Diocesi

L’omelia di mons. Santoro per l’inizio del ministero di coadiutore di mons. Miniero

foto G. Leva
19 Dic 2022

Eccellenze reverendissime,

amato arcivescovo coadiutore mons. Ciro Miniero,

caro presidente della Conferenza episcopale campana mons. Antonio Di Donna, eccellenza mons. Antonio de Luca, vescovo di Teggiano Policastro,

Eccellenza mons. Sabino Iannuzzi, vescovo di Castellaneta

Carissimi sacerdoti tra cui saluto il mio sin ora vicario generale mons. Alessandro Greco, l’arcidiacono del Capitolo metropolitano mons. Emanuele Tagliente e tutti i canonici, i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi

Eccellenza sig. prefetto Demetrio Martino; signor Sindaco e presidente della Provincia di Taranto Rinaldo Melucci, stimate autorità civili e militari

Carissimi fedeli tutti

siamo ormai alla quarta domenica di Avvento. Il compimento di questo tempo liturgico sarà il santo Natale che celebreremo domenica prossima.

In questa luce di trepidante attesa e fiducia incontriamo l’ultimo dei patriarchi, il falegname di Nazareth, patrono della Chiesa universale, San Giuseppe.

Così come nell’annuncio a Maria risuona anche qui l’invito a non temere. L’Avvento è un cammino gioioso, di liberazione da ogni paura che ci insegna gradualmente che Dio ci è vicino e che ci vuole bene. Non sarebbe il nostro Dio se non fosse l’Emanuele, il Dio con noi. Le nostre vite sono colme dell’azione dello Spirito Santo, che compie prodigi per i poveri, per gli ultimi. A questi dona dei segni perché il sole del mattino è ormai vicino.

È nel segno di San Giuseppe, custode del Redentore e della Chiesa, che oggi, in un clima natalizio e familiare, viene presentato alla Chiesa di Taranto l’arcivescovo coadiutore, Ciro Miniero.

Siamo pieni di gioia e nel salutarlo desidero innanzitutto riprendere la Bolla pontificia con cui papa Francesco lo ha nominato arcivescovo coadiutore di Taranto in cui afferma: “Abbiamo guardato alla comunità della Chiesa metropolitana di Taranto il cui vescovo, il venerato fratello Filippo Santoro, volendo provvedere ad un più pieno e fecondo bene spirituale del gregge a Lui affidato, ha decisamente richiesto di poter fruire di un aiuto che lo coadiuvasse nella moderazione della vita diocesana. Abbiamo quindi pensato a te, venerato fratello, che hai mostrato di essere adornato da doti umane e sacerdotali e da perizia nella gestione delle diverse questioni da affrontare, che ci sei meritatamente apparso idoneo a ricevere quest’ufficio pastorale”.

Dalla bolla papale si evidenzia che l’iniziativa di chiedere un coadiutore è stata “decisamente richiesta da me” per un aiuto alla comunità tarantina. La ragione della mia richiesta è stato il fatto che lo scorso anno il Papa mi ha dato l’incarico di delegato speciale per l’associazione laicale Memores Domini, composta da duemila persone sparse per il mondo, dall’Europa, alle Americhe, alla Russia, alla Ucraina, con comunità in Cina e Giappone.

Allo stesso tempo il Papa riconosce le doti umane e sacerdotali e la perizia di sua ecc. mons. Miniero come mio coadiutore. E questa è una grazia particolare per tutta l’arcidiocesi di Taranto.

Accogliendo S.E. mons. Miniero, vorrei brevemente presentargli l’arcidiocesi e tutta la comunità tarantina.

Taranto come tutte le città di mare è di rara bellezza e potenzialità, se ne fa una narrazione spesso ingenerosa che la confina nei suoi problemi e cerca di offuscare lo sguardo della speranza. In questi anni gli sforzi sono stati quelli di rendere giustizia a questa terra soprattutto restituendole il diritto al futuro e alla guarigione.

Abiteremo insieme a Taranto vecchia, un’isola che custodisce il dna di tutta la città ed è un concentrato di storia e di contraddizioni che siamo chiamati a benedire.

In questi undici anni abbiamo lavorato per ridare voce ai pochi abitanti dell’Isola perché fossero ascoltati nelle loro fragilità (emergenze abitative, dispersione scolastica, disoccupazione, crisi del comparto della pesca e della mitilicultura) unite ai problemi dell’illegalità, del degrado e purtroppo della droga, una pianta maligna che bisogna estirpare con ogni sforzo qui come in tante altre nostre periferie.

Alle spalle della nostra abitazione ho voluto fortemente al termine del Giubileo della Misericordia, il Centro di accoglienza notturno San Cataldo vescovo, con il coinvolgimento di tutta la diocesi: parrocchie, associazioni, movimenti, confraternite e di tante persone di buona volontà. È un palazzo nobiliare restaurato con cura perché abbiamo pensato che i poveri in primis hanno diritto alla bellezza! Un bene artistico che diventa un bene sociale.

Di Taranto vecchia ti conquisteranno i nostri bambini, la spontaneità di queste famiglie, la loro semplicità e la loro genuinità e la grandiosità del patrimonio di arte e di storia. La Chiesa è un perno importante, un baluardo, nello spopolamento avvenuto negli ultimi decenni e nell’attenzione dovuta di questi ultimi tempi, che la vede al centro di importanti e lunghi lavori di risanamento. Siamo chiamati a custodire l’identità di un popolo meraviglioso.

La Chiesa di Taranto è viva, le parrocchie anche dopo la dura prova della pandemia, reagiscono con forza ed entusiasmo, guidate dai nostri sacerdoti: un clero preparato e generoso. Vi è una devozione autentica radicata, che risplende nei periodi liturgici forti specie durante la Quaresima e il Triduo Santo, le confraternite non sono retaggio del passato ma esperienze di fede attuali che mostrano un volto bello di questa città. Le parrocchie dei nostri paesi, sono testimonianze di fede e di laboriosità. La Chiesa di Taranto in questi anni mi ha riempito della soddisfazione di essere padre così come sicuramente lo sarà con te.

Ma è al di là del Ponte di pietra verso il quartiere Tamburi che si addensano da sempre le nostre preoccupazioni e il nostro lavoro. Sono stati e lo sono ancora anni complicati del rapporto di Taranto con lo stabilimento siderurgico.  Taranto è sotto un ricatto occupazionale da anni, un’ingiustizia indicibile se si pensa che è chiamata a scegliere fra il lavoro, la salute e l’ambiente. Tralascio tutti i cambiamenti di scenari degli ultimi anni, che sembrano farci tornare al punto di partenza. La Chiesa non è stata a guardare, fin dal primo sequestro non abbiamo fatto mancare la voce di denuncia ma anche il tentativo continuo di trovare una soluzione. Abbiamo fatto in modo, e credo si sia visto, che l’Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, non sia un problema dei tarantini ma dell’Italia. Ho chiesto in prima persona che i ministri fin dal 2012 venissero qui ad incontrare la dura realtà: quanti ne sono passati, quanti ne abbiamo ascoltati! All’inizio spesse volte mi sono chiesto se ciò competesse al mio ruolo di pastore, poi la Laudato si’ di Papa Francesco mi ha soccorso incoraggiandomi, dando un nome a tutto quello che cercavo di comunicare fuori dalla città dei Due mari: l’Italia ha un debito ecologico enorme con questa città. Non dobbiamo stancarci specie in questo momento di rassegnazione e di stagnazione. Non dobbiamo permettere a nessuno di sottrarre la dignità alla nostra gente. La Settimana sociale vissuta a Taranto ha acceso la speranza che questa città da un problema diventasse un modello. Lo dobbiamo continuare a sperare. Dobbiamo continuare a consumare la suola delle scarpe, come ho detto a cominciare dal pontificato di papa Benedetto; dobbiamo continuare ad ascoltare gli ammalati e quelli che chiedono un lavoro. Se Chiesa in uscita deve essere, il nostro posto è in un annuncio inclusivo, diretto, coraggioso, che in questi anni non mi ha risparmiato, oltre che da soddisfazioni, da critiche e malintesi.

Così come in quel 5 gennaio del 2012, data dell’inizio del mio ministero qui a Taranto, voglio ribadire che prioritario è stato rendere possibile sempre e comunque l’abbraccio, l’incontro di Cristo a tutti coloro che incontriamo!

Simbolicamente ho desiderato che all’inizio di ogni anno pastorale tutti insieme ci recassimo in pellegrinaggio, migliaia di tarantini in cammino fuori dalle loro parrocchie, semplicemente perché ci allenassimo alla sinodalità, anche quest’ultima benedetta in maniera profetica dal nostro amato papa Francesco. Stiamo bene e riparati nelle nostre belle parrocchie ma la missione è fra le strade, in mezzo ai poveri e purtroppo ancora in mezzo alle polveri!

Di una cosa Eccellenza, rimarrai sempre edificato, ovvero della generosità della nostra gente. Io ho negli occhi gli slanci del cuore per l’emergenza migranti e per le famiglie in difficoltà durante il Covid.

Oggi noi da fratelli ci incamminiamo in una situazione inedita nella guida della diocesi nella quale mi affiancherai come coadiutore. È una prova molto pratica del cammino sinodale.

Lasciami pensare ai nostri legami che sono così veri e così profondi. Legami di santità innanzitutto.

A Grottaglie abbiamo un santo venerato a Napoli, san Francesco de Geronimo e a Napoli ha operato un figlio della nostra terra il nostro sant’Egidio Maria da Taranto, battezzato in questa cattedrale. Anche san Nunzio Sulprizio che è esposto alla venerazione a Napoli è diventato santo per un miracolo ricevuto da un tarantino.

Sono anche legami di bellezza e di arte. Due compositori tarantini hanno contribuito a fare grande Napoli nel mondo, Giovanni Paisiello e Mario Costa, cresciuti in questi vicoli.

La cattedrale è uno scrigno di arte napoletana, il cappellone con i suoi marmi e le sculture di Giuseppe Sammartino ti faranno sentire a casa. Come anche i pregevoli affreschi e dipinti del pittore del Cilento, Paolo De Matteis.

 Il legame più profondo è quello della fraternità in Cristo che oggi viviamo in questa bella liturgia che ci ricorda che amare, governare è solo servire.

Il Vangelo di Matteo ci parla del sogno di san Giuseppe che non voleva risolvere la questione della gravidanza di Maria con il codice della legge ebraica che prevedeva la lapidazione e nemmeno appena col cuore dello stesso Giuseppe che, “poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto”.

Non soddisfa quanto impone il codice e nemmeno quanto suggerisce il cuore; entra in azione un altro elemento che illumina tutto con un orizzonte più grande: lo Spirito di Dio attraverso un sogno. E Giuseppe si affida. “Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 20-21).

 E Giuseppe accoglie il sogno di Dio che nella potenza dello Spirito diventa la salvezza di tutti noi. Ho in casa mia vicino al porta chiavi una piccola scultura, diffusa in America latina e molto cara a papa Francesco, di san Giuseppe dormiente su un cuscino bianco che si affida sereno all’opera di un Altro. Quando c’è un grosso problema o una decisione importante da prendere metto sotto il cuscino bianco la questione che mi agita e mi affido al piano di Dio. E il Signore risponde al di là di quanto io avevo pensato. E così si compie l’avvento del Signore.

Cara eccellenza mons. Ciro cominciamo insieme questo percorso sinodale indicando al nostro popolo il cammino della speranza che offre a tutti la vicinanza di Dio anche nei momenti bui come questa ingiusta e terribile guerra in Ucraina e Lui ci sostiene.

Ci protegga la Madonna della Salute, della quale ho aperto al culto uno splendido tempio sempre qui nella Città vecchia.

Ci protegga san Giuseppe, egli custodisca la nostra Chiesa diocesana come ha custodito la Vergine Maria.

Infine ci protegga il nostro amato patrono san Cataldo.

Cara Eccellenza, sei il benvenuto tra noi; questo popolo con i fedeli laici, con i sacerdoti, i diaconi, religiosi e religiose ti abbraccia e ti accoglie con tutto il cuore.

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