Emergenze sociali

Accordo in Ue sul “price cap” del gas “anche se il tetto è molto elevato”

Varata l’intesa europea sul tetto al prezzo del gas, ma per Francesco Timpano, ordinario di Politica economica all’Università Cattolica, “il limite massimo è così elevato che non servirà azionarlo nel breve periodo”

foto Ansa/Sir
21 Dic 2022

di Alberto Baviera

L’Unione europea ha finalmente trovato l’intesa e, ieri, i ministri dell’Energia dei 27 hanno deciso di fissare un tetto massimo ai prezzi del gas naturale a 180 euro per mwh. Affinché il meccanismo venga attivato sulle contrattazioni a uno, tre e dodici mesi, i prezzi del gas dovranno essere superiori al tetto fissato per tre giorni e anche di 35 euro al prezzo del gas liquefatto (Gnl), sempre per tre giorni. Lo strumento potrà essere applicato dal 15 febbraio prossimo. Con Francesco Timpano, ordinario di Politica economica alla facoltà di Economia dell’Università cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza, abbiamo cercato di capire di più circa il significato e le prospettive dell’intesa. Sulla quale l’Ungheria di Orban si è detta contraria mentre Paesi Bassi e Austria si sono astenuti.

Professor Timpano, che significato ha il risultato ottenuto ieri? Come lo giudica?

È un fatto positivo che si sia raggiunto un accordo sul principio. Anche se il prezzo è molto elevato e sono previste una serie di condizioni al contorno che devono ricorrere per l’attivazione che sono poco probabili.

Direi che è stata scelta una strada non particolarmente stringente, per alcuni versi. Nell’attesa di capire come si concretizzerà, colpisce la reazione molto pesante della Russia che attesta che l’applicazione del “price cap” qualche effetto ce lo avrà. Già nelle primissime ore le quotazioni sono scese, confermando l’idea che fissando un tetto i prezzi si sarebbero raffreddati.

Il prezzo del gas è in costante diminuzione rispetto ai picchi di fine agosto (sfiorò i 346 euro il 26 agosto) e in questi giorni non è molto distante dai prezzi di un anno fa…
Siamo comunque a 5 volte il prezzo di partenza di tutta questa storia, il cui avvio è precedente al 24 febbraio quando ha avuto inizio la guerra. Siamo partiti con quotazioni attorno a 20 € e oggi siamo sui 100 €.

Il prezzo attualmente è ancora molto alto, non prevedo che a breve ci siano dei ridimensionamenti significativi.

In ogni caso, molto dipenderà da variabili che sappiamo essere cruciali in questo ambito: temperature, fonti alternative e domanda in Cina. Se la richiesta cinese riesplode, il rischio che i prezzi vadano di nuovo su è molto concreto.

Ha fatto riferimento alla reazione russa all’approvazione del meccanismo. Secondo lei il “price cap” creerà distorsioni nel mercato come paventato da Mosca?
Se non ricordo male l’ex ministro Cingolani parlava di “price cap” a 50 € o a 80 € augurandosi che la forza del compratore unico potesse confrontarsi con la forza del venditore quasi-unico. È improprio invocare il mercato in una situazione nella quale c’è una rigidità nell’approvvigionamento, perché noi siamo di fatto dipendenti da un unico fornitore – oggi molto meno rispetto ad un anno fa. Il mercato è tale quando sul contratto tra domanda e offerta non interferisce un eccessivo potere di mercato. Nell’attuale situazione, francamente, è difficile dire che non ci sia – per il momento – un eccessivo potere di mercato, frutto anche della scelta politica di approvvigionarsi dalla Russia. L’Europa in passato ha preso questa decisione per motivi geopolitici, commettendo un errore clamoroso alla luce di quelli che sono i fatti attuali. La controparte ha cambiato i termini del gioco e trovo abbastanza ragionevole che si tenti la strada che non è quella classica di mercato, imponendo un “price cap”. Fa comunque sorridere sentire i russi invocare il mercato e preoccuparsi per le sue sorti. In ogni caso, un meccanismo di “price cap” può avere degli effetti pericolosi; perché se la controparte non accettasse il tetto al prezzo noi potremmo andare in difficoltà. Ma non è una questione all’ordine del giorno, perché il tetto è così elevato che non servirà azionarlo nel breve periodo.

Ci sono altri fronti sui quali è necessario intervenire per avere una maggior sicurezza energetica?
Il vero punto è se si riesce veramente ad implementare il compratore “unico” che possa trattare alcuni aspetti con la forza dell’Europa unita. Quello che purtroppo ancora manca è una struttura complessiva della strategia industriale che consenta all’Ue di sedersi al tavolo con un potere contrattuale maggiore rispetto a quello attuale anche per contrastare l’arroganza russa.

Avere imposto un “price cap” come quello che è stato costruito, quasi fatto apposta per non dover essere utilizzato nei prossimi mesi, è comunque un segnale che l’Ue si è messa d’accordo.

Anche se rimane la contrarietà dell’Ungheria e l’astensione di Austria e Paesi Bassi; e questo è assolutamente inaccettabile. Ritengo positivo che il nostro Governo – che ha un segno politico uguale a quello dei Governi non favorevoli alla posizione maggioritaria – abbia mantenuto la linea del governo Draghi.

Guardando al 2023, possiamo stare moderatamente tranquilli?
Non vedo grandi novità e questo un po’ mi preoccupa. L’unica cosa certa è che sta partendo il lavoro sui rigassificatori e avremo entro il 2023 una prima e nel 2024 una seconda piattaforma di rigassificazione. Si tratta di una diversificazione importante. Non ci sono state grandi novità sul fronte rinnovabili, sul quale è urgente accelerare in modo pesante rispetto alle autorizzazioni per l’installazione. E lo si deve fare anche grazie alle risorse del Pnrr che erano già destinate in questa direzione.

C’è altro che la preoccupa?
La vicenda con il Qatar. Spero che da lì non vengano grandi problemi perché bisogna tener presente che il gas naturale liquefatto (Gnl) noi italiani lo prendiamo in buona misura dal Qatar. Quanto sta avvenendo è un elemento di forte preoccupazione. È chiaro che nell’operazione di diversificazione messa in campo siamo andati nella direzione di Paesi da cui acquistiamo con un rischio politico alto: questo vale per il Qatar ma anche per i Paesi del Nord Africa.

Comprare a rischio politico nullo, purtroppo, in questo momento è complicato perché tutti i Paesi che detengono materie prime hanno problemi non molto diversi da quelli che abbiamo vissuto con la Russia. Per questo la diversificazione in diverse fonti è fondamentale.

Spero che la politica, complessivamente, sia all’altezza della sfida in modo tale da evitare che si replichino gli errori che si sono fatti con la Russia.

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