Benigno Papa fu pastore negli anni difficili di Taranto e seminò fiducia nella fede e nella cultura
“Desidero che si preghi per tutti gli operatori pastorali, perché comprendano che compito fondamentale della Chiesa oggi è quello di aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a capire e vivere la vita come una vocazione. La comunicazione del Vangelo è, infatti, una proposta di vita che l’Autore della vita ci offre nella persona di Gesù e nel dono del suo Spirito”.
Sono le parole con le quali concludeva il messaggio per le vocazioni diffuso nel 2002, una sollecitazione a cogliere in pieno la propria vocazione e trasformarla nella vita della Chiesa: era stato da poco eletto vicepresidente della Conferenza episcopale italiana ed era il suo modo di chiedere il sostegno dei fedeli a sorreggerlo in nuove sfide pastorali.
Attraverso il suo pastore, la Chiesa di Taranto vedeva ancora una volta riconosciuto lo spessore del suo contributo alla dinamica teologica, sociale e culturale della Chiesa italiana.
Schivo, sereno, incline a una velata ironia, ma sempre severo quando le condizioni lo imponevano, monsignor Papa aveva accolto con gioia ma anche con la consapevolezza della gravosità della responsabilità, l’incarico che i vescovi italiani, guidati da monsignor Camillo Ruini, gli attribuivano e che, prima di lui, era stato ricoperto da monsignor Guglielmo Motolese.
Con la ritrosia che lo contraddistingueva sempre, misurava le parole, centellinandole per dirsi “grato ai confratelli che hanno voluto confidare nella sua esperienza” e “pronto a dare, come sempre, il mio contributo alla Chiesa, nel segno del suo magistero”.
Nato a Spongano, in provincia di Lecce, il 25 agosto 1935, entrato nell’ordine francescano, Benigno Papa ha da sempre prediletto l’esegesi biblica: teologo di grande spessore ha insegnato per molti anni al seminario teologico di Santa Fara (Bari) prima di essere nominato vescovo nella diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, dove ha dovuto misurarsi con emergenze ambientali note, come la criminalità mafiosa e dove ha fatto apprezzare le sua capacità pastorali, tanto da essere inviato a Taranto, da sempre terreno di duri conflitti sociali per coprire, nel 1990, la sede lasciata vacante dall’arcivescovo Salvatore De Giorgi, divenuto poi cardinale di Palermo. A Taranto egli arrivò proprio negli anni in cui la guerra di mala insanguinava queste contrade e, forte dell’esperienza acquisita, mostrò di possedere la giusta tensione morale e umana per sollecitare la comunità civile e quella cristiana a reagire contro la civiltà della morte.
Ma ben presto egli si trovò, nella sua funzione di pastore, alle prese con un altro problema centrale nella storia della comunità: l’emergenza ambientale, per la quale ereditava le sollecitazioni di Giovanni Paolo II, nella sua storica visita a Taranto, per un’ecologia integrale, ma doveva spendere la sua capacità pastorale nell’impegnativa battaglia che metteva a confronto il lavoro e la salute di cittadini e lavoratori.
“La disoccupazione – così monsignor Papa si rivolse alla diocesi annunciando il suo incarico – resta un’emergenza gravissima, sicuramente sottovalutata. Ma il tema del lavoro in sé è delicatissimo perché vitale per la società. Chi se ne occupa oggi è in prima linea, perché vi è in atto uno scontro sociale pericoloso. La fame di lavoro è una forza dirompente, ma lo è anche il suo sfruttamento. E noi avvertiamo le tensioni, così come l’inadeguatezza dell’iniziativa pubblica. Che dalle nostre parti promette investimenti, che poi non arrivano mai”.
Si spese, sollecitando e promuovendo anche iniziative di confronto istituzionale, così come fu promotore di confronti internazionali sul tema della pace, e a dieci anni dalla visita del Papa, nel 1999, promosse il congresso internazionale per un “Arcobaleno di pace” sul Mediterraneo.
Ma anche sui temi dell’immigrazione, così attuali, prese posizione con parole lungimiranti, persino profetiche, sostenendo con decisione che “le istituzioni devono affrontare il problema, ponendo condizioni e regole, ma non possono dare una risposta in termini “utilitaristici”, pensando di contingentare gli ingressi in base al “nostro fabbisogno”. Ridurremmo i nostri fratelli a semplici numeri da sfruttare per i nostri calcoli. Va privilegiato il ricongiungimento dei parenti con quelli ospiti del nostro paese. Fu, questa, una battaglia che anche l’Italia fece in favore dei suoi emigrati”.
Anche in seno alla Conferenza episcopale italiana Benigno Luigi Papa, già membro del Consiglio permanente e già presidente della Conferenza episcopale pugliese, svolse un lungo e importante lavoro, dopo essere stato coordinatore del consiglio per i problemi della famiglia, poi come responsabile per la vita consacrata, un incarico al quale diede notevole spessore, dal momento che egli proviene dalle fila dei cappuccini.
Quello che egli fornì un contributo specifico nei temi della pastorale teologica, nella coniugazione dell’interpretazione dei testi sacri alla loro attualizzazione “in un mondo che cambia”, sempre più scristianizzato ma sempre più bisognoso di spiritualità.
Ma vogliamo rimarcare, in questo ricordo necessariamente breve, il grande impegno che profuse per la “inculturazione della fede”, promuovendo la cultura e la valorizzazione dei beni culturale diocesani e, tra le altre cose, al restauro della residenza episcopale, alla creazione del Museo diocesano, al restauro e utilizzo del Palazzo Visconti, sede dell’Istituto di scienze religiose, e della Biblioteca arcivescovile.