Se bastasse una sola elezione …
Due appuntamenti elettorali, in un breve periodo di tempo, in due paesi europei: di primo acchito ai progressisti è andata di lusso. Ma a guardare meglio, le cose sono più macchinose. Nel Regno Unito, grazie al sistema uninominale maggioritario secco a turno unico, il partito laburista ha ottenuto una maggioranza di seggi mai avuta: con il 33 per cento dei voti ha conseguito il 63 per cento dei seggi. Quanto ha vinto in forza del programma e quanto per l’insuccesso del rivale? Il bilancio di quindici anni di governo conservatore, pur al netto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, è tragico: corruzione e affarismo senza freni, l’impoverimento generalizzato, il declino economico, il degrado dei servizi e i disagi nelle carceri. Il governo dei ricchi ha aiutato i pochi ricchi e ha causato un fiasco. Il partito laburista di suo ci ha messo davvero poco. Il primo ministro Starmer, eletto leader del partito laburista per rimpiazzare Corbyn, che aveva alquanto disturbato l’establishment, si è messo all’opera con zelo spietato. Ha, però, avuto mezzo milione di voti in meno di Corbyn nel 2019, pur con il ritorno al partito laburista degli elettori scozzesi. Nessun recupero fra i ceti bassi e disagiati dell’elettorato, che, dopo essere, in parte, emigrati verso i conservatori, ora hanno trovato rifugio in Reform UK, formazione euroscettica, populista e sovranista, che non ha ottenuto un gran risultato, ma ha preso più di quattro milioni di voti. Cosa assicura Starmer? Solo un governo meno corrotto di quelli conservatori, qualche rammendo ai servizi pubblici, trattamenti meno disumani verso i migranti e una decisa continuità in politica estera, guerra inclusa. Scarsa l’adesione degli elettori: è più elevato il tasso di astensione nella storia del suffragio universale, concentrato soprattutto fra i ceti più sfavoriti. Diverse e più complicate sono le circostanze in Francia, in cui vige il sistema uninominale maggioritario a doppio turno. Sono state votazioni di grande mobilitazione: in effetti hanno votato due iscritti su tre. Ma spiccano altri affari degni di nota. Il primo è la crescita della destra, che però contro le attese non ha vinto, ma ha svuotato per metà la destra moderata, il secondo è la resurrezione del centro, capitolato alle europee, e infine la resistenza della sinistra. Lo sdoganamento del Rassemblement National, condotto anzitutto dai grandi mezzi di comunicazione di massa, è riuscito. Il suo trionfo è fondato sulla occupazione della provincia e contano diverse variabili: i coltivatori conservatori, le vittime della desertificazione industriale, ma, come manifestato dal dissenso dei gilet gialli, la variabile più importante è la assenza di servizi pubblici. Le aree interne, remote e depresse, in un paese esteso come la Francia hanno dimensioni smisurate: è condensata in quelle aree quella parte di popolazione cacciata dai centri urbani per la mancanza di alloggi a prezzi avvicinabili. È una pericolosa combinazione di esclusione e di declassamento, a volte solo potenziale, che alimenta razzismo e astensione. Ed è pure una sorta di rivalsa di chi è stato abbandonato non solo dallo Stato, ma anche dai partiti progressisti e che ora ha battuto un colpo. E, così, reagendo allo scioglimento anticipato e avendo in tasca un piano comune, tutti insieme hanno incrementato il risultato rispetto alle europee e guadagnato più di tre milioni di voti sulle legislative del 2022. Quando è stata ordinata la strategia del fronte repubblicano contro il Rassemblement National, basata sulle desistenze a favore dei candidati più votati al primo turno, l’hanno rispettata ben oltre il cinquanta per cento dei centristi. Sono lontani i tempi dei bottini elettorali di Hollande: il Nuovo fronte popolare è l’alleanza con più voti e seggi, ma è distante dalla maggioranza e paga l’abbandono dei ceti sfavoriti e del segmento inferiore delle classi medie. Ha, in futuro, possibilità di rimonta? Dipende dalla strategia adottata. La stratificazione sociale è mutata e l’inasprimento della vita politica ha amplificato il suo sradicamento territoriale. È stato un successo inatteso, che ha scompaginato i piani di Macron. Come governare un parlamento siffatto? Le possibilità sono poche, se si vorrà tener fuori il Rassemblement National. Macron ha invitato i partiti a una prova di responsabilità e suggerito un accordo fra le forze politiche repubblicane e senza Mélenchon. Il personaggio è scomodo, per le sue pose tribunizie, il suo autoritarismo e per il suo seguito nei ceti popolari e deve la sua fortuna dall’attenzione mediatica. A sinistra è la figura più spesso in tv, anche sulle reti moderate e di destra. Si sbriciolerà il Nuovo Fronte Popolare? Sarebbe possibile una intesa sinistra-centro ma l’area di centro è molto eterogenea. Una cosa è la leadership, un’altra gli elettori. È certo che una parte importante dei ceti benestanti sia contraria al ripristino dell’imposta sulle maxi fortune e sulle rendite finanziarie, in cambio di scuole e ospedali?