8 marzo: una data da ricordare tra abissi e vette
Mi piace sottolineare in questo 8 marzo l’evidente contrapposizione tra gli abissi delle violenze e le vette del podio.
Sono molti i fronti dell’immane sofferenza di uomini e donne, mi soffermo su alcuni.
La tv espone donne lacerate dal dolore, quelle russe, obbligate a lasciar partire mariti e figli giovinetti verso una morte annunciata; quelle ucraine che piangono e fuggono non si sa dove, oppure restano vicine ai loro uomini in guerra e ai malati, o infine si rinchiudono al freddo negli scantinati; vi sono donne violentate davanti ai figli e poi uccise, bambine che al posto delle canzoncine sono atterrite da esplosioni continue, anziane che non sanno dove sono i loro cari e se sono vivi, con i volti solcati da rughe, ferite, lacrime, preghiere, ridotte ad auspicare la morte … fiumi di dolore che non sappiamo dove e quando andranno a sfociare nella pace gridata dall’Occidente sazio.
Troppe sono le migranti, quelle anonime che affogano o vengono affogate e se ritrovate sono sepolte in casse segnate da codici. Come non piangere con quelle madri a cui le onde hanno strappato e sommerso i loro piccoli?Non sapremo mai di gesti eroici di mamme e papà che sono riusciti a salvare i figli dando la loro vita: santi senza nomi e altari, che conosceremo solo nell’aldilà. Le donne che riescono – Dio solo sa come – ad arrivare da noi, rischiano il circuito della prostituzione, subiscono sguardi malevoli chiedendo l’elemosina e se va bene, trovano tetto e cibo come domestiche e badanti.
Ci sono poi le donne sepolte vive dai terremoti e le sopravvissute, che piangono e pregano Allah senza posa, giorno e notte, aspettando – spes contra spem – un minimo segnale di vita sotto terra, gridando aiuto e provando anch’esse a scavare.
Non è giusto che troppo spesso cada nel silenzio la carneficina di donne e uomini cristiani uccisi a causa della loro fede. Non è solo una questione di conflitto tra religioni, ma il marchio della dittatura.
Cresce la solidarietà per le sorelle dell’Iran. L’Anci ha promosso una campagna internazionale per questo 8 marzo a sostegno delle donne in Afghanistan e Iran. Non ci sono bombe ed esplosioni, non palazzi distrutti e macerie, ma una guerra quotidiana, dall’agosto 2021, quando i talebani hanno conquistato il potere e negato alle donne di lavorare, andare al parco, al ristorante, fare sport, viaggiare, andare a scuola dopo i 12 anni. Non poche studentesse sono state intossicate a scuola, alcune sono morte, di altre si sono perse le tracce. Impossibile ottenere giustizia contro la violenza in famiglia, dove le donne sono dovute ritornare, essendo stati chiusi 16 rifugi e 12 centri di orientamento familiare. Onore alle ragazze coraggiose che sfidano un regime iniquo e corrotto tagliandosi i capelli e togliendosi il velo. L’attrice F. Motamed-Arya, in un video ha gridato: “In un Paese che, nelle proprie piazze, uccide ragazzi, ragazzine e giovani che chiedono solo libertà, non voglio essere considerata una donna. Io sono la madre di Mahsa! Sono la madre di tutti i giovani uccisi in questo Paese! La madre dell’Iran intero”.
Sul “podio” invece salgono donne sportive felici e ‘toste’, che hanno saputo mirare e sacrificarsi per obiettivi alti, in particolare le stelle dello sci: Sofia Goggia e Federica Brignone, e a quelle alle loro spalle D. Compagnoni, I. Kostner, K. Putzer e S. Belmondo. Guardandole, forse altre ragazze vorranno imitarne la grinta e impegnarsi a dare piena realizzazione ai loro talenti.
Sul podio salgono anche le due leader dell’Italia: G. Meloni e Elly Schlein. Abbiamo a lungo lavorato sulla partecipazione politica femminile ed ora vorremmo vedere donne che danno prova di un agire davvero innovativo, capaci di convergere sui contenuti più che sulle immagini, di lottare contro le ingiustizie insopportabili ed anche contrapporsi ma non per la conquista e il mantenimento delle posizioni di potere. Sarebbe nuovo vederle ascoltarsi prima di legittimamente distinguersi e articolare priorità e programmi evitando la moda ‘maschile’ del rifiuto pregiudiziale e costante di tutto ciò che non viene dalla propria parte. La democrazia ha bisogno di una opposizione fondata e cittadini che non si limitano a slogan ideologici e stridule rivendicazioni di diritti.