e proporre a livello politico, quali fossero le forme migliori per poter garantire stabilità alla Repubblica italiana. Anche il compromesso storico è stato considerato da alcune persone, e anche da alcuni esponenti delle correnti interne della Dc, come una iniziativa da ostacolare, ed interrompere a tutti i costi, mentre lui stava cercando di far comprendere a tutti che, dopo anni in cui la democrazia italiana si era espressa con un solo partito al governo, o solo con alcuni partiti, era giunto il momento, vista la crescita di due partiti popolari (la Dc ed il Pci), di allargare la base di governo e che, in futuro, la democrazia compiuta si sarebbe dovuta realizzare anche attraverso la cosiddetta alternanza.

Ma non è che questa sua disponibilità al cambiamento gli ha inimicato i potentati? Come del resto avviene anche oggi regolarmente?

Certo, perché all’interno della democrazia italiana, nella giovane Repubblica nata nel ’46, vi erano delle frange, di destra e sinistra, pronte a destabilizzare il sistema democratico. Moro, dopo il ventennio fascista, lavora, insieme a tanti altri politici per il bene comune, per realizzare la democrazia: ma molti lo hanno ostacolato già negli anni Sessanta, quando propose la formula governativa del centrosinistra: molti hanno dipinto all’esterno la figura di un politico che voleva fare cose “strane” per il Paese. Queste false rappresentazioni sono state utilizzate dalle frange estreme – che negli anni di piombo utilizzavano la violenza per destabilizzare la democrazia italiana – per giustificare la sua eliminazione.

In questi giorni si è molto discusso su Moro alla luce dello sceneggiato di Marco Bellocchio. La polemica che ne è scaturita ha delle sue ragioni o bisogna considerare, come alcuni sostengono, il lavoro come “artistico” più che analitico?

Bellocchio è un bravissimo regista. Ci ha fatto rivivere gli anni di piombo e della strategia della tensione. Nel suo sceneggiato si sofferma molto su alcune figure: la moglie di Moro ed i suoi familiari, il Papa, i vari brigatisti e, in particolare, la brigatista Faranda. Ci sottopone gli aspetti psicologici ed i drammi che vivono queste persone; ci propone anche la sceneggiatura di alcuni passaggi drammatici di Moro, come per esempio, la confessione finale con il sacerdote. Io apprezzo il lavoro svolto da questo grande registra ma il focus dei film su Moro è sempre lo stesso: gli ultimi 55 giorni, tragici, della sua vita. Credo però sia arrivato il momento che i produttori ed i registri italiani inizino a progettare un film che ci presenti la vita di Moro: dal giorno della sua nascita (Maglie 23 settembre 1946) al giorno del suo rapimento (Roma 16 maggio 1978). Con il mio libro ho desiderato soffermarmi sul pensiero, sulle opere e sulla testimonianza di Moro. È arrivato il momento di restituire a Moro la sua voce e la sua vita. Moro ha ancora ha molto da insegnare a tutti noi.

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