Una ferita sanguinante, fra parole e silenzi
Succede anche questo. Accade anche di vedere un documentario in tv e di passare la notte totalmente insonne. Ore e ore a girarsi e a rigirarsi. E soprattutto capita a chi aveva già messo piede nel suo terzo decennio di vita. Nella storia del nostro Paese ci sono diverse tragedie che non sono state ancora pienamente rielaborate. Ferite che, periodicamente, si riaprono generando polemiche. Fra questi gravissimi traumi c’è la strage di Bologna, di matrice neofascista: il 2 agosto 1980 alle 10,25 alla stazione Centrale una bomba uccise 85 persone e ne ferì 200. Fra le persone morte, c’era Maria Fresu, di 24 anni. Quella mattina era alla stazione di Bologna assieme alla figlia Angela, di 3 anni, e due amiche. Andavano in vacanza. Come per le altre 83 persone, l’esplosivo troncò la sua vita e quella della bimba. Angela fu la vittima più giovane. Per Maria, però, ci fu un sovrappiù di orrore: il corpo non si ritrovò. Disintegrato, polverizzato, dissolto. È stato il più grave atto terroristico, nel nostro Paese, nel secondo dopoguerra. Per lo sterminio sono stati condannati, con sentenze definitive, i terroristi Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ai tre si aggiunge Gilberto Cavallini che a settembre del 2023 è stato condannato all’ergastolo anche in Appello. Tutti sono stati nei NAR, i Nuclei armati rivoluzionari, e hanno militato, prima di aderire alla lotta armata, nel FDG, il Fronte della gioventù, e nel MSI, il Movimento sociale italiano. Le conclusioni dei giudici hanno detto, inoltre, che esecutore materiale della strage fu anche Paolo Bellini, già impegnato di AN, Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo, un mese fa, dalla Corte d’assise di appello di Bologna. I mandanti sono invece stati individuati in vertici dei servizi segreti deviati e nella loggia massonica “Propaganda Due”, di Licio Gelli, che finanziò l’attentato. Dal palco nel capoluogo emiliano, nel 44° anniversario dell’attentato, venerdì mattina, Paolo Bolognesi – che nella strage ha avuto quattro persone coinvolte: la suocera è stata uccisa, la madre, il suocero e il figlio sono stati feriti in modo grave, riportando importanti invalidità e presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della stazione di Bologna – ha affermato: “Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo”. La premier Meloni, in quella occasione, ha seguito un percorso già tracciato. Il Cavaliere per antonomasia, nel 2009 non aprì la Fiera del Levante e parecchi pensarono che Berlusconi volle deliberatamente evitare di andare a Bari e trovò la soluzione con i funerali di stato per il presentatore Mike Bongiorno. Anche il 28 maggio a Brescia, alla cerimonia per il 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia, la premier era assente: era a Caivano perché – questa è la sua affermazione – “ero andata nei mesi scorsi a prendere un impegno con i cittadini e poi dovevo tornare per mantenerlo”. Assenze e presenze spazzate via dall’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
“L’intento immediato degli attentatori era chiaro: punire e terrorizzare chi manifestava contro il neofascismo e in favore della democrazia. L’obiettivo di quel turpe attentato era, inoltre, un messaggio e un tentativo di destabilizzazione contro la Repubblica italiana e le sue democratiche istituzioni. Con quella bomba si volevano fermare le conquiste sociali e politiche. Gli ideatori, gli esecutori, i complici di quella strage volevano riportare il tempo indietro: a una stagione oscura, segnata dall’arbitrio della violenza, dalla sopraffazione, e sfociata nella guerra.”
La replica di Giorgia Meloni – assente alla celebrazione perché “in tutt’altre faccende affaccendata” – al discorso di Paolo Bolognesi non si è fatta attendere: “Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo”. E ha aggiunto: “È pericoloso, anche per l’incolumità personale”. Fratelli d’Italia è l’erede del MSI in cui militarono proprio gli attentatori della stazione. Se questa è, ed è innegabile, una evidenza, una verità, è altrettanto evidente e fuori luogo attribuire una qualunque corresponsabilità dell’attuale destra di governo con il terrorismo nero. Il fulcro principale di tutto è un altro: da attivisti del partito di maggioranza la pista nera della strage, corroborata da sentenze in giudicato, è però stata più volte messa in dubbio. Azione studentesca, il movimento di cui Meloni è stata responsabile nazionale, nel 2020 scriveva sui social: “Nessuno di noi era a Bologna”. Simile è l’affermazione della presidente della commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, la nomina della quale è stata ritenuta inopportuna al massimo livello per una foto con Luigi Ciavardini, uno dei condannati per l’attentato: “Non intendo alimentare nessuna polemica. La risposta è anagrafica: io sono nata nel 1986”. No. Non si tratta di una responsabilità penale che è individuale e personale. Si tratta di una responsabilità civile collettiva, di responsabilità morale, politica e storica. Da chi ricopre ruoli istituzionali ci si aspetterebbero parole chiare su una vicenda così tragica, su un lutto eterno, senza tempo. Rimuovendo il lutto si arriva a rendere banale la morte e a svalutare il dono della vita.