Diocesi

Il cardinale Zuppi: la politica ascolti la Chiesa impegnandosi a lavorare per la pace e l’accoglienza

foto G. Leva
07 Mar 2023

di Silvano Trevisani

È stata una giornata intensa quella che ha vissuto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, martedì a Taranto. Ospite della seconda giornata della 51 Settimana della fede, dopo che la prima giornata è stata dedicata alla veglia funebre del compianto arcivescovo emerito Benigno Luigi Papa, egli ha voluto, infatti, partecipare alla concelebrazione presieduta dall’arcivescovo Filippo Santoro, prima di affrontare la relazione che gli è stata proposta: “Realizzare il cammino sinodale nell’attuale momento della Chiesa italiana”. Ma prima ancora ha voluto mettersi a disposizione della stampa, rispondendo volentieri alle domande dei giornalisti. Così anche noi abbiamo potuto rivolgergli delle domande sui temi più attuali che riguardano la Chiesa in questo momento difficile per l’umanità tutta: emergenza immigrazione, guerra, emergenza ambientale con specifico riferimento a Taranto.

Migrare è un diritto, come anche lei ha affermato, però ancora è così difficile realizzare dei corridoi legali. Perché?

Perché vi è ancora intatta la necessità di operare delle scelte, finora mancate, ma non solo da parte italiana. Dobbiamo affrontare il problema non legandolo al contingente poiché sono trent’anni che non l’affrontiamo. Certo: questa ennesima tragedia deve rafforzare in maniera decisiva la consapevolezza della necessità di trovare risposte adeguate, e questo vale sia per l’Italia che per l’Europa.

Lei ha detto che è la politica che deve risolvere i conflitti e non la guerra. Ma come può avvenire questo quando la politica è così innestata nelle regioni della guerra e quando anche il Parlamento europeo bocca una risoluzione per avviare una mediazione?

La pace ci coinvolge tutti nelle varie responsabilità e credo che tutti debbano essere in maniera diversa artigiani di pace. Sì è vero: c’è una debolezza della politica, una debolezza della diplomazia, una debolezza della società degli uomini che assiste a una tragedia nel cuore dell’Europa, ma ancora di più è necessario che la politica sappia trovare gli strumenti per tessere le fila di un dialogo che tanti invocano perché la risoluzione dell’Onu, che era chiarissima, possa essere applicata.

Lei ha avuto un ruolo in conflitti lunghissimi nel mondo, come il Mozambico e Burundi; cosa c’è di diverso qui che rende così difficile aprire spazi di dialogo, fortemente invocati da papa Francesco?

Anche in passato molti papi non sono stati presi sul serio, a cominciare da Benedetto XV con la Prima guerra mondiale, che ci ha portato fino ad oggi, o Giovanni Paolo II che ha tentato in tutti i modi di scongiurare la guerra in Iraq. Semmai dobbiamo aiutare la Chiesa e gli uomini di fede a parlare e a essere ascoltati. Quel che manca ad esempio sono degli spazi di organizzazioni internazionali, come l’Onu che possano avere una autorevolezza, una forza tale da creare l’opportunità del dialogo. Dobbiamo aiutare perché ci siano organismi in grado di creare incontri necessari e di applicare le risoluzioni conseguenziali.

Taranto continua a vivere il suo dilemma: lavoro contro salute. Come tenere insieme le due cose?

Le due cose devono essere insieme perché se c’è il lavoro ma non c’è la salute dopo un po’ non c’è più neanche il lavoro! Ma su questo credo che l’arcivescovo di Taranto, direttamente coinvolto, sappia dare tutte le risposte adeguate. Ma occorre fare di tutto perché le cose sussistano in maniera efficace.

La transizione ecologica vede però decisamente schierata la Chiesa.

Per forza, perché la Chiesa non è una porta verde “cromatica”, la Chiesa ha sempre messo al centro le persone. La preoccupazione per l’ambiente ha due motivi: la devastazione dell’ambiente rende il mondo invivibile, e poi perché il creato ci è stato affidato perché noi lo sappiamo curare e non distruggere piagandolo al nostro interesse, compromettendo il futuro.

Il suo libro Odierai il prossimo tuo come te stesso, che è un chiaro paradosso, è diretto a chi: alla società, all’umanità, ma anche agli uomini di Chiesa?

Certo! A me stesso, innanzitutto, perché l’odio è sorprendente come il male ha la capacità di annidarsi nel cuore degli uomini, nelle relazioni tra gli uomini, di apparire inerte quando non lo è. Crea mutismo, impedisce di parlare, cancella l’altro. Se nostro Signore ci ha detto che non dobbiamo neppure dire “pazzo” al nostro fratello, non ha posto una questione di galateo, perché il male cresce, il suo seme è sorprendentemente fertile. L’odio che veniamo indirizzati a coltivare ha frutti terribili, che dominano l’uomo stesso e diventano una macchina di morte che l’uomo non riesce più a fermare.

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