Tracce

Un passato che adesso fa paura

Foto AFP/SIR
09 Ago 2024

di Emanuele Carrieri

È dal 31 luglio scorso, cioè dal giorno della morte di Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas assassinato, insieme alla sua guardia del corpo personale, nella capitale iraniana Teheran da un attentato di chirurgica precisione, che il mondo sta attraversando una nube di preoccupazione che, da molti anni, non era così pericolosa. Stiamo assistendo, impotenti e impauriti, ai preparativi di una guerra che, a parole, nessuno vuole ma che, a forza di dirlo e di ridirlo, sta, pian piano, diventando quasi inevitabile. Gli Stati Uniti e diversi dei loro alleati stanno posizionando le loro forze armate nella previsione di doversi schierare accanto a Israele in quello che ha tutta l’aria di essere un imminente conflitto con l’Iran. Il governo degli ayatollah, che dopo l’attentato a Teheran contro il leader di Hamas Haniyeh, ha assicurato una tremenda vendetta, non rimane certo inattivo: è inquietante e preoccupante l’incontro fra il neopresidente Masoud Pezeshkian e l’ex ministro della Difesa e segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Sergej Sojgu, che preparerebbe la strada alla fornitura agli iraniani dei più ammodernati sistemi di difesa antiaerea. Inquietante e preoccupante perché, se il passo di Mosca trovasse conferme, provocherebbe due gravi ripercussioni. Da una parte, potrebbe terminare per sempre una lunga stagione di concordia amichevole fra Russia e Israele: Netanyahu è secondo soltanto a Xi Jinping per numero di incontri con Putin, e l’URSS fu il primo paese a riconoscere lo Stato di Israele. Dall’altra parte, poi certificherebbe una intesa a vasto raggio con l’Iran tale da mettere in pericolo numerosi altri equilibri, con inevitabili scossoni in tutta la regione mediorientale. Le mediazioni e i contatti per evitare una guerra vera, totale, sono, in questi giorni, frenetici. Quello che tutti cercano, o, quanto meno, sperano, è un contenimento della crisi, o una specie di replica di quanto che avvenne nell’aprile scorso, cioè quando l’Iran portò a segno un previsto, e prevedibile, attacco con i droni e Israele rispose con una incursione su obiettivi limitati. Più passano i giorni e l’ansia cresce, più si intensificano le provocazioni e più si moltiplicano le speculazioni politiche sulla crisi, e più arduo diventa domandare e ottenere moderazione. Pesano sul presente, e sui possibili sviluppi futuri, le troppe leggerezze e i troppi abbagli del passato. Ma davvero gli Stati Uniti non si sono mai accorti della continua deriva reazionaria, oscurantista, bellicista e autocratica di Israele, o meglio, del suo attuale governo? Davvero Netanyahu era convinto che Israele non avrebbe mai subito una sola rappresaglia per le tante, troppe espropriazioni di territorio palestinese a favore dei coloni? Alla luce di quanto è finora accaduto, di quanto tuttora sta accadendo, come assolvere la esecrabile decisione di Trump di far uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, accordo che, secondo gli osservatori esterni (Onu e Ue, per esempio), stava ben funzionando e aveva portato l’Iran sotto i controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica? E che dire poi del Congresso USA che applaude fino a spellarsi le mani Netanyahu quando, con convinzione, dichiara – i bugiardi sono fenomenali quando dicono le bugie a sé stessi e finiscono, poi, per crederci – che, nella Striscia di Gaza e in modo particolare a Rafah, i militari delle forze di difesa israeliane non ammazzano i civili ma li salvano? E ora le fazioni e le milizie dell’arcipelago palestinese, oggi impegnate, prima di tutto e più di tutto, a sfruttare gli aiuti arrivati dall’esterno, sono davvero soddisfatte di quanto hanno ottenuto per la loro gente? La verità è che troppi protagonisti importanti hanno trafficato – di nascosto o alla luce del sole – per il conflitto e, adesso, cercano di disinnescare le micce che prima si sono sforzati di infiammare. Molti paesi arabi hanno, per molto tempo, amoreggiato con l’idea folle, che ancora adesso è fortemente presente non solo fra i terroristi di Hamas ma anche fra troppi palestinesi “normali”, di vedere, un giorno o l’altro, scomparire Israele: serviva, a quei paesi, per dilatare il prezzo nella contrattazione con gli Stati Uniti, per il riconoscimento dello Stato di Israele. Altri, per esempio quelli dell’Unione Europea, se ne sono lavati le mani al riparo della formuletta pilatesca “Israele ha tutto il diritto di difendersi”, senza domandarsi chi mai avrebbe protetto i palestinesi dalle prepotenze del tanto più forte coinquilino, da una espansione illegale che prosegue dal 1967, senza domandarsi se e come, in quelle condizioni, si sarebbe potuta affermarsi la formula “due popoli, due stati” che si ripete come un inutile mantra. Ma c’è di più: nessuno, nel quadro politico mondiale, ha avuto il coraggio o gli opportuni attributi di dichiarare che “nessuno ha il diritto alla rappresaglia, alla vendetta”: è una legge universale, è un principio universale del diritto. Così, siamo arrivati fino a questo punto, sotto una questa nube di paura, non per via di una casualità ma proprio perché abbiamo quel passato. Così, la nostra incapacità di tornare sui passi perduti è tale che, oltre all’azione, abbiamo perso anche il pensiero, anche la parola. Così, mentre ipotizziamo chi attaccherà chi e quando, non raccontiamo più neppure che, nel frattempo, la gente muore, continua a morire.

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